Lo storico violinista dei Modena City Ramblers racconta il suo rapporto con la musica fra mestiere e vocazione, prossimamente sarà ospite alla Claque per il workshop Buoni Esempi
Bouzouki, oud, banjo, violino, mandolino: cosa sono, da dove vengono… e come si suonano? Francesco Moneti, violinista e figura di punta dei Modena City Ramblers, sarà a febbraio a Genova per spiegare a un pubblico di professionisti, aspiranti tali o semplici appassionati che cos’è l’electro-folk. Ospite della Claque, Moneti parteciperà a Buoni Esempi, evento organizzato da Ultimo Piano Records in collaborazione con La Claque-Teatro della Tosse: quattro seminari sulla tecnica e “filosofia” del lavoro del musicista, ognuno tenuto da un professionista diverso, da Bubola a Zamboni. Tutti nomi di spicco, che hanno segnato la storia della musica italiana.
Ma concentriamoci su Francesco Moneti… la sua ventennale fama di musicista sicuramente lo precede: figlio d’arte (il padre era il chitarrista dei Kiks), dagli esordi nei primi anni ‘90 negli Inudibili (oggi Negrita) al progetto della Casa del Vento con Stefano “Cisco” Bellotti e Massimo Giuntini, fino al grande successo con i Modena.
Tante le esperienze musicali. E sicuramente variegate. Dopo il boom di notorietà con i MCR, dal 2009 hai avviato un nuovo progetto, FryDa, un duo di violino e fisarmonica, cui hai dato vita insieme al collega, ex-MCR, Daniele Contardo. Due scelte sicuramente di pregio, ma opposte. Dalla cresta dell’onda, all’ “auto-esilio” in club di nicchia per un pubblico esclusivo. Come mai questa decisione?
«Non sono opzioni antitetiche. È stata piuttosto una scelta necessaria, quella di portare avanti contemporaneamente tanti progetti e varie collaborazioni con artisti di spicco. I nomi sono davvero tanti: Omar Pedrini, Lele Battista, Giulia Tripoti, Mau Mau, Bandabardò. E molti altri, italiani e internazionali. Così come i progetti musicali: negli anni ’90 sono stato tra i fondatori del gruppo irish-folk Casa del Vento che di recente ha collaborato con Patty Smith. In più, ci sono e ci sono stati naturalmente i Modena, e poi sono approdato da tre anni a FryDa, che mi dà la possibilità di esibirmi con Daniele in piccoli locali, davanti a un pubblico sì esiguo, ma sicuramente più attento, per cui cosa suoni e come lo esegui sono due fattori di fondamentale importanza. Questo un po’ mi manca con i MCR… Mi piace, eccome, suonare in una band, ma eseguire la stessa scaletta, seguire gli stessi copioni… mi uccide! Per questo, da sempre ho l’esigenza di fare tante cose, iniziare molti progetti, collaborare con artisti dai diversi background musicali. Mi fa crescere, è stimolante. Pensa che da un anno a questa parte ho voluto sperimentare anche l’ebrezza di essere “dietro ai riflettori”, e così ho iniziato a produrre musica. Mi piace molto il ruolo di produttore che sto sperimentando con la band Rossopiceno… Non da ultimo, con FryDa abbiamo composto la colonna sonora del film “Re Nero” di Valerio Oldano, thriller presentato proprio in questi giorni all’Asti Film Festival. Volevo stare dall’altra parte, per una volta lontano dalla mischia».
A proposito di cinema, non è l’unica volta in cui hai avuto a che fare con questo mondo. Prima di Re Nero, la parte di musicista-attore in Gangs of New York di Martin Scorsese. Come sei approdato al grande schermo, forte passione o solo questione di fortunate coincidenze?
