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Il simbolo cristiano torna a dividere, buttato sul piatto della contesa partitica: grandi parole, piccole idee, per un nuovo passaggio della lenta erosione delle nostre libertà
Crocefisso in Sala Rossa! L’assonanza alla storica espressione fantozziana ci riporta puntuale un assaggio del livello della discussione che ha avuto luogo in Consiglio comunale martedì scorso, quando è stata presentata, discussa e approvata la mozione della maggioranza per apporre un crocefisso in aula consigliare e in tutti i locali comunali ad uso pubblico.
Ma non solo: il dispositivo prevede anche l’impegno “ad inviare il testo a tutti gli istituti scolastici, perché ne venga data lettura e ciascun istituto possa cosi avviare al proprio interno adeguata riflessione per valutare, laddove non ci sia già, la possibilità di apporre un esemplare di crocifisso”. Frase che a molti ha fatto dire “riportiamo il crocefisso nelle scuole”, creando quindi il più classico degli specchietti per le allodole, visto che la materia non è di competenza comunale, come stabilito dalla Corte di Cassazione nel 2006.
Un livello molto basso, quindi, fin dall’inizio. Poi arrivano le argomentazioni. E ancora si scende. Si parte con le radici cristiane in premessa, il grande classico, arrivando all’individuazione di un supposto laicismo radicale che, emerso negli ultimi cinquant’anni, ha determinato il fatto che ogni precetto religioso sia incompatibile con la dimensione pubblica statale. Magari, verrebbe da aggiungere, ma non ci si ferma qua: questo laicismo radicale “ha contribuito […]all’abolizione dei festeggiamenti in occasione delle feste tradizionalmente cristiane, quali Natale e Pasqua, in molte scuole e la deposizione dei crocefissi nei locali (sic.), portando così alla perdita della coscienza di comune appartenenza ai valori cristiani basilari”.
A questo punto nasce la confusione: la politica dei “calci nel sedere” ai questuanti richiedenti asilo, la retorica dell’invasione, la logica delle “ruspe”, da cosa sono scaturite? Dalle radici cristiane o dal laicismo radicale? O da cosa?
Ma il top deve ancora arrivare: “Si rende necessario riaffermare con grande forza i valori fondanti la nostra società per meglio poterci orientare nel mondo contemporaneo, respingendo con vigore il laicismo radicale, senza venir meno ad una sana e rispettosa forma di laicismo, che ribadisca la laicità dello Stato e la netta separazione tra religione e Stato ma che riconosca pari dignità ad ogni credo religioso, nel rispetto dell’art.8 della Costituzione, ma affermando la prevalenza delle nostre radici cristiane”. Un garbuglio lessicale e concettuale che si risolve affiggendo il crocefisso in Sala Rossa. Perché è un luogo sì di tutti, ma di più dei cristiani.
Verrebbe quasi da sorridere se non fosse che, sotteso a questo teatrino, c’è una “visione politica” che invece di risolvere i problemi trova dei capri espiatori, che divide i poveri da quelli ancora più poveri, che arruola i penultimi grazie alla paura per gli ultimi. Che discrimina e distrae. Come più volte accaduto nella storia della nostra civiltà, peraltro. Nulla di nuovo, quindi, anche queste sono le nostre radici.
E il sindaco che dice? Nulla. Il suo “sarò il sindaco di tutti i genovesi” non echeggia più in aula, il suo “non mi interessa il passato, sono qui per lavorare per il futuro di Genova” sembra lontano dal clima dell’assemblea che lo vede spettatore silente. L’impressione è che la lista delle piccole “rivincite” giurate in questi anni dal partito ora di maggioranza sia ancora lunga, e che manterrà occupata l’assemblea chissà per quanto. Eppure il tempo scorre, e i suoi “ci stiamo lavorando” prima o poi dovranno arrivare ad un dunque.
La discussione finisce, si vota e la mozione passa, con le opposizioni che prendono la parte dei presenti non votanti. Non si sa mai. Terminata la seduta, arriva la foto di rito dei proponenti, intorno ad un piccolo crocefisso sfoderato per questa vittoria.
Povero Cristo, verrebbe da aggiungere, ancora una volta venduto per trenta denari, baciato dai giuda “de niatri”, costretto al solito copione di spettatore immobile, silente e pallido di fronte ai disastri umani.
Per fortuna ad aspettarlo in Sala Rossa c’è già San Giorgio, ricamato nel gonfalone di Genova mentre sta per trafiggere il drago che striscia, con quella piccola medaglia che ci ricorda il prezzo di una libertà che fu persa un poco alla volta.
Nicola Giordanella
(Vignetta di Emanuele Giacopetti)