add_action('wp_head', function(){echo '';}, 1);
Il nuovo progetto del Teatro della Tosse porta in scena i giovani e coinvolge attivamente il pubblico attraverso una community che contribuirà a definire il cartellone futuro
Che cos’è il Cantiere Campana? Un nuovo progetto, portato avanti dal Teatro della Tosse, per dare la possibilità di esprimersi a quelle voci – giovani registi, autori e compagnie – che difficilmente attraverso i canali convenzionali trovano spazio per le proprie rappresentazioni. Il Cantiere (già il nome suggerisce il fermento di una realtà in continuo divenire) presenta così una programmazione costituita interamente da spettacoli di nuova drammaturgia, e si pone in maniera del tutto peculiare rispetto al pubblico, incoraggiandone la partecipazione attraverso la sottoscrizione di una tessera che permette di diventare “sostenitori” del progetto, creando quindi una community attiva che durante l’anno dialogherà al suo interno e col teatro per mezzo di canali digitali e iniziative dal vivo, e che alla fine deciderà, insieme al teatro, il cartellone della stagione successiva. Abbiamo parlato di tutto ciò con Yuri D’Agostino, attore, regista e da quest’anno responsabile del Cantiere, i cui spettacoli verranno ospitati, appunto, nella Sala Dino Campana del teatro.
Cos’è il Cantiere Campana, quando e come è nato?
«È un progetto del Teatro della Tosse con due obiettivi principali: il primo è portare avanti la nuova drammaturgia e le compagnie emergenti, il secondo è riuscire a creare sul territorio una comunità di spettatori – noi li chiamiamo sostenitori – che sia il più ampia possibile, con la quale dialogare e crescere per tutta la stagione; è un progetto che nasce dalla domanda “come sarà il teatro di domani?” e soprattutto “ci sarà un teatro in Italia?”. Questo periodo di crisi sta facendo passare anche ai teatri un momento di grave difficoltà economica, e ciò porta spesso a scegliere spettacoli comodi, massimizzando il risultato con il minimo rischio se non quando con il minimo sforzo, attraverso l’uso di grandi nomi, grandi registi…certo questi spettacoli meritano di essere portati avanti, ma non possono essere gli unici. Ci deve essere una varietà dell’offerta culturale, con proposte che magari non pagano subito, ma che sono il seme del teatro di domani. Ecco a cosa guarda il nostro progetto. Non è un discorso nuovo al Teatro della Tosse, che ha sempre investito in simili spettacoli: quest’anno ci sarà la programmazione di Sala Trionfo, con titoli di grande richiamo, e a fianco, in Sala Campana, una stagione altrettanto bella ma formata da spettacoli di nuova drammaturgia italiana, compagnie emergenti validissime cui mancava solo un palco su cui poter mostrare il proprio lavoro. A fianco, la community di spettatori, vera e propria anima della stagione, cui si offrono non solo la visione ma diversi gradi di partecipazione a seconda di quanto vorranno interagire con noi: possono recensire lo spettacolo online, incontrare gli attori, venire a conferenze a tema, partecipare a viaggi in cui si va a vedere tutti insieme uno spettacolo fuori Genova… tutto questo è Cantiere Campana».
Decisamente una fruizione attiva…
«Assolutamente. Riteniamo che nell’ecosistema del teatro gli spettatori siano una parte non solo integrante, ma importantissima: dopo tutto si fa teatro per il pubblico! Quindi perché non cercare di sapere il più possibile opinioni, gusti e predisposizioni? Queste sono cose che si scoprono soprattutto attraverso il dialogo. Ha già funzionato l’anno scorso col “Castello dei Sette Peccati” in cui attraverso un concorso abbiamo chiesto al pubblico, quindi a persone che fanno altri mestieri, di partecipare portando il proprio contributo creativo: molti hanno tanto da dire e proporre ma semplicemente non hanno l’occasione di esprimersi perché il loro lavoro li ha portati a fare altro. Abbiamo avuto un riscontro notevole e sono uscite fuori cose davvero belle. Questo dimostra che i genovesi hanno voglia di partecipare, di comunicare, manca solo qualcuno che dia gli strumenti e l’ascolto: il Cantiere si pone come ascoltatore».
Autori e compagnie giovani: significa mantenere il teatro un organismo vivo, con forte presa sulla realtà odierna…
«Certamente! Tutti gli attori e i registi oggi famosi prima non lo erano, erano giovani con tanta voglia e talento, mancava qualcuno che desse loro fiducia. A loro è stata data e sono diventati le persone che noi conosciamo. In mezzo a coloro cui noi adesso decidiamo di dare fiducia, sappiamo che ci sono quelli che a cinque anni da adesso porteranno avanti il teatro. Abbiamo organizzato un ventaglio d’offerta molto ampio, con varie tipologie e compagnie da più parti d’Italia per far sì che a fine stagione il pubblico sappia dirci cosa ha gradito e cosa no, e avere uno strumento in più per costruire la stagione successiva. In particolare abbiamo sostenuto grandi idee non necessariamente portate avanti con grandi mezzi: è questo che ci ha permesso di offrire spettacoli a prezzi popolari».
