Intervista all'artista di Taranto che porta a Genova la sua personale dal titolo Slideshows i cui proventi sono interamente distinati ad Emergency
Massimo Grimaldi, classe ’74, ha inaugurato ieri 28 settembre presso il Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce la sua personale dal titolo Slideshows: una serie di lavori realizzati a partire dal 2003 e consistenti in gallerie fotografiche digitalmente riprodotte su supporti Apple; la peculiarità di questi lavori è la loro intima connessione con la realtà.
Massimo infatti riflette confrontando il sistema dell’arte e la sua tendenza all’autoreferenzialità con emergenze sociali quali povertà e guerra, interrogandosi sul ruolo dell’arte nella società, sull’utilità della figura dell’artista, ma la sua non è soltanto un’opera di denuncia: fa un passo oltre, facendo sì che il suo lavoro raggiunga un risultato ultimo assolutamente concreto e utile. Negli ultimi anni ha infatti deciso di donare i premi vinti e le somme ricevute dai committenti ad Emergency, supportando i suoi ospedali in Sudan, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana e Cambogia e recandosi in loco per documentare l’attività quotidiana degli ospedali e delle comunità locali.
Sono le immagini di tali reportage (ma non solo) a passare in sequenza sugli schermi dei computer in mostra, creando una forte contrapposizione tra la perfezione formale, fredda e astratta dell’oggetto di design e i contenuti spesso drammatici delle immagini. Questo tipo di ricerca raggiunge il suo obiettivo estremo nel caso dell’opera Emergency’s Paediatric Centre in Port Sudan Supported by MAXXI che, nel 2009, ha vinto il concorso internazionale MAXXI 2per100, il cui regolamento prevedeva di devolvere il 2% della spesa prevista per la costruzione del museo MAXXI (nuovissimo museo d’arte contemporanea di Roma realizzato su progetto dell’architetto di fama mondiale Zaha Hadid, n.d.r.) alla produzione di opere d’arte. Il progetto di Massimo è consistito nel destinare il 92% dei 700.000€ previsti dal bando alla costruzione di un Centro sanitario pediatrico di Emergency in Sudan, documentando poi personalmente le fasi di costruzione del centro e inserendo le immagini nel suo lavoro. Il reportage è mostrato in una videoproiezione serale su una parete esterna del museo.
La mostra è curata da Ilaria Bonacossa, nuova direttrice del museo, e Alessandro Rabottini, autore del catalogo, ed è la prima esposizione della nuova stagione 2012-2013. Resterà in allestimento fino al 18 novembre. Tutti gli incassi della mostra saranno devoluti ad Emergency.
Massimo, tu sviluppi la tua ricerca in maniera fortemente legata alla realtà, con una concretezza estrema, invece che rimanere in un contesto autoreferenziale; pure vengono mosse critiche al tuo lavoro, secondo te perché?
In qualche modo i lavori che hanno generato diversi miei reportage con Emergency sono stati realizzati a seguito di premi che in realtà non ho vinto: è come se li avessi razziati, perché ho operato con una modalità scorretta. Mentre altri artisti partecipano proponendo opere d’arte, ciò che propongo è sostanzialmente diverso: girare l’importo dei premi ad Emergency e realizzare un lavoro low cost che prevede la realizzazione di un reportage di carattere affettivo sull’attività dell’ospedale del luogo cui i soldi sono stati destinati; quindi credo che molti abbiano, anche giustamente, percepito questa come una scorrettezza. È chiaro che una giuria di fronte a una proposta come questa non deve dare una giustificazione sul perché ha scelto un lavoro, nel mio caso deve dare una giustificazione sul perché non lo premierebbe. Come fai a giustificare il fatto di aver scelto una scultura di fronte alla possibilità di salvare vite umane? Ed è in questo che risiede il soggetto stesso del mio lavoro, cioè nell’impossibilità dell’arte tradizionalmente intesa di proporre qualcosa che sia altrettanto forte; però nel mio caso questi ricatti morali, fatti ai giurati che devono decidere a chi assegnare i soldi della vittoria, sono parte integrante del mio lavoro.
Quindi il ricatto è parte dell’opera…
Sì, dedico molta cura alle immagini, ma sono una giustificazione del processo che le ha generate, la cosa più importante è che i soldi siano andati ad Emergency e che si sia costruito qualcosa di utile, come nel caso del premio MAXXI che ha finanziato la costruzione di un ospedale. Di tutto il processo, le immagini sono la parte tradizionale.
Nasce spontanea la considerazione che la giuria scelga il tuo lavoro perché come hai detto tu moralmente costretta ma non perché ritenga che la tua sia l’opera migliore.
È migliore l’idea.
Quindi è lì che risiede il valore estetico secondo te.
Sì, certo. Non è più l’epoca dei pittori. Per me il ricatto morale è come una tecnica pittorica, come il colore di un quadro, parte della dinamica creativa.
C’è quest’antitesi fortissima tra il contenuto delle immagini e gli iMac o gli iPad Apple su cui vengono riprodotti gli slideshows.
Era un’idea che ho avuto nel 2003 quando ho iniziato questo tipo di lavoro, volevo riprodurre questo straniante contrasto che in realtà esiste in ogni persona. Come artista perseguo la bellezza delle forme e adoro in questo senso il design Apple, con la parte del mio lavoro costituita dalle immagini perseguo l’astrazione, però come persona sono interessato alla realtà sociale che mi circonda e su cui come artista non credo di essere legittimato a intervenire, e questo per me è il modo di realizzare il mio autoritratto più fedele, da una parte c’è la glorificazione della forma, dall’altra questo transito di immagini che veicolano valori più intimi, con una pregnanza diversa; volevo mettere i due piani insieme, evidenziando questa divisione che è in me.
Molti giovani artisti oggi sentono l’esigenza di concentrare l’attenzione su temi di interesse sociale.
Nel mio caso è un po’ diverso però, perché il mio lavoro non parla di realtà sociali, il mio lavoro fa, paradossalmente potrebbe anche fare a meno degli spettatori, puoi anche non vedere le mie foto ma il mio lavoro è lì, e ha creato un centro pediatrico, ed è in questo che consiste la differenza. Il mio lavoro non ispira, non denuncia, fa.
Dimostri che l’arte può essere utile, nel senso più pragmatico possibile del termine.
Ed era proprio il mio scopo, renderla utile. Fin dall’inizio ho vissuto in modo molto problematico il mio ruolo, io per indole sono un formalista, un astrattista, però ho sempre pensato che la mia attitudine fosse un po’ sterile e ho cercato in questa linea di lavori di mediarla con qualcosa che fosse profondamente diverso.
C’è un motivo preciso per la scelta del mezzo fotografico?
No, è venuto abbastanza naturale. Inizialmente le foto erano tratte da altri e la mia opera le assemblava negli slideshows, poi è venuto da sé che facessi foto mie dopo che è cominciata la collaborazione con Emergency. Io non sono un fotografo, non ho alcuna conoscenza o tecnica fotografica, però so usare molto bene Photoshop, quindi recupero lì.
Continuerai questa collaborazione?
Sì, Emergency tra l’altro è sempre più impegnata in Italia, anche qui c’è sempre più bisogno di assistenza medica di qualità e gratuita. Conoscendoli e sapendo come lavorano li adoro, è gente che stimo enormemente.
Qualche progetto in fieri?
Attraverso la mia galleria ho coinvolto dei collezionisti privati che mi commissionano reportage. Un collezionista interessato a un lavoro di questo tipo dà una somma ad Emergency, io mi attivo e faccio il reportage sull’ospedale che abbiamo scelto insieme.
Claudia Baghino