Il 18 maggio del 2012 Facebook è stata quotata in borsa e la società è stata valutata ben 100 miliardi di dollari. In un anno il titolo ha già perso il 31%: sarà mai capace Facebook di “sostenere” una simile aspettativa di mercato?
Facebook. Miliardi di tastiere digitano ogni giorno queste otto lettere. Il social network più popolare del mondo, un sito internet capace in così pochi anni di invadere la vita delle persone come un gigantesco fiume in piena. Alle spalle un’azienda che conta poco meno di 5000 dipendenti, ma che viene valutata ben 100 miliardi di dollari al momento della quotazione in borsa (maggio 2012).
Spesso quando digitiamo una parola su google o facciamo l’accesso a Facebook ci chiediamo… ma da dove arriva tutta la ricchezza dei grandi colossi del web? I soli ricavi pubblicitari sono sufficienti per affermarsi in pochi anni superpotenze economiche su scala mondiale?
Si iniziò a parlare di “bolla tecnologica” sul finire degli anni novanta, quando l’entrata nel mercato azionario delle “dot-com” (puntocom), ovvero le società di servizi su internet (Google, Amazon, Yahoo! ecc..), generò una bolla culminata nel 2001 con il crollo a picco del valore delle azioni e il conseguente fallimento di molti presunti colossi (celebre fu il caso di Pets.com, ma ricordiamo anche webvan.com, etoys.com, oppure theglobe.com, considerato da molti il primo social network); per comprendere l’entità del crollo è sufficiente citare l’esempio di Amazon.com le cui azioni passarono da 107 a 7 dollari, ciò nonostante le aziende più forti riuscirono a rimanere in piedi. La stessa Amazon.com dieci anni più tardi vedrà salire sino a 200 dollari il valore delle sue azioni, per non parlare di Google, ovviamente.
Oggi a distanza di tempo in molti sono tornati a parlare di bolla speculativa della new economy, puntando il dito spesso e volentieri proprio sul re dei social network.
Senza pretesa d’essere esaustivi, cerchiamo di capirci qualcosa in più, con l’unico obiettivo di fornire al lettore uno spunto di riflessione.
Io ho un’idea per un sito web. Potenzialmente un ottimo business. Non ho capitale, sono nella fase di start up e raggiungo in poco tempo un numero spropositato di utenti. Ciò nonostante il business rimane potenziale, rimane una prospettiva, perché stando ai fatti i ricavi pubblicitari non riescono nemmeno a coprire le spese.
Non potendo restare in perdita all’infinito, ho bisogno di capitale per poter andare avanti, e se il mio “facebook” ha già raggiunto migliaia di utenti attivi ma io non riesco a guadagnarmi nemmeno un misero stipendio, è necessario che intervenga un investitore. Ma perché mai un investitore o un gruppo di investitori dovrebbe credere in me se la mia attività non genera ingenti guadagni?
È qui che interviene il venture capital, ovvero il fondo di investimento di cui ho bisogno, quello disposto a sopportare il rischio a fronte di un potenziale rendimento futuro di gran lunga più elevato. Il soggetto che effettua questa operazione viene chiamato venture capitalist: una volta ottenuta la valutazione della start up (operazione denominata due diligence), versa nelle tue casse la somma di denaro necessaria per sviluppare il tuo business. E naturalmente diventa socio.
Esempio. Mettiamo di aver bisogno di 500.000 euro e di trovare un fondo di investimento disposto a versarli. Ovviamente, prima di investire, questo soggetto vuole capire quale è il valore della mia azienda. Ipotizziamo che la società venga valutata 1.500.000 euro. A questo punto il valore totale dell’azienda risulterà essere la somma del valore pre – investimento (1.500.000 euro) più l’investimento effettuato per un totale di 2 milioni. Quale è il guadagno dell’investitore? Lui adesso rappresenta ¼ della società ed è a tutti gli effetti socio con potere decisionale sulle strategie societarie.
Superata la fase di start up, la società per ingrandirsi avrà bisogno di nuovi capitali e anche in questo caso il denaro non potrà arrivare dagli utili, bisognerà nuovamente affidarsi a terzi. La quotazione in borsa è il passo fondamentale che l’azienda compie per ottenere dalla vendita delle azioni denaro liquido da reinvestire. Le banche acquistano le azioni e le rivendono agli investitori, piccoli o grandi che siano. E quando l’azienda avrà bisogno di nuovi liquidi per crescere e svilupparsi procederà con un aumento di capitale e immetterà nel mercato nuove azioni. Un circolo senza fine.
