Quando il mondo diventa a misura di clic e tutto inizia a ruotare intorno a te, ai tuoi gusti e alle tue distrazioni, ai tuoi interessi e alle tue passioni. Che cosa significa "Filter Bubble"? Intervista a Claudia Vago, ligure, social media editor ed esperta di web
Non scopriamo niente di nuovo. Ormai in tutto il mondo si parla sempre più frequentemente di “Filter Bubble”, la “bolla”, una sorta di mondo su misura che ci avvolge quasi perfettamente quando navighiamo in rete e ci permette di trovare solo cose che ci piacciono o che pensiamo di voler cercare. Ne abbiamo parlato con Claudia Vago, ligure, vive a Chiavari, social media curator, esperta del web e già nota su twitter come @tigella; ci siamo fatti aiutare dal saggio pubblicato con il titolo “Il filtro” (thefilterbubble.com) di Eli Pariser, attivista ed esperto di web statunitense. Pariser scrive “il clic su un risultato di una ricerca costruisce un indizio della nostra personalità; i termini che cerchiamo rivelano i nostri interessi. Esiste un mercato dei comportamenti, ogni clic è merce e ogni movimento del mouse può essere venduto al miglior offerente…”. Da qui parte la sua definizione di Filter Bubble, in altre parole l’effetto che creano intorno a noi i servizi online che usiamo, su tutti, ovviamente, i social media (facebook, twitter, google+…).
Il clic su un risultato di una ricerca costruisce un indizio della nostra personalità. I termini che cerchiamo rivelano i nostri interessi. Esiste un mercato dei comportamenti, ogni clic è merce e ogni movimento del mouse può essere venduto al miglior offerente.
Siamo tutti i giorni sui social network ma non ne conosciamo i meccanismi, questa è la piaga in cui Claudia Vago mette il dito. Non si tratta certo di questioni tecniche, ma è importante conoscere nello specifico le funzioni, come sono stati pensati e perché. Questo semplice bagaglio di informazioni aiuterebbe a muoverci con maggiore intelligenza e cognizione di causa, a selezionare e capire, prima di scegliere o commentare e ci permetterebbe, soprattutto, di godere maggiormente delle infinite potenzialità della rete. «Ho l’impressione che meno ci interessiamo allo strumento e più aumenta il rischio di diventare noi stessi strumenti», è il pensiero di @Tigella.
«Tutte queste aziende, che hanno ovviamente lo scopo di fare soldi, raggiungono i loro obiettivi offrendo servizi sempre più rispondenti alle nostre esigenze – spiega Claudia Vago – e quindi tendono a raccogliere su di noi sempre più informazioni in modo da darci ogni volta la risposta che cerchiamo, che si tratti di consiglio di acquisto, del risultato di ricerca sponsorizzato che più si avvicina al nostro interesse o di un libro su Amazon».
Il meccanismo è “semplice” e si basa sulle azioni che facciamo ogni volta che siamo in rete: quando aggiorniamo il nostro stato social, postiamo un tweet, cerchiamo una ricetta di cucina, acquistiamo un volo o prenotiamo un hotel, forniamo i dati e le informazioni che, in continuo aggiornamento, contribuiscono a creare intorno a noi la bolla più adatta.
In modo ancor più semplice: se ci troviamo su Amazon, ad esempio, e girovaghiamo fra i titoli, sarà esso stesso a segnarsi quali copertine abbiamo ingrandito, quali recensioni abbiamo letto e ovviamente quale libro abbiamo comprato per poi mandarci via email i prossimi consigli per gli acquisti. E state tranquilli che se cercavate un libro di ricette ora anche gli annunci sul vostro newsfeed di Facebook saranno ricette di cucina, così come gli annunci pubblicitari di qualsiasi sito visiterete.
«Tutte queste operazioni messe in campo dalle piattaforme web – continua Vago – sono dei veri e propri filtri; le informazioni che la rete contiene sono infinite, si parla di information overload, quindi queste piattaforme tendono a volerci orientare in questo sovraccarico di informazioni utilizzando filtri basati su algoritmi, così da creare intorno a noi la bolla nella quale ci muoviamo convinti di osservare il mondo intero quando invece si tratta solo di una piccola parte, costruita su misura, selezionata a monte».
Una porzione di mondo, dunque, che ci è stata cucita addosso. «Tendiamo a vedere sempre più cose che ci assomigliano, a circondarci di persone che la pensano come noi, ed è qui che arrivano i pericoli: ogni giorno vediamo sempre più rafforzate le nostre opinioni e le nostre credenze perché quello che ci circonda sembra essere sempre sulla nostra stessa lunghezza d’onda. Questo a me spaventa, perché noi consideriamo il web come il luogo nel quale chiunque può esprimere e allo stesso tempo venire a contatto con qualsiasi opinione, poi nei fatti quello che succede è che veniamo a contatto solo con le cose che chi gestisce i servizi che usiamo intende farci vedere».
Il non avere coscienza, soprattutto sui social network, di vivere un’esperienza limitata soltanto ad una porzione di mondo ben selezionata, può portare di riflesso la persona ad una visione miope e a fare valutazioni non corrette sulla realtà che lo circonda. Appiattire e livellare personalità e conoscenza, capacità di analisi e di confronto. «L’errore è pensare che il web si riduca a ciò che scorre quotidianamente sulla timeline di twitter o facebook, occorre tenere sempre a mente che quello è il riassunto degli interessi che accomunano una cerchia di utenti. Partire da questo presupposto è importante per migliorare e rendere più interessante e stimolante la nostra esperienza in rete».
Ognuno di noi ha la possibilità di approfondire il funzionamento di algoritmi e cookie, non nel dettaglio, ma quanto basta per avere un’idea di quali sono le loro caratteristiche e come funzionano. I cookie sono le “tracce” (stringhe di testo) che vengono inviate da un server ogni volta che vi accediamo, ogni volta che visitiamo una pagina web o una piattaforma social. Gli algoritmi raccolgono una serie di dati rispetto alle nostre ricerche o ai nostri mi piace ecc… In entrambi i casi i dati raccolti serviranno (una volta venduti) a creare le bolle intorno a noi. D’altronde, lo stesso Facebook ci avverte: “Le notizie che vengono mostrate nella tua sezione Notizie sono determinate dalle tue connessioni e attività su Facebook”.
Spingerci ogni volta che navighiamo al di là della bolla significa ad esempio cercare informazioni su account twitter che non seguiamo, oppure per quanto riguarda gli hashtag scorrere sempre oltre quelli proposti e infine “armarsi” di browser che permettano di essere anonimi. È ovvio che non spetti alle stesse aziende spiegare nel dettaglio le dinamiche del loro operare finché queste rimangono nei confini, seppur sottili, della legalità. «Arriverà il momento in cui sarà compito della famiglia e delle scuole formare i ragazzi all’utilizzo consapevole del web. Anche partendo dall’abc, perché ancora oggi molte persone sono convinte ad esempio che avere un nickname voglia dire essere anonimi. Il fatto è che questi strumenti fanno parte del nostro quotidiano ma non ne sappiamo assolutamente nulla. É un problema in tutti i campi, un po’ come avere un’auto e non sapere dove mettere le mani in caso di guasto… Così sul web, andando avanti di questo passo dovremo sempre dipendere da altri».
Claudia Dani