Colori vividi e allegri, uno sguardo di bambino sul nostro tormentato mondo odierno, ed ecco che la giovane artista crea opere che gli stessi fruitori definiscono “antidoto alla tristezza”
Hélène Cortese, classe ’75, è un’artista genovese. Cresciuta in una famiglia amante dell’arte e piena di creatività, per lei la scelta di intraprendere professionalmente questo non sempre facile percorso è giunta in maniera molto naturale.
Come è avvenuta la tua formazione artistica? Quando e come hai preso la decisione di fare l’artista e di farne un mestiere?
«Ho frequentato il liceo Artistico Nicolò Barabino e mi sono laureata in Conservazione dei Beni Culturali, perché l’ambiente familiare ha contribuito a questa mia scelta, avendo la madre ritrattista e una cugina designer; mio padre, inoltre, dal quale ho ereditato la creatività, mi ha fatto partecipare fin da piccola a concorsi e mostre. Ho così iniziato molto presto ad entrare in questo mondo e, fin dai primi anni di università e alla fine dei miei studi, dopo tante mostre e lavorando contemporaneamente in altri campi, ho deciso di dedicarmi soltanto all’arte. Tutte le esperienze che ho fatto sono state comunque stimolanti e mi hanno portato al risultato di oggi».
Mi ha colpito molto il modo in cui nelle tue tele restituisci la realtà: un’interpretazione mi viene da dire soave, colorata, che sembra arrivare direttamente dagli occhi di un bambino, nei colori e nelle forme essenziali, ma soprattutto priva dello sgomento che caratterizza tanta arte odierna, profondamente legata alle angosce del nostro mondo attuale. Come mai scegli questa via così serena di rappresentazione? Ha a che fare con il tuo carattere? O è una sorta di catarsi proprio dalle brutture del reale?
«Grazie per la domanda molto indovinata. Penso siano entrambe le cose: se i momenti della vita di maggior sofferenza sono anche quelli più fecondi artisticamente, è per come sono fatta, ma il risultato è sempre qualcosa di gioioso, nonostante a volte appartenga, appunto, ad un periodo triste.
Probabilmente la mia creatività, unita al forte senso del colore, è un antidoto agli episodi negativi della vita, è un modo per vivere, sia pur virtualmente, in un “habitat” che, in qualche modo, mi accoglie, mi conforta e mi fa sognare e questo lo riscontra anche chi apprezza il mio lavoro.
Infatti, ultimamente, mi sono sentita dire da chi ha acquistato le mie opere che, nel momento attuale così duro, colore e vitalità aiutano ad evadere dalle preoccupazioni e dai pensieri malinconici».
Tele, ma anche terrecotte e ceramiche: sono mezzi artistici molto tradizionali, anche qui un po’ in controtendenza con le tendenze odierne, penso a tecniche completamente diverse come videoarte o altri media digitali che ormai prendono sempre più piede. C’è un motivo particolare per cui usi certe tecniche piuttosto che altre?
«Entrambe le tecniche, per strane combinazioni del destino, hanno scelto loro me e non viceversa e non le ho più abbandonate, essendo, per ora, il mezzo di comunicazione che più riesce a tradurre la mia fantasia in un’opera concreta.
Ad esempio nel Ponente ligure c’è una grande tradizione legata alla ceramica, mentre io, lavorando più a Levante, vedo che molti rimangono spiazzati quando presento opere in terracotta, perché non sono abituati a vederne di simili e ad immaginarle inserite in un ambiente, io, invece, lo reputo un materiale fantastico, molto caldo ed unico che dovrebbe affascinare oltre che per l’originalità dei pezzi; purtroppo, spesso, si è diffidenti verso tecniche d’espressione che non si conoscono bene e si tende a non sperimentarle. Questo penso mi penalizzi a volte, in quanto, purtroppo, l’arte attuale è influenzata dalle mode e la richiesta spesso segue questo meccanismo. L’Arte dovrebbe essere oltre la moda e le tendenze: è un valore universale per eccellenza con qualsiasi tecnica o mezzo venga espresso».
Hai esposto anche in Francia: che idea ti sei fatta del ruolo dell’artista fuori dall’Italia? Un artista qui riesce a vivere di quello che fa? E fuori?
«Forse all’estero c’è più rispetto per il “mestiere” d’artista come figura, ma questo non significa che non ci sia la stessa difficoltà per affermarsi; inoltre ho riscontrato un forte “nazionalismo” e la tendenza a portare avanti gli artisti locali, mentre in Italia è quasi l’opposto. Inoltre, specialmente in Italia, ci sono tanti bravi creativi ed anche per questo è difficile riuscire a vivere del proprio lavoro».
Cosa ispira le tue creazioni? Luoghi, persone, avvenimenti…? Cosa vorresti che provassero le persone davanti a un tuo quadro o tenendo in mano un oggetto realizzato da te?
«Tutto può stimolare la mia creatività, anche se sinceramente non faccio fatica a produrre ambienti ricchi di forme e colori, diversi fra loro; probabilmente è una esigenza innata, che soddisfa la mia ammirazione per tutto il creato.
Ultimamente mi sono dedicata alla progettazione di testiere per letti; tutti mi hanno detto “che cosa strana!” Io non so perché ho avuto questa idea, ma era tanto che ci pensavo, forse è la sintesi di qualche viaggio che ho fatto con la passione forte per la casa e l’arredamento; non so a volte da dove arrivino le idee, l’importante è che continuino ad arrivare…
Ascolto con molta attenzione quello che provano le persone quando sono davanti ad un mio quadro o vedono un mio lavoro e mi dicono che comunica sensazioni molto positive, come gioia, freschezza e speranza, forse perché i miei pezzi sono ispirati alla natura e hanno colori caldi e forti, qualunque sia il motivo, non potrei essere più soddisfatta del risultato e non potrei desiderare altro».
Cosa significa secondo te essere un artista oggi? Cosa ti spaventa di più e cosa ti dà l’energia per andare avanti?
«Per me essere artista oggi come ieri, significa avere il coraggio di fare una scelta non facile soltanto per concretizzare il proprio sentire. L’energia me la danno le persone che apprezzano e capiscono le cose che faccio e che m’incoraggiano e mi fanno comprendere che ho intrapreso la strada giusta».
Claudia Baghino