Dopo le inchieste sulle infiltrazioni mafiose alla Maddalena e sui rapporti fra mafia e politica a Genova e in Liguria con il contributo della Casa della Legalità, ci concentriamo qui sul settore dell'edilizia con il responsabile dell'Osservatorio sulle Mafie in Liguria di "Libera"
Mafie a Genova e in Liguria, atto terzo. Dopo l’inchiesta pubblicata nel numero 58 di Era Superba sulle lotte quotidiane della Maddalena (affiancata dall’approfondimento online sul Cantiere della Legalità e il futuro dei beni confiscati alla famiglia Canfarotta) e l’intervista nel numero 61 a Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità, che ha tracciato un quadro di inquietante vicinanza tra politica ligure e malavita, è la volta di Luca Traversa, responsabile dell’Osservatorio sulle Mafie in Liguria di Libera, che ci aiuta a puntare i riflettori su uno dei settori più tipicamente sensibili alle infiltrazioni mafiose: l’edilizia.
Nel perseverante contesto di crisi economica, soprattutto nel nord Italia abbiamo assistito alla nascita di nuovi piccoli imprenditori edili che possono offrire denaro fresco (e sporco) al posto di, o in aiuto a, tradizionali protagonisti del settore che hanno problemi di liquidità. Gli esempi nostrani che citeremo non sono altro che la conferma di questa tendenza: gli imputati sono quasi tutti piccoli o medi imprenditori edili, fruttivendoli o piccoli commercianti. D’altronde è proprio a partire da un contesto simile che si sono iniziati ad accendere i grandi riflettori sulla ‘ndrangheta a Genova. «Era il luglio 2010 – ricorda il responsabile dell’Osservatorio Mafie in Liguria di Libera – quando, su ordine della DNA di Reggio Calabria, vennero arrestati a Genova Domenico Belcastro, imprenditore edile, e Domenico Gangemi, fruttivendolo di San Fruttuoso. È da qui che parte tutto, da queste due condanne per associazione mafiosa nell’ambito del maxi processo calabrese “Il Crimine”, che per la prima volta ci ha detto che la ‘ndrangheta, esattamente come Cosa Nostra, è un’associazione criminale unitaria, verticistica in cui è vero che le famiglie litigano, si fanno le faide, si ammazzano ma ogni anno si incontrano per risolvere le diatribe e spartirsi le zone di influenza. Fino ad allora, invece, si pensava che la ‘ndrangheta fosse costituita da ‘ndrine sparse e separate, ognuna con la propria vita». Belcastro e Gangemi vennero definiti esponenti di spicco della ‘ndrangheta a livello nazionale. «Addirittura – continua Traversa – il fruttivendolo di San Fruttuoso fu intercettato nel 2009 a colloquio con il super boss Mimmo Oppedisano, nell’agrumeto di Rosarno, mentre diceva la famosa frase “quello che c’era qui, in Calabria, lo abbiamo portato lì, in Liguria».
Nella nostra Regione veniamo da decenni di costruzione e sovra-cementificazione i cui effetti nefasti, purtroppo, subiamo regolarmente ogni autunno. Ed è proprio nel settore dell’edilizia e degli appalti pubblici che, secondo numerose relazioni della Direzione Investigativa Antimafia e della Direzione Nazionale Antimafia, la ‘ndrangheta – che tra le varie organizzazioni mafiose è quella che più si è insediata in Liguria – ha fissato il proprio core business assieme ad altre attività tipicamente e spiccatamente criminali, come il traffico di droga e di armi che rimangono comunque attività imprescindibili. «Le une attività illegali – spiega Luca Traversa – finanziano le altre, secondo un percorso piuttosto ricorrente: grazie ai traffici illeciti di droga e armi, all’estorsione e ad atre attività criminali, le mafie accumulano grandi quantità di denari che devono essere ripuliti attraverso altre attività di facciata. E il settore principe attraverso cui effettuare questa operazione è proprio quello dell’edilizia, del movimento e degli appalti pubblici».
