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È sempre più frequente sentir dire (da giovani e meno giovani) che Genova è ormai “una città per vecchi”. Questo mantra, purtroppo, è comune a buona parte dell’Italia, ma nella nostra regione – e, in modo particolare, nella nostra città – i dati registrati risultano oltremodo preoccupanti
Nel corso degli ultimi anni è stato un crescendo di giovani “emigrati” al di fuori dei confini liguri. Non più tardi del 2018, la ventottesima edizione del Dossier Statistico dell’Immigrazione – un rapporto presentato annualmente dal Centro Studi e Ricerche IDOS in merito al fenomeno migratorio in Italia – ha permesso una lettura oltremodo chiara della situazione. E, oltre che chiara, anche particolarmente preoccupante.
All’interno dello studio in questione viene, infatti, evidenziato come il maggior numero di espatri italiani riguardi proprio la nostra regione. Nel 2017 si è arrivati a 18.520 liguri emigrati all’estero, fra i quali ben 15.375 solo genovesi. Il fenomeno ha certamente radici ben più lontane e radicate, che fanno capo alla crisi economica in cui l’intero Paese versa ormai da diversi anni, ma purtroppo – nonostante i numerosi sforzi – il dato non sembra in alcun modo accennare miglioramenti. E in tutto ciò – come facilmente intuibile – i primi liguri a emigrare sono gli under 35. Ma la questione non finisce qui: sulla base di alcuni dati raccolti non molti mesi fa da “Genova Che Osa”, la nostra città «è tra le città più vecchie d’Italia. Ogni 10 bambini ci sono 25 anziani. In quarant’anni Genova ha perso 185 mila under 35». Stando alle stime, inoltre, nel prossimo futuro «sarà sempre più numerosa la popolazione inattiva, in particolare anziana, dipendente da una popolazione attiva che farà sempre più fatica ad assicurare la sopravvivenza della città». Un dato davvero preoccupante anche per chi resta, insomma.
Che la si voglia chiamare “fuga di cervelli” o che si associ questo fenomeno a una più generale mancanza di stabilità economica e di fiducia dei giovani in un mercato del lavoro sempre meno rassicurante, poco importa. Che si tratti di laureati che, una volta finiti gli studi, si ritrovano a barcamenarsi tra uno stage e l’altro – portando sempre con sé il proprio aggiornatissimo curriculum vitae e quel tanto sudato “pezzo di carta” su cui hanno investito tempo, impegno, soldi e fatica – o di ragazzi con titoli di studio diversi che inseguono i propri sogni o, semplicemente, tentano di trovare qualcosa per sbarcare il lunario, tantomeno. I giovani liguri si spostano, lasciano tutto e se ne vanno, è un dato di fatto: saltano sul primo aereo o sul primo treno e lasciano Genova e la Liguria, portando in valigia sogni e la speranza di un futuro migliore, accompagnate dall’incertezza di quello che effettivamente potranno trovare una volta arrivati. Preferiscono un futuro incerto alla certezza di non avere un futuro.
Un viaggio “a tappe”
Il dato forse più interessante, però, riguarda il fatto che il “primo step” di questo viaggio verso l’ignoto non vede necessariamente una fuga dei giovani genovesi e liguri verso l’estero: molto spesso si fermano prima di varcare il confine. Stando ad alcune testimonianze raccolte, infatti, i giovani genovesi – prima di decidersi davvero a lasciare l’Italia – tendono spesso ad affacciarsi verso altre realtà nostrane, inizialmente identificate come più “rassicuranti”. Inutile dire che la prima tappa del loro viaggio nella maggior parte dei casi finisce per essere Milano.
Vicina ma non troppo la capitale economica italiana nell’immaginario di molti fra i giovani emigranti zeneizi e liguri continua a essere una sorta di “terra promessa”, un luogo pseudo-idilliaco in cui anche i giovani possono trovare lavoro. Sì, ma che tipo lavoro? E a che prezzo?
A spostarsi a Milano sono per lo più laureati frustrati che – sperando di poter in qualche modo realizzare i propri sogni – scendono a compromessi col destino in maniera più graduale rispetto a chi subito prende e parte per l’estero. La frase che ci si sente ripetere più spesso da chi sceglie di trasferirsi è «Milano non è Genova, a Milano il lavoro lo trovi, c’è più richiesta»: ed effettivamente sì, le possibilità di trovare qualcosa di inerente i propri studi probabilmente sono più alte… Ma anche in questo caso – a seconda dell’ambito – buona parte di chi riesce si ritrova, poi, impelagato ulteriormente nel macchinoso “meccanismo degli stage”. Perché se tutti fanno lo stesso ragionamento – e questo è comprovato avvenga – il numero di candidati aumenta e, di conseguenza, il “gioco dello stage” va avanti in loop. Questo continuo ricambio di stagisti, insomma, allontana ancora di più la speranza del tanto agognato “posto fisso”: quale datore di lavoro – trovandosi davanti a un ricambio così alto di “manovalanza a basso costo” – può essere infatti interessato a prendere qualcuno dopo lo stage se sa che fuori dalla porta ha la fila di aspiranti tirocinanti pronti a farsi notare? Non importa quanto tu sia qualificato: la crisi c’è per tutti. E purtroppo fin troppo spesso sono i giovani – che, col passare del tempo, finiscono per non essere manco più tanto giovani – a farne le spese.
