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Dal 9 maggio al 30 giugno i lavori dell’artista messicana a Villa Croce: per la prima volta con una personale in un museo italiano, Aranda espone opere create appositamente per la mostra. Ne parliamo con la curatrice del museo, Ilaria Bonacossa
Nei locali del Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova è arrivata la mostra di Julieta Aranda. Dallo scorso 9 maggio, fino al prossimo 30 giugno sarà possibile visitare (da martedì a venerdì, con orario 9-18.30, e sabato e domenica dalle 10 alle 18.30) i lavori dell’artista messicana: un’indagine aperta sull’idea di tempo e sulle costruzioni sociali che articolano la nostra vita quotidiana. Proprio il 9 maggio si sarebbe dovuta tenere una cerimonia di inaugurazione e una conferenza stampa alla presenza dell’artista.
Tuttavia, i festeggiamenti sono stati sospesi a causa dei tragici eventi che hanno colpito il Porto di Genova. La mostra è stata quindi aperta, ma senza clamore: così ha preferito sia l’artista che il team del museo. Per la prima volta in Italia con una personale, Julieta Aranda –artista contemporanea di fama internazionale- parte proprio da Genova la sua avventura nel nostro paese, con una mostra ad hoc costituita da opere create appositamente per la prima personale dell’artista in un museo italiano. Organizzata dal Settore Musei del Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce, l’esposizione è stata fortemente voluta da Ilaria Bonacossa, curatrice del Museo di Villa Croce. Siamo andati a fare due chiacchiere proprio con lei e ci siamo fatti raccontare un po’ di retroscena sull’esposizione.
Due parole sull’artista. Chi è Julieta Aranda?
«Difficile riassumere in due parole il percorso di un’artista della sua portata. Sono davvero tante le cose da dire su una figura dalla personalità poliedrica e interessante come quella di Julieta. Ci legano un’amicizia e una conoscenza profonda, che hanno portato Julieta a Genova, proprio a Villa Croce. Nata a Città del Messico, Julieta Aranda vive fra Berlino e New York. Classe 1975, ancora giovane, ha già girato mezzo mondo, affermandosi come nome indiscusso nel panorama artistico contemporaneo e partecipando a numerose collettive e importanti manifestazioni internazionali d’arte contemporanea: dalla Biennale di Mosca nel 2007, a quella di Venezia nel 2011, passando per dOCUMENTA13, del 2012. Interessante in particolare un suo progetto, cui ha dato avvio assieme all’amico Anton Vidokle: i due dirigono dal 1999 e-flux, un progetto di network internazionale per la divulgazione artistica, un grande portale online che svolge funzione di informazione in campo artistico e che, partito in via sperimentale e più rudimentale, muove oggi flussi di 90 mila persone al giorno. e-flux ha attivato anche una newsletter che invia due comunicazioni al giorno ai suoi iscritti, informandoli su eventi e nuove tendenze in campo artistico. A e-flux hanno aderito negli anni anche altri artisti della cerchia di Aranda e Vidokle, che ora scrivono sul portale e permettono di gestire un flusso informativo costante e più che cospicuo. Si pensi che un annuncio su e-flux arriva a costare anche 800 euro: questo a dimostrazione dell’importanza assunta dal portale! Gran parte delle entrate degli annunci sono reinvestiti dagli artisti in altri progetti: ad esempio, è stato creato uno spazio espositivo a New York, una sorta di “banco dei pegni” (“pawn shop”) in cui gli artisti possono scambiare i loro lavori, e uno spazio per l’affitto e l´archivio di video tramite e-flux, che funziona anche come portale autogestito per la condivisione di progetti d´arte contemporanea. Si tratta dei progetti Time/Bank, Pawnshop ed e-flux video rental che, avviati nell’ e-flux storefront di New York, hanno fatto poi il giro del mondo. Nonostante i suoi impegni in giro per il mondo, Julieta è riuscita a essere a Genova in occasione dell’inaugurazione di If a Body Meet a Body, restando nella nostra città una settimana. Purtroppo adesso è tornata ai suoi impegni, ma le sue opere restano per fortuna qui, e sono visitabili ancora per tutto il mese di maggio e giugno».
Quali sono i temi affrontati dall’artista? C’è un “filo rosso” nella sua produzione?
«Sicuramente, l’idea di tempo e le costruzioni sociali che articolano la nostra vita quotidiana. I suoi progetti spesso aspirano a riconfigurare i rapporti economici che regolano il mondo dell’arte, offrendo agli artisti la possibilità di diventare agenti attivi e non soggetti passivi di un’economia post-capitalista. Inoltre, tra i tanti lavori, significativo soprattutto il progetto You had no ninth of May! (Non avete avuto il nove maggio!), in cui analizza l’artificiale costruzione dell’idea di tempo, attraverso un archivio di mappe e fotografie scattata sulle isole di Kiribati, nel mezzo del Pacifico, il luogo geografico in cui nel 1995 si decise di spostare la posizione della linea internazionale della data, creando uno sfasamento temporale e passando da oggi a dopodomani». E nella personale di Genova? «Anche nella mostra genovese l’artista ripropone questi temi: dalla riflessione sulla trasformazione della dicotomia lavoro manuale-lavoro intellettuale nell’era della new economy, dei new media e dello strapotere tecnologico, con la formazione di un nuovo “semiocapitalismo” in cui sono le facoltà cognitive –e non più il lavoro fisico- ad essere asservite agli interessi del capitale. Da qui, il costante richiamo nelle opere esposte al rapporto e dicotomia testa-corpo».
