Con una crisi che sembra non finire mai, il gruppo Banca Carige continua ad essere nei marosi. Dopo i recenti tracolli in borsa e gli interventi della Bce, il nuovo cda, che si insedierà a fine mese, è atteso al varco; nelle sue mani, e nelle sue decisioni, il destino dell’istituto: ripartire dal territorio potrebbe essere la strategia per ritrovare la rotta
Il 31 marzo, l’assemblea dei soci ratificherà l’insediamento del nuovo consiglio d’amministrazione del gruppo Banca Carige e lo farà, probabilmente, dando fiducia al team proposto da Vittorio Malacalza, azionista di maggioranza relativa. Un appuntamento importante, che sicuramente segnerà il destino dell’istituto. A rendere ancora più febbrile questa attesa, la storia degli ultimi mesi: in un contesto decisamente sfavorevole per il comparto bancario italiano, zavorrato da un debito pubblico in costante aumento e stressato dalle nuove normative comunitarie, i titoli Carige in borsa sono crollati arrivando a sfiorare valori dimezzati rispetto a quelli del 2015. A completare il quadro, la consistente riduzione del risparmio, la contrazione del flusso di credito per il territorio e gli interventi diretti da parte degli organi comunitari.
L’evoluzione normativa ha complicato la situazione. L’1 gennaio 2016 è entrata in vigore la direttiva europea pensata per prevenire e gestire eventuali crisi di banche e imprese di investimento; una norma in risposta al fatto che i diversi paesi dell’Unione, in passato, sono intervenuti in ambito bancario in maniera disordinata e non coordinata, edulcorando il mercato, al fine di proteggere gli istituti di casa, facendo però ricadere il costo della crisi sui contribuenti.
Tra le novità introdotte dalla “Banking Resolution and Recovery Directive”, la principale è senza dubbio il “Bail-In”: un dispositivo che norma il “salvataggio interno” delle banche, attraverso l’utilizzo dei fondi privati di azionisti e investitori, ma anche attraverso il prelievo forzoso dai conti. Si parla, però, esclusivamente di depositi che superano i 100 mila euro, a cui si accederebbe solo come ultimissima spiaggia, se l’eventuale liquidità ricavata da patrimonio, soci, azioni, titoli subordinati, obbligazioni e passività varie non fosse sufficiente per arginare l’eventuale default.
Questa novità, come prevedibile, ha spaventato i correntisti, che si sono affrettati a ritirare i risparmi dalle banche. Il fenomeno ha investito anche Carige, come ci racconta una qualificata fonte interna di Era Superba: «Molti storici e anziani clienti sono corsi nella propria filiale per chiedere di chiudere il conto, anche se era al di sotto della soglia».
Ad accresce i timori, il pesante tonfo in Borsa dell’11 gennaio, culmine di un trend passivo che aveva portato nei mesi precedenti a un ribasso complessivo del 46%. Questo combinato disposto ha portato a una fuga di depositi, come confermato dal recente ritocco del passivo di bilancio passato da 44,6 a 101,7 milioni per via del ricalcolo sull’avviamento residuo, causato da una restrizione della raccolta diretta.
A beneficiare di questo esodo bancario, Poste Italiane. L’azienda di servizi, controllata al 60% dallo Stato, in questi ultimi mesi ha messo sul mercato prodotti finanziari e di risparmio molto competitivi, muovendosi come una vera e propria banca, grazie anche al fatto che non essendo tale a tutti gli effetti può godere di un regime fiscale agevolato. Questa posizione ibrida ha permesso a BancoPosta di assorbire il reflusso del mercato bancario, compromesso sia a livello finanziario che di immagine.
Dopo lo shock di inizio anno, il 19 febbraio è intervenuta la Banca Centrale Europea con una lettera indirizzata alla dirigenza dell’istituto in cui si chiede di predisporre entro il 31 marzo un nuovo piano di finanziamento ed entro il 31 maggio un nuovo piano industriale e un nuovo piano strategico per adeguarsi ai requisiti di vigilanza. Ma non solo. Indiscrezioni della stampa di settore, confermate dalla nostra fonte, parlano della richiesta da parte di Francoforte di comunicare quotidianamente il grado di solvibilità della banca (oltre a Carige, osservata speciale è anche Monte dei Paschi). Carige ha risposto sottolineando come il proprio Liquidity Coverage Ratio sia superiore al 100% (per ammontare di oltre 2 miliardi di euro solvibili), oltre dunque al minimo richiesto dalle normative comunitarie fissato al 90%.
Se la risposta dei mercati è stata ancora una volta pesante, questa stretta sul monitoraggio del gruppo potrebbe portare, nel medio periodo, giovamenti notevoli: «Avere un controllo quotidiano – sottolinea la nostra fonte che chiede di rimanere anonima – è la migliore garanzia per dimostrare di essere “guariti”, e che si sta uscendo definitivamente dal contagio in cui invece rimangono altri istituti». Probabilmente, con questa mossa, la Bce vuole inoltre tutelare la banca stessa da eventuali speculazioni esterne e interne, come il caso Berneschi insegna.
La storia della banca dei genovesi è nelle mani di Vittorio Malacalza: la sua lista di candidati per gli incarichi del nuovo consiglio d’amministrazione, che sarà deciso il prossimo 31 marzo, parla chiaro. Nomi importanti che potrebbero rigenerare l’immagine della banca e metterne al sicuro il futuro economico e finanziario.
Candidato presidente è Giuseppe Tesauro, presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato: un nome di alto prestigio, essenziale per provare a ripulire dal fango delle inchieste il nome del gruppo e a dare fiducia ai risparmiatori, oltre che al mercato.
Come vicepresidente si candida lo stesso Vittorio Malacalza: un ruolo più defilato ma che garantisce un impegno vero del primo azionista, che è, innanzitutto, un imprenditore navigato che sicuramente lavora per i suoi interessi; e, se questi coincidono con quelli dell’istituto, tanto meglio per Carige.
La figura chiave è però quella dell’amministratore delegato: il nome del candidato per questa carica è quello di Guido Bastianini, figura vicina a Bankitalia e attuale presidente di Banca Profilo, attiva da anni anche sul territorio ligure. Il suo compito sarà il più importante in assoluto: far quadrare i bilanci, assorbendo le passività e progettare il futuro della banca, gestendo un mercato, quello bancario, mai come oggi agguerrito e spietato, e ottemperando gli obblighi imposti da una sempre più occhiuta Banca Centrale Europea.
Tutto questo cercando di non dimenticare Genova e la Liguria: la politica del contenimento dei costi (leggi tagli al personale e rimodulazione, in negativo, di retribuzione) e della razionalizzazione della presenza sul territorio (leggi chiusura di filiali e sportelli), ha incrinato profondamente il rapporto di Carige con la città in cui però affondano profondamente le radici vitali del gruppo bancario. Non considerare questo elemento, senza valorizzarlo e coltivarlo, potrebbe essere l’ultimo errore, quello fatale.
Nicola Giordanella