Come funziona quindi l’accesso al Cantiere per i giovani registi e le giovani compagnie?
«Durante la stagione le compagnie propongono i loro spettacoli alla direzione che li sceglie, con un occhio di riguardo ovviamente per tutte le giovani nuove proposte che devono andare a occupare lo spazio dedicato. A ciò si aggiunge un bando, “Pre-visioni”, cui possono partecipare tutte le compagnie presentando sul palco il loro lavoro. Per esempio abbiamo uno spettacolo, presentato l’anno scorso al bando, che quest’anno è in cartellone al Cantiere. Dall’anno prossimo vogliamo che queste scelte siano compiute dal Teatro insieme ai sostenitori»
Tu per esempio come sei arrivato?
«La mia presenza qui dimostra l’apertura verso i giovani, mi hanno dato fiducia nonostante la mia relativamente giovane età. Nasco come attore ma dal 2006 mi sono appassionato sempre più alla regia, lavorando come assistente alla regia e regista. Poi mi sono avvicinato alla Tosse, visto che sono genovese e amo il mio territorio mi piace poter restituire qualcosa col mio lavoro; la collaborazione è andata avanti fino a trasformarsi in quello che è oggi, con questo progetto da sviluppare».
Oggi il teatro ha ancora un senso? È ancora un mezzo adatto a parlare alle persone e se sì perché?
«Certamente. Il teatro non è la versione povera del cinema, il teatro è un’emozione, ti porta non tanto ad avere delle risposte ma a farti delle domande, è un momento unico. Col teatro tu scegli di abbandonarti per un’ora e mezza, entri in sala e credi a qualcosa che non c’è, a persone in uno spazio nero di 30 metri quadri che non sono chi dicono di essere, con una scenografia che finge, ma tu ci credi: si gioca a credere a un qualcosa, e se il gioco è portato avanti bene allora riesci a vedere un messaggio».
Abbandonarsi richiede predisposizione mentale e tempo. Come si richiama allora quel potenziale giovane pubblico abituato a un tempo di fruizione compulsiva profondamente diverso da quello del teatro?
«È vero, è un tempo di fruizione passiva e compulsiva, dove tutto viene fatto nella maniera più breve possibile. Fortunatamente non tutte le persone vivono in questa dimensione. Noi cerchiamo di far capire agli spettatori di domani ma anche a quelli di oggi che esiste anche questo tempo che ti puoi prendere solo per te, e che è già presente nelle persone, altrimenti i teatri sarebbero vuoti, invece la gente viene ed è tanta; ma crediamo di poter raccogliere nuove fette di pubblico, e un modo è appunto la partecipazione attiva: le persone devono capire di non trovarsi davanti a un televisore, e che è necessario partecipare allo spettacolo col cervello e col cuore».
Tralasciando il fatto che i reiterati tagli stanno uccidendo arte e cultura, secondo te una struttura teatrale che funziona deve/può reggersi da sola o è giusto che venga finanziata?
«Questo è un teatro stabile privato, quindi riceve finanziamenti molto inferiori ai teatri pubblici. Detto questo, io sono un profondo sostenitore del finanziamento perché il teatro muove una macchina grossissima che va oltre la rappresentazione in scena e comprende scrittori, tecnici, registi, strutture, uffici, costumisti… tutto questo ha un costo professionale e muove l’economia in una decisa percentuale di Pil. Ma lo scopo finale del teatro non è produrre guadagno, è produrre cultura. Alzare la qualità della vita delle persone. Non deve necessariamente avere un bilancio positivo dal punto di vista strettamente economico, perché il bilancio positivo ci sarà più avanti nelle persone, a cui dai il senso critico, la capacità di discernere giusto e sbagliato secondo il proprio criterio, gli strumenti per decidere. Andando a vedere anche cose classiche come Edipo, Romeo e Giulietta, Amleto, una persona esce più ricca, con i mezzi per riconoscersi e in un futuro prendere le proprie decisioni. Questo è un investimento che lo Stato deve fare per i suoi cittadini, e che quindi è giusto che sia finanziato e che non sia totalmente a carico del singolo, il quale altrimenti non potrebbe permettersi di pagare un biglietto che renda i soldi necessari ad andare in pari. Il teatro non dovrebbe preoccuparsi di andare in attivo, così come non deve, ovviamente, sprecare soldi; ma quando uno spettacolo viene fatto bene, con passione, e gli spettatori escono diversi da come sono entrati, allora non importa che ci sia stato o meno l’attivo».
Il nodo cruciale sta nell’attenzione, da parte del singolo ente, a non appiattire l’offerta culturale “perché tanto c’è il finanziamento”…
«Certo. Non deve appiattire l’offerta ma non deve neanche, per paura della mancanza di finanziamenti, appiattirsi solo su quegli spettacoli che garantiscono di raccogliere fondi. Purtroppo, se si tratta il teatro da azienda, farà scelte da azienda. Se lo si tratta invece da risorsa e struttura importante della società, potrà comportarsi come tale, e a beneficiarne sarà soprattutto il cittadino».
Claudia Baghino
[Video di Daniele Orlandi]
2 commenti su “Teatro della Tosse: ecco il Cantiere Campana per le compagnie emergenti”