Un dialogo a tutto tondo con l’europarlamentare ligure sul ruolo delle politiche europee sulle migrazioni
Dal 29 gennaio all’1 febbraio l’europarlamentare spezzino Brando Benifei (capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo) è stato in missione istituzionale al confine tra Croazia e Bosnia, dove da settimane la polizia croata respinge i migranti che dalla Bosnia cercano di entrare in Croazia, e quindi nell’Unione europea. Era Superba l’ha intervistato per farsi raccontare quello che ha visto e per cercare di inquadrare la situazione nel più ampio contesto europeo.
Se infatti le cronache delle ultime settimane si sono giustamente concentrate sui metodi talvolta violenti degli agenti incaricati dei respingimenti e sulle condizioni disumane in cui vivono i profughi rimasti in Bosnia, almeno altrettanto importanti sono state per esempio l’impotenza (e talvolta la negligenza) della Commissione europea, incapace di imporre una linea europea all’immigrazione o le politiche restrittive di molti Paesi (Italia inclusa) che hanno contribuito a rendere la rotta balcanica il collo di bottiglia che conosciamo oggi.
Insieme a Benifei hanno partecipato alla missione gli europarlamentari del PD Alessandra Moretti, Pietro Bartolo e Pier Francesco Majorino. Le missioni in uno Stato membro, in Paesi extra-Ue o in conferenze internazionali fanno parte delle normali prerogative del Parlamento europeo, e in particolari delle commissioni parlamentari. «In questo specifico caso – spiega Benifei – vista l’urgenza di comprendere quanto stesse accadendo ed agire di conseguenza, come avviene di prassi in questi casi, la missione è stata organizzata dalla delegazione del PD, e ovviamente concordata e appoggiata dal gruppo dei Socialisti e Democratici (il gruppo del Parlamento europeo che riunisce i partiti dei vari Paesi dell’Unione europea di centrosinistra, ndr)».
La rotta balcanica è il percorso dei migranti provenienti soprattutto da Siria, Iraq e Afghanistan per raggiungere l’Europa. Qual è il contesto che l’ha resa il collo di bottiglia che vediamo oggi? Hanno influito anche le scelte degli ultimi governi italiani (soprattutto con le politiche di Minniti e Salvini) che hanno quasi chiuso la rotta mediterranea?
La rotta balcanica è una delle principali rotte migratorie insieme a quelle del Mediterraneo. Nel 2015, nel pieno dell’emergenza nei paesi del Medio Oriente, è diventata la principale via di accesso al continente europeo. In quel periodo l’Unione Europea, e in particolare alcuni stati membri come la Germania, adottarono misure di accoglimento dei migranti particolarmente permissive. Tuttavia, a partire dal 2016, anche per via di accordi con la Turchia, il flusso è stato interrotto e il percorso dei migranti si è notevolmente complicato. Campi profughi con condizioni di vita spesso precarie sono stati distribuiti tra Grecia, Nord Macedonia, Albania, Serbia, Bosnia Erzegovina, e Croazia. Venendo alle politiche migratorie italiane, il decreto Minniti-Orlando del 2017 è nato con l’obiettivo di accelerare le procedure di esame dei ricorsi sulle domande di asilo e aumentare il tasso delle espulsioni di migranti irregolari. È chiaro che pesava e pesa la mancanza di norme adeguate alla migrazione economica, avendo noi ancora l’impianto della Legge Bossi-Fini in piedi. Tuttavia, alcune importanti criticità sul decreto nella sua applicazione pratica sono poi emerse, ma è stato con il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza dell’anno successivo che sono stati fatti gravi e duraturi danni all’intero sistema italiano di accoglienza e gestione dei flussi migratori, in particolare quando si tratta di richiedenti asilo.
Anche se la crisi va avanti da anni, soprattutto nelle ultime settimane abbiamo visto le condizioni disumane in cui sono costretti i migranti, “ospitati” in centri d’accoglienza a dir poco inadeguati o costretti a vagabondare nei boschi, in un periodo di freddo particolarmente intenso. Quale situazione avete trovato voi?
L’incendio che ha distrutto il campo profughi di Lipa (città della Bosnia non lontana dal confine con la Croazia, ndr) lo scorso 23 dicembre, e la successiva decisione delle autorità bosniache di chiuderlo senza trovare un’adeguata soluzione, si è rivelato drammatico. Da quel momento un migliaio di persone tra i 19 e i 60 anni arrivati principalmente da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh, sono rimaste senza alloggio, in luoghi in cui di notte le temperature scendono fino ai 20 gradi sottozero. Durante la nostra missione abbiamo visitato il campo di Lipa e ci è stato subito chiaro che le condizioni di vita sono effettivamente disumane. Le tende messe in piedi sono poco riscaldate, l’acqua è scarsa e i servizi igienici limitati. A questa drammatica situazione si aggiunge il comportamento delle autorità croate verso chi tenta di oltrepassare il confine. Respingimenti violenti, sequestro ingiustificato di telefoni cellulari e altri possedimenti dei migranti sembra siano all’ordine del giorno. Non possiamo consentire che si faccia finta di niente.