A Genova, ad esempio, negli ultimi anni una società, ormai liquidata, e la sua famiglia proprietaria sono state piuttosto chiacchierate. Si tratta dell’Eco.Ge dei Mamone, per anni la realtà nettamente più importante nei grandi lavori di edilizia e movimento terra all’ombra della Lanterna e non solo. L’ex sindaco Marta Vincenzi, incalzata in un’intervista sul perché il Comune continuasse ad assegnare appalti a una ditta su cui pendevano grosse ombre, rispose che Eco.Ge era l’unica realtà genovese in possesso dei mezzi e degli strumenti per realizzare determinati lavori. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: nessun membro della famiglia Mamone è mai stato condannato per mafia; c’è chi ha subito condanne per corruzione, chi è sotto processo per gli appalti Amiu ma nulla a che vedere direttamente con la ‘ndrangheta. Quindi si tratta solo di voci popolari e un po’ sconsiderate? Non proprio secondo Luca Traversa: «Benché non sia di per sé un reato – racconta il responsabile dell’Osservatorio Mafie in Liguria – bisogna tenere presente che, secondo diverse relazioni della DIA, i Mamone sono sicuramente amici di esponenti mafiosi. Sono originari di Taurianova, cittadina calabrese, sede storica di alcune ‘ndrine». Ma, oltre le presunte amicizie ambigue, c’è di più. «L’ex prefetto di Genova Francesco Antonio Musolino – prosegue Traversa – a fine 2010 aveva fatto scattare un’interdittiva antimafia atipica nei confronti dell’Eco.Ge che, di fatto, ha sancito il declino degli affari per la ditta, messa successivamente in liquidazione nonostante fosse parecchio in attivo. Pur in assenza di un procedimento giudiziario vero e proprio per cui non vi erano le prove necessarie, il prefetto decise di mettere in guardia le stazioni appaltanti dai rischi che avrebbero potuto correre nel dare lavoro a una società molto “chiacchierata”. D’altronde, stiamo parlando di quello che all’epoca era nei fatti un monopolio per la bonifica degli impianti industriali, per i grandi cantieri edili e di somma urgenza della città: insomma, tutto il movimento terra principale di Genova passava per quei camion arancioni con la scritta Eco.Ge in bianco».
Situazione non molto differente si è verificata a Savona, dove la società Scavo Ter dei fratelli Fotia ha subito un maxi sequestro di beni pari a 10 milioni di euro perché sospettata di riciclaggio di denaro sporco. «Stiamo parlando di una società – afferma l’esponente di Libera – che per anni vinceva praticamente tutti gli appalti edili del savonese con qualche punta anche fuori Regione: ogni qual volta c’era da scavare una buca o rifare una pavimentazione, i lavori venivano affidati alla Scavo Ter che, secondo relazioni investigative, è molto vicina ad ambienti ‘ndranghetisti calabresi. Attualmente la Scavo Ter è stata dissequestrata ma sono state messe sotto sequestro altre due aziende della famiglia Fotia, la Pdf e la Seleni, curiosamente nate dopo il sequestro dell’azienda madre e sempre nel settore del movimento terra».
