Introdotta ieri la novità del social network più utilizzato al mondo: le Reactions. Alternative e complementari al classico “mi piace”, danno la possibilità agli utenti di esprimere stati emotivi differenti rispetto a un particolare contenuto. Amore, divertimento, meraviglia, tristezza, rabbia. Il grande assente, però, è il tasto “non mi piace”
Sono cinque e tutte in fervente movimento, le nuove Reactions di Facebook. Sistemate in fila sotto ad ogni post, su desktop si aprono al passaggio del mouse sul tasto “mi piace”, su mobile si apre una finestra al clic, da cui scegliere la faccina che meglio esprime il nostro stato emotivo riguardo a quel particolare contenuto. Dall’amore alla meraviglia, dalla risata divertita alla tristezza, sino alla rabbia. Agli appassionati di cinema ricorderanno le simpatiche emozioni antropomorfe portate alla ribalta dal film d’animazione Inside Out. Insomma, un modo per ricordarci che non siamo semplicemente macchine da like ma sappiamo andare anche oltre.
Alternative e complementari al classico tasto “mi piace”, le Reactions regalano quindi all’utente un ventaglio di possibilità emotive in più per esprimere opinioni sui vari contenuti. Mark Zuckerberg in persona, ieri, ha sottolineato la necessità degli utenti di avere più modi di esprimersi, spiegando come sia arrivato alla decisione di bypassare il tanto discusso tasto “non mi piace” e approdare alle Reactions. Il tutto in un tono pacato di politically correct, che rimarca la non necessità degli utenti di dire agli amici che quel contenuto proprio non piace.
Per ora, infatti, stando a Zuckerberg, la reazione più amata di tutte è stata quella dell’amore.
Ma cosa è successo alla vecchia e sana disapprovazione? C’è da chiedersi se la decisione di eliminare le espressioni di perplessità, disapprovazione o dubbio c’entri qualcosa con la volontà di mantenere Facebook al di fuori di terreni di scontro o discussioni, anche se in realtà è decisamente troppo tardi. La dimostrazione è data dalle migliaia di commenti sotto i post di attualità, in primis, ma anche quelli di diversi temi scottanti, in cui gli utenti non tardano a esprimere tutta la propria disapprovazione, spesso con toni decisamente fuori dalle righe.
La Reaction “angry”, secondo Zuckerberg, serve solo a esprimere rabbia per un particolare contenuto che ci colpisce in maniera negativa: la notizia di un ospedale raso al suolo in Siria dai bombardamenti aerei o quella di un cucciolo di delfino morto in spiaggia maneggiato dai turisti, si suppone. Nessun accenno allo stato emotivo di “ciò che stai scrivendo non mi piace, sono totalmente in disaccordo”. Perché mai eliminarlo, se ciò che accade nella realtà dei fatti dimostra che spesso, invece, è così? Una delle ragioni sembra proprio essere la volontà di proteggere gli utenti da eventuale bullismo da dislike, ma potrebbe non essere l’unica.
Un’altra ipotesi è la profilazione emotiva, quella che punta a ricordare, secondo l’utilizzo delle reazioni, le nostre preferenze di contenuto, per poterci riproporre in un secondo momento contenuti simili a quelli a cui abbiamo già espresso amore, meraviglia o divertimento.
Da questo punto di vista è molto più interessante sapere, per chi ci profila, ciò che ci suscita meraviglia, piuttosto che ciò che disapproviamo. Che sia quindi, oltre che una scelta politically correct, anche una questione di marketing?
Lo studio per le nuove Reactions è partito dalle risposte più comuni degli utenti nello spazio commenti sotto ad ogni post. “LOL” e “Love” si sono guadagnati i primi posti, insieme alle altre emoji più utilizzate, come quella triste o arrabbiata.
Quasi superfluo sottolineare come questi bottoni cambieranno radicalmente, con il tempo, il modo degli utenti di esprimersi e, parallelamente, il modo delle aziende di studiare gli insight delle loro pagine. Più risposte possibili da parte degli utenti significano più profilazioni, più dati da analizzare, più informazioni per studiare il target di riferimento.
Insomma, sicuramente le aziende o i grandi contenitori editoriali staranno già studiando i diversi temperamenti degli utenti, collegando le reazioni ai vari contenuti semantici di un post, per poi ricostruire le personalità vere e proprie. Il tutto nell’ottica di proporre contenuti – anche pubblicitari – perfettamente ritagliati, utente per utente.
Dall’altro lato dello schermo, non sono mancate le prime perplessità: passare dalla scelta obbligata del like ad un ventaglio di ben sei emozioni diverse sta mandando gli utenti in confusione. C’è già chi si chiede perché, se stiamo andando verso la semplificazione più assoluta, veniamo confusi con una serie di faccine la cui sfumatura di significato spesso si sovrappone (sì, questo mi piace, ma lo amo? È anche divertente, ma non solo), col risultato di farci abbandonare un contenuto senza esprimere alcuna opinione perché troppo complesso per il mondo dell’immediatezza dei social.
La conclusione è che, come tutti i cambiamenti epocali di un dato medium, ci saranno sicuramente pro e contro, livellamenti in corso d’opera e nuovi studi sui comportamenti umani all’approccio del mezzo. Per ora, non resta che capire se siamo meravigliati, tristi, divertiti o arrabbiati a riguardo.
Alessandra Arpi
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