Edvard Munch, il pittore in mostra a Genova è il protagonista del romanzo grafico di Giorgia Marras, genovese classe ’88, diplomata presso l’Accademia Ligustica: «Ho provato molta empatia nei confronti di Edvard, leggendo i suoi diari, i suoi pensieri, le sue annotazioni...»
Se amate la figura e l’opera di Edvard Munch, o se avete visitato la mostra a Palazzo Ducale e vorreste scoprire di più sull’inquieto artista, è appena uscito un libro perfetto per voi: “Munch before Munch”, graphic novel scritta e illustrata dalla giovane Giorgia Marras, che ha dato vita a un’opera interamente dedicata alla figura adolescente del tormentato artista: «Innanzitutto con Silvia Pesaro, editrice di Tuss, volevamo dare vita a un’opera che riguardasse Munch» racconta Giorgia. «All’inizio avevamo pensato a un libro illustrato, ma la mia passione per le biografie storiche, combinata al linguaggio del fumetto a me più familiare, ci hanno portato a optare per una graphic novel su Edvard Munch. Forse molti non lo sanno ma Edvard scriveva tantissimo. Teneva molti diari in cui annotava pensieri, situazioni, ricordi, dialoghi. Ecco, credo che una delle cose che mi ha affascinata di più da subito siano state le sue parole, il suo speciale sguardo verso le cose del mondo». La coincidenza con la mostra genovese «è stata una felice casualità e una buona occasione per presentare questo lavoro partendo da Genova. Gli stimoli più grandi in realtà sono stati due: la ricorrenza del 150° anniversario della nascita di Edvard Munch e il bisogno di scavare negli aspetti della sua persona ancora poco conosciuti qui in Italia».
Ma come funziona il lavoro quando sei a un tempo illustratore e romanziere? Dare vita a una storia non solo attraverso la trama ma pensandone anche ogni singola immagine è un lavoro complesso e faticoso eppure proprio per questo molto più appagante, una volta che il risultato comincia a prendere forma: «È stato difficile, ma questo è il tipo di lavoro che preferisco in assoluto, quindi è stata una fatica “sana”. Solitamente parto da immagini o scene che considero importanti e belle, che immagino e che lascio “maturare” nella mia testa. Dopodiché realizzo una scaletta, tenendo conto della struttura della storia e poi passo ai dialoghi: li scrivo di getto, li butto, li riscrivo… forse è uno dei momenti più delicati. Infine disegno uno storyboard per rendermi conto delle inquadrature, dei ritmi e delle esigenze visive della storia e, per ultimo, concludo con i definitivi». Parlando della tecnica usata per le sue tavole in bianco e nero, Giorgia spiega: «Ho scelto una tecnica che potesse in qualche modo rimandare ai lavori grafici di Munch (molti dei quali sono sconosciuti ai più). Ho utilizzato della carta a grana ruvida e un pennarello-pennello molto popolare tra i fumettisti, il Pentel-Brush Pen, che usato in una certa maniera conferisce al tratto un segno “graffiato”. Ho completato il tutto con della matita nera sfumata, per i mezzi toni».
Sullo squisito sfondo di una perfetta ed evocativa ambientazione d’epoca, ricreata nei minimi dettagli dalle strade alle architetture, dalle acconciature agli abiti di fine Ottocento, «protagonisti sono gli anni di formazione di Munch, ovvero da quando ha circa diciassette anni e decide di abbandonare gli studi d’ingegneria per intraprendere una carriera artistica fino ai suoi trentacinque anni, quando per la prima volta ottiene un riconoscimento dall’ambiente culturale norvegese. La vita di Munch è stata densa di avvenimenti e anche altri fasi della sua esistenza sono degne di essere raccontate, ma ho scelto di focalizzarmi sui primi anni – precisa l’artista – perché affrontano delle tematiche a me più care, forse anche perché anche io mi trovo in un momento di crescita/formazione».