Nel mondo della new economy la valutazione di una start up (due diligence) è sicuramente molto complessa, perché il mercato online ha la particolarità non da poco di non avere ancora una storia alle spalle, si tratta di modelli di business ancora inesplorati e il margine di errore è molto elevato. Quanti utenti raggiungi e quanti sei in grado potenzialmente di raggiungere? E una volta quantificato questo dato, che valore economico bisogna assegnargli? Una valutazione eccessivamente ottimistica potrebbe in breve tempo creare una forte disparità fra gli utili reali della società e il valore delle azioni. In parole povere, una bolla finanziaria.
Il 18 maggio del 2012 Facebook è stata quotata in borsa. Il titolo valeva 38 dollari al momento della quotazione, oggi, a poco più di un anno di distanza, è scambiato per 26 dollari: una perdita del 31%. Nello stesso anno i ricavi dell’azienda di Zuckerberg hanno raggiunto i 5,1 miliardi di dollari, facendo registrare un utile netto di 53 milioni. Parte dei ricavi viene ovviamente reinvestita e non figura come utile netto, ciò nonostante stiamo parlando di numeri che, ben lontani da stime e previsioni, non possono certo tranquillizzare gli investitori. Questo proprio a causa dell’eccessiva valutazione dello scorso anno. Ora la domanda sorge spontanea: sarà mai capace Facebook di “sostenere” una simile aspettativa di mercato?
Pubblicità, ovvero inserzioni a pagamento e post sponsorizzati (poco meno del 90% dei ricavi), ma anche giochi online “free-to-play” come ad esempio Farmville. Si tratta di giochi gratuiti prodotti dalla società Zynga i cui ricavi sono rappresentati da una serie di limitazioni al gioco che gli utenti possono scegliere di oltrepassare spendendo soldi reali. Circa il 10% delle entrate di Facebook arrivano proprio dai giochi Zynga.
Senza contare il valore commerciale di ogni singolo utente attivo sul social network. Non bisogna dimenticare, infatti, che ognuno di noi lavora quotidianamente per Facebook palesando le proprie preferenze e facendo quindi risparmiare alle aziende che faranno pubblicità tutta quella parte di lavoro dedicata alle strategie marketing e alle ricerche di mercato per riuscire ad indirizzare i propri messaggi pubblicitari direttamente alle persone potenzialmente interessate all’acquisto. È naturale che pubblicizzare schiuma da barba rivolgendosi ad un soggetto glabro non è il massimo del marketing… Per questo motivo le aziende hanno sempre lavorato sodo per portare a termine ricerche di mercato su vasta scala e centrare i loro obiettivi. Oggi per un’azienda fare pubblicità su Facebook singifica bypassare il problema, e questo grazie al “lavoro” non retribuito svolto da milioni di utenti.
Fare previsioni su quello che potrà essere il futuro di Zuckerberg e compagni non è ovviamente possibile. Quel che è certo è che siamo ancora in una fase in cui l’azienda è considerata giovane e quindi ancora con ampi margini di miglioramento (e quindi “profittabile” per chi ne acquista le azioni). Gli utili di Facebook potranno crescere vertiginosamente nei prossimi anni e raggiungere le stime fatte al momento dell’entrata nel mercato azionario… Oppure no. E questo significherebbe guai per la “f” più celebre del mondo.
D’altronde la caratteristica principale della new economy è proprio la velocità impressionante con cui le cose cambiano, anche drasticamente. Si può citare il caso di MySpace (oggi acquistata dal cantante Justin Timberlake che sta provando a rilanciarla), celebre social network della musica soppiantato completamente nel giro di pochi mesi da nuovi servizi come soundcloud.com. Il box qui accanto mostra la lista dei siti più visitati a livello mondiale nel 1999… Non è certo passato un secolo, eppure ben pochi di questi siti oggi vantano ancora numeri importanti. Molti sono addirittura scomparsi. Inutile dire che ciò potrebbe anche accadere a Facebook e in quel caso le stime fatte nel 2012 impiegherebbero pochi mesi per sgretolarsi facendo precipitare il valore delle azioni ed esponendo l’azienda americana al rischio crack.
Zuckerberg da tempo dichiara che il futuro del suo sociial network è nel mobile. La metà degli utenti iscritti, infatti, accede a Facebook da dispositivi mobili. Il lancio di Facebook Home va proprio in questa direzione. Il giovane enfant prodige, quindi, è pienamente convinto di riuscire a mantenere la sua creatura come primo riferimento per quanto riguarda il mondo dei social network ancora per molti anni. In questo senso va letta anche la decisione di acquistare Instagram, social network basato sulla condivisione di immagini, per una cifra vicina al miliardo di dollari (al momento dell’acquisto Instagram contava ben… 13 dipendenti).
Solo il tempo potrà dargli ragione. In caso contrario, ci ritroveremo davanti all’ennesima bolla finanziaria, senza sconti per nessuno.
Giorgio Avanzino