Il cuore dell’infiltrazione ‘ndranghetista in Liguria si trova a Ponente. È dal Tribunale di Imperia, infatti, che il 7 ottobre 2014 arriva la prima sentenza di ‘ndrangheta nella storia giudiziaria della nostra Regione. Si tratta del primo grado del maxiprocesso “La Svolta”, proprio in questi giorni in Corte d’Appello a Genova, con cui, tra gli altri, viene condannato a 16 anni per associazione di tipo mafioso, reato 416 bis del codice penale, il boss Giuseppe Marcianò. In precedenza, in Liguria erano stati ipotizzati diversi reati simili soprattutto per gruppi calabresi ma mai si era arrivati a una condanna. «Stiamo parlando di un radicamento della ‘ndrangheta nel Ponente ligure a partire almeno dagli anni ‘80» ricorda Luca Traversa. «Lo stesso Giuseppe Marcianò compare già nelle carte del processo “Teardo” degli anni ’80 (vedi Era Superba 61) in cui veniva indicato come procacciatore di voti per l’ex presidente della Regione Liguria Alberto Teardo». Tornando alla condanna in primo grado per associazione mafiosa, stando alla visione dell’accusa che trova riscontro anche nella sentenza del Tribunale di Imperia, a Ventimiglia c’era una cooperativa sociale di tipo B, quindi nata per facilitare l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, che prendeva molti lavori dal Comune, spesso con affidamenti diretti e non sempre in maniera regolare: in particolare, sono stati contestati il rifacimento di due marciapiedi e la copertura del mercato comunale. Questa cooperativa, chiamata Marvon, era in mano alla ‘ndrangheta. «Come è emerso da un’intercettazione – ricostruisce i fatti il nostro interlocutore – il nome della ditta altro non è che un acronimo di Marcianò Allavena Roldi Vincenzo Omar Nunzio: cognomi e nomi di tre soggetti tutti condannati in primo grado per 416 bis. Nello stesso processo – continua Traversa – gli amministratori che hanno dato gli appalti, l’ex sindaco Scullino e il city manager Prestileo, sono stati accusati di abuso d’ufficio e di concorso esterno in associazione mafiosa ma sono stati assolti perché non ci sono le prove della loro consapevolezza che la Marvon fosse in odore di mafia. Il fatto però rimane: almeno tre lavori sono stati assegnati direttamente a una cooperativa in mano alla ‘ndrangheta. La formula assolutoria, infatti, non è “perché il fatto non sussiste” ma “perché il fatto non costituisce reato”. Siamo, dunque, in mancanza di dolo, dell’elemento soggettivo di voler esplicitamente favorire la ‘ndrangheta, ma il fatto sussiste, eccome».
Attenzione, quindi, a pensare che alla ‘ndrangheta interessi fare solo il grosso business. Tutt’altro. Come ama sottolineare Nando Dalla Chiesa, è vero che la ‘ndrangheta si muove anche su palcoscenici di grande livello ma non ha per nulla abbandonato la cura e l’interesse per le piccole realtà di paese. Anzi, a ben vedere la storia delle inchieste di mafia, si nota una vera e propria predilezione per il piccolo, come ci ricorda Luca Traversa: «I grossi annidamenti di ‘ndrangheta si trovano in piccole città: in Liguria a Ventimiglia e Bordighera, in Piemonte nell’hinterland torinese (Leynì, Rivarolo Canavese, Moncalieri, Nichelino), in Lombardia nell’hinterland milanese (Buccinasco, Pioltello, Cesano Boscone). Non bisogna pensare la ‘ndrangheta moderna per forza in giacca e cravatta a trattare di finanza. C’è anche quello ma c’è soprattutto ancora una ‘ndrangheta che si muove nel piccolo e si interessa dei piccoli lavori urbani: a Ventimiglia, la Marvon trattava lavori da 30 mila euro». Ma l’esempio più lampante del nord Italia lo troviamo a Buccinasco, nella Città Metropolitana di Milano, che si è guadagnato l’appellativo di Platì del nord: «Qui – racconta Traversa – dalle relazioni della DDA di Milano sappiamo che si sono stabilite intere generazioni di ‘ndranghetisti che si occupano proprio di smaltimento terra, lavori edili, smaltimento di rifiuti e un po’ di imprenditoria immobiliare: tutti lavori su scala ridotta, all’interno di un Comune che non conta neanche 30 mila abitanti».
Perché questa predilezione per il piccolo? La risposta è molto semplice e si può sintetizzare con il concetto di controllo del territorio. «Intanto – spiega l’esperto – in una piccola realtà se condizioni poche centinaia di voti, puoi quasi vincere le elezioni e, se vinci le elezioni, conquisti tutti gli appalti pubblici che vuoi. Secondo, in una città piccola spesso mancano gli anticorpi, i baluardi di civismo e socialità positiva: non c’è Università, le forze di polizia sono pochissime, i cittadini hanno meno possibilità di aggregarsi in attività positive. C’è meno denuncia da parte della società e l’attenzione dei media è generalmente scadente, quantomeno nell’ordinario. La ‘ndrangheta, per quanto stia vivendo una mutazione genetica dai sequestri di persona e violenza feroce a uno stile di vita più sommerso, mimetico, non ha mai perso la propria caratteristica fondamentale che è proprio il controllo del territorio, ovvero avere in mano la popolazione sia quando si tratta di fare un favore dando un servizio che l’istituzione pubblica non è in grado di dare, sia quando si tratta di controllare il voto».