È un meccanismo malato, insomma, quello che ormai da anni si è innescato nel mondo del lavoro italiano. E allora accanto a chi, pieno di coraggio e di ambizione, punta subito al mercato estero, vediamo giovani genovesi prendere, partire, andare a Milano e – una volta presa l’ennesima facciata – imbarcarsi sul primo aereo e varcare i confini del Bel Paese: perché «se non ho trovato lavoro manco qui, a casa la situazione sarà anche peggio. Devo andare più lontano». E allora eccoli lì i nostri giovani che – dopo la loro ennesima fallimentare esperienza nostrana – si uniscono alle file di coraggiosi che nel corso degli anni sono partiti alla volta dell’ignoto. La Brexit non fa paura (per ora), e l’Inghilterra, la Germania, il Belgio, la Svizzera, la Spagna e la Francia continuano a essere mete più che gettonate (con oltre il 50% delle preferenze tra gli emigrati italiani). Ma i nostri millennials spesso non si fermano neppure in Europa: non di rado la loro meta è il Sudamerica, con l’Argentina – località preferita anche a livello nazionale – che svetta in cima alla lista di destinazioni prescelte, seguita da Uruguay, Perù e Cile, quest’ultimo particolarmente gradito soprattutto ai liguri. Solo gli USA, forse, rimangono un sogno ancora troppo lontano.
I dati sono preoccupanti, questo è evidente: e davvero, chiamatela pure “fuga di cervelli” se volete, ma a questo punto l’unica definizione che sembri davvero calzante a mio parere è solo “viaggio della speranza”.
Piccole isole felici in un mare sempre più in tempesta
I giovani se ne vanno, Genova invecchia e nessuno sembra poterci fare nulla. O, meglio, spesso anche gli sforzi fatti finiscono per risultare – sul lungo periodo – poco producenti.
In questo scenario, però, forse per i laureati qualche possibilità in più c’è: entro e non oltre i 12 mesi dal conseguimento del titolo, infatti, l’Università e la Regione hanno previsto una serie di convenzioni per i novelli ex-studenti, che in questo modo possono attivare tirocini extracurricolari di massimo 6 mesi in aziende che – sul finire del periodo di stage – potrebbero forse concedere loro un vero contratto di lavoro. Esistono casi in cui questo succede, ma purtroppo sono ancora molto pochi rispetto al numero di richieste.
È fuor di dubbio che tra i laureati quelli che se la passano peggio siano i cosiddetti “umanisti”, ma non si creda che basti un titolo di laurea conseguito presso una facoltà scientifica per far migliorare drasticamente la situazione. Che tu voglia fare l’insegnante, lo psicologo, l’architetto, il biologo, il chimico o quant’altro, le possibilità di restare a lavorare a Genova sono comunque poche: chiaramente più impegno ci metti e più ti fai “le ossa” e più possibilità avrai di riuscire nel tuo intento, ma purtroppo spesso neanche questo basta. La meritocrazia può poco contro una situazione lavorativa globale in cui per essere assunto devi avere meno di 30 anni, due lauree, aver superato l’eventuale esame di Stato – se previsto – e almeno 10 di esperienza nel settore. Perché no, non è una leggenda: purtroppo non è raro che te lo dicano davvero. E quando succede, stare dall’altra parte è davvero svilente.
Si può tornare indietro?
Fortunatamente, a far da contrappeso al sempre più crescente numero di giovani genovesi in fuga c’è quello dei cosiddetti “cittadini acquisiti”: gli stranieri residenti, infatti, nel bilancio globale aiutano ad abbassare l’età media della popolazione locale, e questo – in una situazione come quella attuale – è davvero un bene, se vogliamo anche solo dal punto di vista statistico. Basti pensare che nel 2016 a Genova gli immigrati erano circa 50 mila – quasi il 10% della popolazione totale, contro un 6,2% di giovani emigrati – mentre oggi sono 56mila su 580mila abitanti. Tutto questo probabilmente può essere visto come un modo per “recuperare” almeno in parte quello che Genova – e con lei la Liguria intera – sta inesorabilmente perdendo negli ultimi anni. Ma non basta. Il saldo migratorio può anche essere positivo per quel che concerne la fascia under 35 della popolazione, ma le prospettive demografiche della città non traggono certo beneficio da questa proiezione. E neppure i suoi giovani.
Vista la situazione, chi se ne è andato e ha fatto fortuna lontano ormai difficilmente tornerà: non è pessimismo, è un dato di fatto. Bisogna agire, far qualcosa al più presto: è necessario lavorare su chi è ancora qua, non su chi è partito. Perché se qualcuno sceglie di tornare va certamente accolto a braccia aperte, ma ora il problema principale è non lasciar partire chi ha già l’idea di farlo: tenerli qui, convincerli e incentivarli a restare, far vedere loro che – per quanto spesso possa non sembrare – un futuro a Genova c’è ancora. Ne sono la prova iniziative come quelle organizzate periodicamente dall’Università di Genova, i bandi di concorso uscenti ed eventi come “We’re back – Genova 2019”, il primo appuntamento dedicato ai giovani italiani per invertire la rotta di questa “fuga di cervelli”, tenutosi lo scorso 8 giugno a Palazzo Ducale e in cui le storie di chi ha fatto successo in Italia o vi ha fatto ritorno dopo essere stato all’estero sono state di grande incoraggiamento per tutti i ragazzi presenti. Un buon modo per iniziare, questo è certo: ma non basta.
Tornare indietro è ancora possibile, ma bisogna agire in fretta: perché i giovani se ne stanno andando davvero, e in numero sempre crescente. Non siamo ancora arrivati al punto di non ritorno, ma resta il fatto che – se la situazione non dovesse migliorare – Genova sarà davvero sempre più “una città per vecchi”.
Guendalina Liberato