Oltre a essere un confine tra due Stati, quello tra Croazia e Bosnia è anche un confine dell’Unione europea. Crede che la Commissione stia ponendo la giusta attenzione al problema o che sia “distratta” dalla gestione della pandemia, la distribuzione dei vaccini e i piani di ripresa economica? Al Parlamento europeo, invece, cosa si muove su questo fronte?
Le violazioni e le mancanze relative al rispetto dei diritti fondamentali dei migranti e la scarsa capacità di gestione del fenomeno migratorio a livello europeo sono ormai evidenti a tutti, da molti anni. Il Parlamento Europeo, in particolare il gruppo dei Socialisti e Democratici di cui fa parte la delegazione del PD, ha portato avanti molte iniziative nel tempo per sensibilizzare e segnalare alla Commissione europea la drammaticità della situazione, inchiodandola alle sue responsabilità. Ad esempio, è stata recentemente approvata dal Parlamento una risoluzione che denuncia lacune e carenze nella politica UE sui rimpatri. Come in molti altri ambiti, ritengo che il Parlamento europeo sia riuscito a mostrarsi come principale “guardiano” dei diritti dei migranti, mostrando una chiara determinazione a fare luce sulle violazioni e a cercare di impedirle. Penso che la Commissione debba ascoltare con più attenzione le richieste del Parlamento e agire di conseguenza con determinazione, nonostante le oggettive difficoltà di mettere d’accordo i 27 stati membri in sede di Consiglio europeo, soprattutto in materia di migrazione. È chiaro che la pandemia che ci siamo ritrovati ad affrontare, e tutte le complicazioni che sono seguite, ha avuto un impatto negativo sulla questione. Non è tuttavia possibile utilizzarla come scusa per non agire con forza e rapidità in difesa dei diritti umani. Per questo ora lavoreremo dal lato del Parlamento Europeo sul nuovo Patto per le Migrazioni che la Commissione Europea ha presentato e su cui è impegnato in prima persona il mio collega Pietro Bartolo.
Quanto, nella gestione delle migrazioni, è responsabilità dell’Unione europea e quanto invece dei singoli governi nazionali (in questo caso quello croato) che scelgono di chiudere i propri confini?
L’Unione europea gode effettivamente di competenze condivise con gli stati membri a riguardo. I Trattati indicano chiaramente che l’Unione deve sviluppare una politica comune in materia di immigrazione, ed elaborare una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Tuttavia, negli anni è stato evidente come gli stati membri siano particolarmente restii a cedere anche piccole parti della loro sovranità in ambito di gestione dei flussi migratori. Tutti sappiamo quanti problemi e tentativi di modifica ci sono stati relativamente alla famosa Convenzione di Dublino (il regolamento europeo che fa sì che responsabile dell’esame della richiesta d’asilo sia il primo Paese d’arrivo, spesso criticato dall’Italia e altri Paesi del Mediterraneo, naturali primi Paesi d’arrivo per chi arriva dal nord Africa o dal medio oriente). La verità è che attualmente sono ancora i singoli stati ad avere voce in capitolo e si dovrebbe per questo lavorare, in ogni sede istituzionale UE, per aumentare le competenze a livello di Unione. La Commissione, ad esempio, si è certamente resa colpevole di gravi mancanze e parziale incapacità di azione, ma non bisogna scordare che gli strumenti di cui dispone non sono poi così tanti rispetto alla vastità delle problematiche.
Quali modifiche legislative, a livello di Unione europea, auspicate per una gestione più comunitaria delle migrazioni?
Come dicevo, il flusso di migranti e rifugiati verso l’Europa ha dimostrato il bisogno di una politica per l’asilo più giusta ed efficace a livello comunitario. È dal 2017 ormai che il Parlamento Europeo si batte per una seria e sostanziale riforma del regolamento di Dublino. Purtroppo l’opposizione in sede di Consiglio (organo che riunisce i capi di Stato o di governo dei singoli Paesi membri dell’Unione europea, ndr), e in particolare da parte di alcuni stati membri, non ha permesso di raggiungere gli obiettivi sperati. La gestione dei flussi migratori non solo deve essere effettivamente portata a livello comunitario, ma occorre che sia anche fondata su quel principio di solidarietà tra stati membri presente nei Trattati, con ricollocamenti obbligatori e superando il principio del Paese di primo ingresso, che blocca ad esempio in Italia molte persone che vorrebbero andare altrove.