Per tornare a esempi liguri, nelle carte del processo “La Svolta” si legge che al ristorante “Le Volte” di Ventimiglia, di proprietà di Giuseppe Marcianò, si assiste a una processione di imprenditori, politici, cittadini comuni che vanno a chiedere favori. «Questo è esattamente il controllo del territorio – sottolinea Traversa – che, viene da sé, è più facilmente realizzabile in realtà limitate e, come diceva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, potrà terminare solo quando lo Stato riuscirà a dare ai cittadini come diritto ciò che la mafia dà loro come favori. È proprio qui la chiave di volta: nel momento in cui lo Stato non è in grado di tutelare i diritti delle persone, queste organizzazioni criminali assolvono alle stesse esigenze tramite il meccanismo del favore, che poi diventa ricatto, soggezione e controllo. E funziona molto di più nelle realtà che non hanno i riflettori puntati addosso. A Genova sarebbe difficile da realizzare dal punto di vista “fisico”: è quasi impossibile controllare direttamente 600 mila persone, ma anche solo 300 mila; tutt’al più, come accade nei fatti, puoi controllare singole attività o interi quartieri (Maddalena, Rivarolo, Certosa)».
Un altro grande vantaggio del manovrare all’interno delle piccole realtà è la minor presenza di controlli. Come accorgersi, ad esempio, che la ditta che mi sta ristrutturando casa è in odore di mafia? Secondo Luca Traversa esistono alcuni segnali sentinella: «Se è vero che gran parte degli esponenti legati alla ‘ndrangheta fanno gli imprenditori edili anche di piccole dimensioni (lo stesso Domenico Belcastro, arrestato nel 2010, non era uno che si occupava di grandi appalti pubblici ma, probabilmente, avrà ristrutturato moltissime case genovesi), è altrettanto vero che spesso queste ditte lavorano in maniera scadente, con materiali di scarsa qualità pur non avendo problemi economici perché soldi da far girare ne hanno sempre. Nel momento in cui dovessimo affrontare lavori di edilizia privata, dovremmo provare a ricostruire un po’ la storia delle aziende a cui ci rivolgiamo, anche attraverso una semplice visura camerale».
Ci sono, poi, altri due consigli che Traversa si sente di dare ai semplici cittadini, non solo quelli alle prese con lavori edili. «Il primo, un po’ banale, parte dalla definizione di mafia: la mafia è cultura del privilegio e della prevaricazione. Quindi dobbiamo evitare nelle nostre vite e nelle situazioni quotidiane dinamiche di privilegio e prevaricazione. Ad esempio, nella scelta di una pizzeria, di un negozio o di una trattoria, boicottiamo realtà in odore di mafia. Sarà banale ma al sud ha cambiato la realtà di molti paesi: le cose si cambiano mettendo nell’angolo chi cerca di inquinare l’economia pulita».
E poi c’è il capitolo informazione e azione. «Credo che in capo a ogni cittadino incomba un onere di informazione. Oggi quasi tutti possono disporre degli strumenti per comprendere certe dinamiche, approfondire certi fenomeni. Conoscere il fenomeno è il primo modo per poterlo combattere: ormai il fenomeno mafioso è stato studiato, analizzato, descritto in ogni sua forma e non è così impossibile avvertirne i sintomi, cogliere i campanelli di allarme in varie situazioni della vita. Le piccole realtà mafiose spesso vanno a incidere sulla nostra vita in modo molto più concreto di quanto si possa pensare».
Simone D’Ambrosio