Ambientare il racconto in Norvegia non è stata cosa facile per Giorgia, dal momento che non ci ha mai vissuto né l’ha visitata personalmente, ma ha investito grandi energie per ovviare a tale mancanza, documentandosi in ogni modo possibile: «La difficoltà maggiore credo sia stata quella di provenire da una cultura totalmente diversa da quella scandinava. Diciamo che quando disegno e scrivo scene ambientate a Parigi o in Germania mi sento più a mio agio perché ho vissuto in quei paesi e ho assorbito un certo modo di fare. Ho un grande repertorio visivo, d’atmosfere. Ecco, io non ho avuto la possibilità di vivere un po’ la Norvegia, d’incontrare e interagire con norvegesi. Allora ho cercato di compensare con le preziose indicazioni di Silvia (Pesaro, editrice di Tuss, ndr), che si è recata ad Oslo per documentarsi e per intervistare la curatrice della Galleria Nazionale e il responsabile dell’Archivio dei diari di Munch presso il Munch Museet. Inoltre ho letto tutte le pubblicazioni possibili riguardanti Munch, ho visto film norvegesi, ho cercato foto d’archivio di quell’epoca».
La lettura dei diari dell’artista, dalla nota personalità depressa e nevrotica, è stata fondamentale per carpire più informazioni possibili sul suo carattere e riuscire poi a farle riemergere nei disegni: «Uno su tutti “Frammenti sull’arte”, una selezione di scritti di Munch tradotti dal norvegese dallo psichiatra Marco Alessandrini. Questa è stata una delle poche documentazioni trovate in italiano. Per il resto solo documenti in inglese e francese, come il dettagliatissimo libro di Atle Næss, “Munch, les couleurs de la névrose”».
Ed ecco che l’Edvard adolescente ha preso lentamente forma, le parole dei suoi stessi diari venendo assorbite e poi filtrate dalla penna e dalla fantasia dell’artista: «Ho cercato di essere il più fedele possibile agli scritti in mio possesso, ma credo che scrivere una storia biografica acquisti senso nel momento in cui va oltre un elenco oggettivo di fatti accaduti. Ho provato molta empatia nei confronti di Edvard, leggendo i suoi diari, i suoi pensieri, le sue annotazioni. Ho cercato di capire quali sentimenti potesse provare in determinate situazioni, che gesti avrebbe compiuto, che tipo di fisicità avrebbe posseduto. Da lì sono partita per creare il “mio” Edvard che ha una base di veridicità storica ma anche delle sfumature che appartengono al mio mondo».
Gestazione e realizzazione del libro sono avvenute in diverse città, il che dà un sapore molto “europeo” a questo lavoro: «Il lavoro di ricerca, scrittura e storyboard l’ho realizzato a Genova; in Austria, a Linz (dove Giorgia ha vinto una residenza artistica nell’ambito di un programma della Commissione Europea) ho realizzato i definitivi. L’esperienza a Linz di per sé è stata davvero arricchente perché ho vissuto in mezzo ad artisti contemporanei molto in gamba provenienti da tutta Europa. Vivere con loro ha significato scambiarsi opinioni, pensieri, modi di pensare e di lavorare. Essendo io la più piccola ho cercato di assorbire come una spugna tutti gli input che mi venivano dati».
Il piacere della lettura sta soprattutto nel riuscire a immedesimarsi in ciò che si legge, e il protagonista di questa storia, con tutte le sue paure, le sue ossessioni, la sua inclinazione alla depressione, ben riflette le angosce esistenziali che attraversano i nostri tempi: «Questo è un nodo focale che mi ha guidato fin dal primo momento della creazione della storia. Mi sono subito chiesta: che senso ha raccontare di una persona morta da settant’anni, che non ho mai conosciuto e che appartiene a una cultura e un’epoca lontana dalla mia? Io credo che tutto questo acquisti un senso nel momento in cui si cerca di raccontare la complessità dell’animo umano (e l’animo umano non resta forse sempre lo stesso, nelle sue caratteristiche fondamentali, nonostante lo scorrere delle epoche?) di Edvard, dei suoi problemi, delle sue angosce e delle sue aspirazioni, così tanto simili a un qualsiasi giovane che ha un sogno e che lotta per esso con tutte le proprie forze. Per esempio, Munch ci ha messo quindici anni per ottenere un riconoscimento dall’ambiente culturale norvegese, che lo ha criticato aspramente e ha ottenuto un grandissimo successo e importanti commesse prima in Germania e solo molto tempo dopo nel suo paese natio. Questa situazione non è attualissima, oggi?».
Claudia Baghino