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La casa del Capitano D'Albertis, esploratore e amante delle culture straniere, dal 2004 è stata adibita a museo. La posizione strategica ma scomoda, i pochi fondi per la promozione... ma si cerca di ovviare alle difficoltà, quest'anno si festeggia il decennale
Continua il nostro viaggio tra i musei genovesi, per mettere in luce eccellenze, contraddizioni, difficoltà del sistema culturale genovese (vedi gli approfondimenti sui Musei di Nervi e su Palazzo Verde). I nostri lettori ricorderanno che qualche tempo fa durante una puntata di #EraOnTheRoad siamo stati al Castello D’Albertis: fino al 1932 villa privata, alla morte del proprietario (il Capitano D’Albertis) è stata donata alla città ed è diventata un “Museo delle Culture del Mondo”, che raduna testimonianze dei diversi popoli incontrati dal Capitano durante i suoi viaggi.
Negli anni ’70 il giardino è diventato pubblico, ma è rimasto poi chiuso per 23 anni. Ora il parco è di nuovo aperto: con una storia così affascinante alle spalle, a due passi dalle sedi universitarie di Via Balbi e dell’Albergo dei Poveri, vicino al terminal traghetti e alla stazione ferroviaria di Piazza Principe, avrebbe tutte le carte in regola per richiamare orde visitatori. Invece le cose non stanno esattamente così: «È una città faticosa. Soffriamo per la posizione in cui ci troviamo», ci dice la direttrice Maria Camilla De Palma, che ci concede una lunga intervista.
Come procede l’attività culturale del Museo?
«Anche noi avvertiamo la crisi: una diminuzione delle visite era scontata, tuttavia a fronte del trend negativo che ci aspettavamo abbiamo registrato nell’ultimo trimestre un incremento del 15% nel 2013 rispetto all’anno precedente. Si tratta perlopiù di stranieri, circa l’80%. Gli italiani (e gli stessi genovesi) non sono molti: siamo soddisfatti ma certamente c’è ancora tanto lavoro da fare, a cominciare dalla promozione, anche rivolta agli abitanti di Corso Firenze e altre zone vicine al Castello D’Albertis che ancora dichiarano di non conoscere il Museo. È demoralizzante, visto che siamo qui da 10 anni: era il 2004 quando il Museo è stato aperto, anno in cui Genova era Capitale Europea della Cultura e hanno perciò visto la luce il Museo del Risorgimento, la Galleria d’Arte Moderna di Nervi, i Musei di Strada Nuova e il Galata-Museo del Mare. L’intento era quello di vivere pienamente quell’annata, con varie proposte sotto il profilo artistico-culturale ma, come dicevo, molti genovesi ancora affermano di non conoscerci. Servirebbero più fondi per la promozione, di cui non disponiamo».
Dunque, in mancanza di fondi adeguati, quali strategie attuate per pubblicizzarvi?
«Il Castello fa parte dell’insieme dei Musei civici: un’unica rete che gestisce, controlla e cura la manutenzione di un gran numero di istituzioni. Le spese sono alte e la disponibilità monetaria esigua rispetto ai bisogni dei soggetti coinvolti. Nel nostro caso, abbiamo un patrimonio culturale e paesaggistico importante, ma abbiamo alte spese di manutenzione (si pensi solo al parco e alle sale del Castello), difficoltà ad organizzare eventi a comunicare con l’esterno. Per questo facciamo un appello ai genovesi e chiediamo loro di aiutarci: qual è secondo loro la strategia più efficace? Di recente, ad esempio, abbiamo pensato di organizzare un servizio di bus navetta (finora solo il City Sightseeing arriva quassù) che dal centro cittadino trasporti direttamente al museo i visitatori, ma abbiamo incontrato difficoltà burocratiche tali da farci desistere: dal posteggio, alle fermate da includere nella corsa, all’impiego di ulteriore forza lavoro che non sappiamo se possiamo mantenere. Insomma, il gioco vale la candela? Senza contare che il turista genovese medio è “mordi e fuggi”, interessato all’edutainment, ristretto perlopiù all’area del waterfront: a Genova ormai si vuole tutto a portata di mano e noi siamo svantaggiati, più che aiutati, da una posizione fantastica ma scomoda. Pensare che anni fa è stata creata una rete tra Museo del Mare, Commenda di Prè, Santa Brigida e D’Albertis per creare un’asse tra i poli museali e incentivare il transito nei vicoli, ma l’esito non è stato buono: raccontano le guide turistiche che i visitatori non vogliono entrare nelle zone del centro storico perché malfamate».
Qual è il piano per l’incremento dell’attività nel 2014?
«In primis, la festa per il decennale: una tre giorni di festeggiamenti che coinvolgeranno il quartiere e le scuole. Ci sarà cibo gratuito, percorsi musicali (con la partecipazione di Echo Art, che quest’anno compie 30 anni) e laboratori didattici per le famiglie. Inoltre, apriremo i passaggi segreti e le torri, di solito inaccessibili. Senza contare le mostre temporanee: in programma quella dedicata alle nuove migrazioni europee ed extra-europee, al calcio africano, al ghetto di Lodz, città della Polonia che celebreremo nella Giorno della Memoria. Finora ci siamo dati da fare, ospitando feste Erasmus, happy hour per garantire l’apertura serale e dare modo ai lavoratori di visitare il Museo, e itinerari lungo il quartiere con danze e giochi di luce. Stiamo tentando varie strategie, ma l’unica cosa che rifiuteremo sarà l’accesso gratuito, come fanno molti musei europei: siamo contro la svendita della cultura perché il patrimonio è di tutti. Inoltre, vorremmo creare una sinergia con l’Università e invitare gli studenti dei poli limitrofi a usufruire del giardino nei mesi caldi: abbiamo già pensato di estendere la rete wi-fi al parco, ci stiamo lavorando. Tuttavia, ciò non basta: si deve promuovere il pacchetto turistico, ma non è un’operazione di competenza delle singole realtà. Ci si deve muovere a livello centrale».
Elettra Antognetti
Questo articolo è stato scritto grazie ai sopralluoghi di #EraOnTheRoad. Contattaci per commenti, segnalazioni e domande: redazione@erasuperba.it