Crede che la Commissione Von der Leyen, rispetto alle precedenti, dal punto di vista della comunicazione voglia dare l’idea di una gestione più muscolare dei confini (cedendo anche qualcosa alla retorica identitaria) e che la Croazia in qualche modo si senta legittimata nella sua azione da questo nuovo corso? Penso per esempio alla polemica sulla volontà iniziale della Commissione di istituire un commissario per la “protezione dello stile di vita europeo” o ai ringraziamenti di Von der Leyen al governo greco per aver fatto da “scudo” all’Europa durante le crisi nei campi di Lesbo dell’estate scorsa, indicando esplicitamente gli immigrati come un pericolo da cui difendersi…
La Presidente Von der Leyen, e la Commissione in generale, si sono ritrovati a dover affrontare problemi e sfide di enorme portata per l’Unione Europea. Spesso il Parlamento, e in particolare il gruppo S&D, non si trova del tutto d’accordo con l’operato della Commissione, in primo luogo per quanto riguarda alcune scelte nei messaggi da trasmettere. Certamente sul fronte della gestione comune dei migranti ci sono enormi margini di miglioramento, ma occorre ricordare che in questo ambito l’ultima parola spetta purtroppo al Consiglio, dove i punti di vista dei Paesi sono sempre complicati da conciliare. Riguardo alla Croazia, non penso che la Commissione condivida in alcun modo le modalità spesso a dir poco discutibili con cui le autorità stanno gestendo i flussi migratori e infatti la Commissaria Johansson, responsabile per il tema, è intervenuta più volte sulle autorità croate a fronte di episodi emersi nelle cronache giornalistiche e anche giudiziarie.
Anche il Governo italiano, oltre a quello croato, ha la sua quota di responsabilità in questa situazione, dal momento che i migranti riammessi in Slovenia vengono poi spesso respinti a loro volta in Croazia e quindi di nuovo in Bosnia. Avete esposto la situazione anche al governo Conte e la farete presente anche al prossimo?
È purtroppo vero che anche dall’Italia avvengo molte più espulsioni che in passato, in particolare al confine con la Slovenia. Occorre tuttavia ricordare che la pandemia ha effettivamente complicato la gestione dei flussi migratori, soprattutto in Italia essendo stato uno dei paesi colpi maggiormente e prima degli altri dal COVID-19. La delegazione PD al Parlamento Europeo, e il PD in generale, ha seguito e continuerà a seguire con attenzione quanto accade a livello di Ministero dell’Interno, dove le decisioni riguardo queste espulsioni vengono effettivamente prese. Non appena il nuovo governo si sarà formato, ci assicureremo di stabilire un rinnovato e costante dialogo per assicurare il rispetto dei diritti dei migranti. Riteniamo che l’accordo attualmente vigente tra Italia e Slovenia, che addirittura precede l’ingresso di quest’ultima nell’Unione Europea, debba essere superato.
Sulla sua pagina Facebook ha pubblicato un video in cui racconta come la polizia croata vi abbia inizialmente impedito di ispezionare il confine. Quali motivazioni hanno assunto per impedirvi di portare avanti la vostra missione? Anche il ministro croato Bozinivic vi ha accusato di aver agito illegalmente e di aver voluto screditare la Croazia…
Come è ormai noto, a poche centinaia di metri dal confine fra Croazia e Bosnia, una decina di agenti di poliziotti ben armati ci ha impedito di proseguire formando un posto di blocco improvvisato. Neanche interventi telefonici delle rappresentanze diplomatiche hanno potuto sbloccare la situazione. Gli agenti si sono anzi irrigiditi. Ci siamo poi incamminati pacificamente per tentare di proseguire, rimanendo comunque all’interno dei confini europei e dunque senza infrangere alcuna norma in vigore. Ma gli agenti ci hanno seguiti e fermati nuovamente, formando poi un cordone per impedirci di andare avanti. Nessuna specifica motivazione ci è stata fornita. La nostra libertà di movimento come cittadini europei e rappresentanti eletti ci è dunque stata negata su suolo europeo senza valido motivo. Un fatto gravissimo. Il governo croato ha poi cercato di strumentalizzare la situazione per meri fini politici. Noi non abbiamo mai infranto alcuna norma e abbiamo sempre agito nel rispetto della legge e del programma della visita precedentemente condiviso con le autorità, volendo solo svolgere il nostro lavoro, in quanto siamo decisori sul bilancio dei fondi europei che le stesse autorità croate utilizzano per operare sul proprio confine con un territorio esterno all’Unione Europea.
Luca Lottero