«Un po’ entrambe le cose. Sono da sempre un appassionato di cinema, ma con “Gangs of New York” è stato tutto un caso, una serie di favorevoli congiunzioni astrali, diciamo. Produzione hollywoodiana, regista che non ha bisogno di essere commentato, cast stellare (solo qualche nome: Daniel Day Lewis, Di Caprio, Cameron Diaz). E, di conseguenza, costi stratosferici. Per questo, quando il film è arrivato a Cinecittà per girare buona parte delle riprese, la produzione ha deciso di avvalersi di collaboratori e attori “in loco” per ridurre le spese… e hanno chiamato me. Mi sono ritrovato a girare alcune scene in cui interpretavo il ruolo di un musicista irlandese. Una in particolare, quella in cui eseguo un assolo di violino, mi è rimasta dentro: non posso non pensare che ha fatto il giro del mondo e in Giappone, negli USA, dappertutto dove è arrivato questo film, è arrivata la mia musica».
Dal cinema, alla radio. Un musicista e musicofilo come te, sicuramente vivrà in prima persona la problematica del monopolio radiofonico di certi tipi di artisti, più “mainstream”, e di certi tipi di canzoni. Pensi che lo sviluppo delle web radio sia un buon modo per ovviare al problema? Hai fiducia in un futuro di musica “liberalizzata”?
«Tutto è possibile! In un panorama musicale asfittico, in cui le radio sono oligopolio dei vari Ligabue e Vasco Rossi –senza nulla togliere-, ben venga dare spazio ad artisti “minori”, meno nazional-popolari. Già è diffusa la tendenza per le giovani band di sfruttare nuovi mezzi come YouTube e MySpace per inserire i loro video online. Per farsi conoscere, e aggirare così sia le acque melmose delle “radio sottobosco” che la piramide insormontabile delle radio più famose».
Democratizzare la scena musicale tramite i nuovi media, d’altronde, è un fenomeno inevitabile: è avvenuto nel campo giornalistico, con il fenomeno del “citizen journalism”, e c’è da scommettere che anche la musica non ne resterà immune. Non c’è però il rischio di farci sommergere da troppe realtà, troppo piccole?
«È un rischio da correre. Starà agli utenti discernere il prodotto buono dall’ennesimo caso di strimpellamento adolescenziale».
Ancora giovane (classe ’69), ma con una lunga carriera alle spalle e collaborazioni di prestigio, nazionali e internazionali. Hai calcato il palcoscenico milioni di volte: la tensione, l’”ansia da prestazione” c’è sempre o è passata?
«Mentirei se dicessi che provo, a 43 anni, le stesse emozioni che provavo a 26! Però questo mio ultimo progetto, FryDa, mi ha dato la possibilità di rimettermi in gioco. Una specie di “ricambio di sangue”: avere a che fare con i giovani mi ha fatto provare emozioni primordiali. Fare il musicista per me è una condizione in bilico tra mestiere e vocazione, tra routine e fuoco sacro».
Un mestiere, il suo, sicuramente carico di soddisfazioni e riscontri positivi. Non da ultimo, il fatto che, sulla scia di Buoni Esempi di Genova, anche in Sicilia, Sardegna e Marche gli sia stato proposto di tenere dei workshop per portare in giro il suo “electro-folk” e i suoi strumenti, così poco “classici”. Bello che proprio da Genova, tristemente nota per l’atrofia della sua scena musicale, vengano esportate iniziative pregevoli come questa.
Salutiamoci con una nota positiva, con un po’ di speranza. Dicci perché ti definiresti un “buon esempio”… «I buoni esempi, secondo me, sono personaggi che, pur muovendosi in un’area indipendente e spesso alternativa al grande mercato, hanno ottenuto risultati nel campo della musica. In un momento di situazione economica incasinata e crisi generale, fare seminari con gente che da decenni dedica la propria vita alla musica è di buon auspicio. È bene promuovere l’esempio di chi coniuga passione e mestiere».
Elettra Antognetti
Gli stage si svolgeranno di domenica con orario 10,30 – 13,30 / 15,30 – 18,30 c/o lo Spazio 25 o c/o La Claque, a numero chiuso (30 partecipanti massimo). Le iscrizioni si chiudono una settimana prima della data prevista per lo svolgimento (febbraio 2013).
Per info e costi: 348.2682852 . Iscrizioni presso la biglietteria del Teatro della Tosse, Piazza Renato Negri, 4 16123 Genova – 010 248 7011 info@teatrodellatosse.it o upr@upragency.com. I programmi dettagliati sul sito www.upragency.com