Come nasce l’idea della mostra a Villa Croce?
«Quando arrivò, tempo fa, a Villa Croce per fare una visita, Julieta rimase molto incuriosita dal fatto che in una stanza c’era una collezione di sole teste scultoree, opere appartenenti al museo e create da alcuni importanti artisti liguri (Guido Galletti, autore del Cristo degli Abissi di Portofino, Guido Micheletti e Savina Morra) nella metà del secolo scorso. Questo ha molto suggestionato Julieta, che già si interrogava sui rapporti testa-corpo, pensiero-forza fisica, lavoro manuale-attività intellettuale, e lo spettacolo che ha trovato a Villa Croce le ha dato l’input di cui necessitava per mettere a punto i suoi lavori e organizzarli in un tutto organico. L’artista, tra inquietudine e fascinazione, ha iniziato a interrogarsi su cosa pensassero quelle teste e cosa ci fosse dentro di esse, cosa nascondessero. Ma non solo questo: sempre presente il riferimento –peraltro molto attuale- ai nuovi percorsi economici che si sono venuti a delineare nel momento storico dello strapotere tecnologico e al crollo della consueta divisione testa-corpo. Crollata questa scissione, siamo giunti nell’era del web, in cui tutti lavoriamo con la testa e spesso non riconosciamo il nostro corpo. Colletti bianchi e tute blu non esistono più, o forse sono diventati la stessa cosa: anche i vestiti non sono più fattore di discrimine tra classi sociali e magari l’operaio sotto la tuta blu cela vestiti griffati, mentre Marchionne va in giro in maglioncino. Inoltre, qui a Genova è nata anche la riflessione sull’idea di commemorazione: le teste scultoree hanno richiamato in lei quest’idea, che poco dopo ritrovò in Giappone. Qui, Julieta ebbe la possibilità di visitare un museo di calligrafia, in cui vide statue rappresentanti calligrafi rappresentati con le mani mozzate e trovò suggestive somiglianze-contrasti con la collezione genovese».
Ci racconti come si struttura l’esposizione.
«La mostra è multimediale: sculture, video, foto, disegni, installazioni. Per cominciare, Aranda ha reinstallato le teste delle collezione di Villa Croce, incrementandole e creando quella che si può definire “una collettività eterogenea fatta di sole teste”. In un’altra stanza, invece, ha inserito una serie di sole mani (dalle suggestioni ricevute dall’esposizione visitata in Giappone), che vogliono essere le mani di operai e, in contrasto con le teste, rappresentare il lavoro manuale, opposto a quello intellettuale. Poi, ha inserito anche video che esplorano il tema del pensiero: cosa pensano queste teste, quali meccanismi interiori celano, quali idee condividono? C’è anche un lavoro precedente, che Julieta ha pensato si inserisse bene nel contesto: “Tools for Infinte Monkeys”, una stanza intera le cui pareti sono coperte da una sorta di carta da parati dattiloscritta. Il titolo rimanda alla storia di cui si era parlato in Gran Bretagna, di alcune scimmie che, chiuse in una stanza e dotate di matita e macchina da scrivere, avrebbe mangiucchiato la matita e optato per la dattilografia. Le scimmie sarebbero riuscite a comporre circa 4, 4 pagine e mezzo, le stesse riprese da Aranda, ingrandite e usate per ricoprire le pareti. Nella stanza, anche una macchina da scrivere modificata, con la sola lettera f, che sembra essere quella più utilizzata dalle scimmie. Si era arrivati al paradosso di sostenere che le scimmie sarebbero state in grado di riscrivere le opere di Shakespeare, ma in realtà senza cognizione di causa gli animali premevano sempre i soliti tasti giusto per sentire il rumore prodotto dalla macchina. Julieta esplora anche questo territorio e osserva questi alter-ego umani, nel loro rapporto corpo-testa. Infine, dei disegni a parete fatti a vinile rappresentanti popolazioni acefale del ‘700, considerate selvagge e “senza testa”. Aranda, nella sua personale, comunica l’immagine violenta di una individualità contemporanea decapitata, smembrata e disarticolata nelle sue componenti essenziali».
If a Body Meet a Body: da dove questo titolo?
«Un titolo che incuriosisce e che, a ben guardare, è carico di rimandi colti. A partire dalla canzone scozzese scritta nel 1782 da Robert Burns, “Comin Thro’ the Rye” (ovvero all’incirca “Attraversando la Segale”), che dice proprio così: “Gin a body meet a body/Coming through the rye/Gin a body kiss a body/Need a body cry?”, se una persona incontra un’altra persona attraversando la segale; se una persona bacia un’altra persona, ha bisogno di piangere? La canzone è tanto comune e tanto conosciuta, da essere stata riprese nel celebre romanzo “Il Giovane Holden” di Salinger. Ma perché questa scelta? L’artista ha rivelato che il titolo fa riferimento soprattutto al testo di Salinger, in cui il protagonista, interrogandosi sul suo futuro, modifica inavvertitamente la strofa di una poesia ottocentesca trasformando il verso “if a body meet a body” in “if a body catch a body” (da cui il titolo originale del romanzo “The Catcher in the Rye”). Se il giovane Holden immagina che il suo destino sia quello di afferrare i corpi “prima che cadano nel burrone”, Julieta recupera l’importanza dell’incontro fra corpi, lasciando intendere che da esso possano scaturire infinite possibilità».
Elettra Antognetti