Poche certezze nel bilancio, difficile progettare il futuro. Questo ritornello che ormai tutti i cittadini conoscono a memoria vale anche e soprattutto per i servizi sociali. Il punto della situazione con l'assessore Fracassi a quasi un anno dal patto di sussidiarietà
L’assessore Fracassi bussa alle porte del collega Miceli: «I servizi sociali e socio-educativi sono l’anello debole del bilancio comunale. Ogni anno – sostiene l’assessore alle Politiche socio-sanitarie – tutte le altre voci di partita corrente sono messe a copertura certa mentre questo capitolo viene lasciato flessibile e si riempie via, via durante l’anno a seconda di vari risparmi di cassa. Ma se vogliamo migliorare la gestione del welfare, dobbiamo cambiare prospettiva di bilancio e dire: ecco, qui ci sono i 40 milioni per il sociale mentre le incertezze le lasciamo ad altre partite». La frecciata è stata lanciata in Commissione Welfare che aveva all’ordine del giorno il punto della situazione sui servizi destinati ai senza fissa dimora.
Il Comune, come ormai d’abitudine, sta procedendo per dodicesimi: ogni direzione, dunque, può spendere al mese solo un dodicesimo dell’importo investito l’anno scorso, finché non sarà pronto il bilancio previsionale 2015. Una situazione di estrema precarietà e assoluta impossibilità di programmazione dovuta principalmente all’incertezza dell’ammontare delle risorse in arrivo dal governo centrale. «Ogni anno ci troviamo in questa situazione – ha accusato il consigliere Stefano Anzalone (Gruppo Misto) – ma è un problema tutto di questa amministrazione visto che ci sono altri Comuni che non aspettano i trasferimenti da Roma per approvare il bilancio». «Bisogna fare chiarezza – commenta la presidente della Commissione Welfare, Cristina Lodi (Pd) – se effettivamente si tratti di una necessità tecnica o se, comunque, dietro c’è una scelta politica».
È in questo contesto che la discussione della Commissione si è concentrata sulle difficoltà economiche dei servizi dedicati alla popolazione senza dimora e a chi è costretto a vivere ai margini della società. Il sistema segue circa 900 utenti all’anno (l’ultimo dato aggiornato risale al 2013) ma una lettura più di dettaglio sarà possibile solo a fine 2015 grazie al potenziamento del sistema di analisi. «Tuttavia – sostiene il consigliere di Lista Doria, Luciovalerio Padovani – si evince piuttosto chiaramente una forte sproporzione tra il fabbisogno stimato di circa 2 mila persone in situazione di grave marginalità e le riposte che riusciamo a offrire».
La chiave dovrebbe essere quella del salto di qualità, dalla sola presa in carico delle situazioni di emergenza a un precisa politica di prevenzione. «Prevenzione – sostiene Fracassi – vuol dire fare una seria politica nazionale per l’immigrazione, che oggi non stiamo facendo dato che non abbiamo costruito rapporti seri con i Paesi di provenienza e non abbiamo politiche europee adeguate a riguardo. Ma prevenzione sono anche le politiche del lavoro, quelle della casa assolutamente inesistenti a livello nazionale ormai da anni, e di contrasto alla povertà. Credo che se avessimo una seria misura di reddito minimo di inserimento, avremmo risolto molti problemi di chi non riesce neppure a pagare un affitto in casa popolare e le relative utenze, diventando così moroso, rischiando lo sfratto, l’abbandono in strada e la presa in carico dei servizi sociali».
Ma, per fare prevenzione ci vogliono anche soldi. E, a proposito di difficoltà economiche, la situazione è resa ancor più complicata dal nuovo strumento che regola i rapporti tra il pubblico e le associazioni a cui il Comune “delega” la gestione di molti servizi. Se, infatti, Tursi gestisce direttamente solo il diurno di De Ferrari (attualmente chiuso per problemi di sicurezza) e la struttura notturna di Villa S. Teodoro (14 posti letto che diventeranno 24 quando saranno terminati i lavori di ristrutturazione dello storico Asilo Massoero) dal primo luglio 2014 è entrato in vigore il patto di sussidiarietà (caso simile per le strutture di accoglienza che combattono la violenza di genere, qui l’approfondimento): si tratta di un accordo di durata annuale, rinnovabile, che prevede che l’amministrazione sostenga finanziariamente fino a un massimo del 70% dei costi dei servizi per i senza fissa dimora mentre il restante 30% resta a carico degli operatori non più sottoposti a logiche di mercato per garantirsi appalti pubblici ma incentivati a fare sistema. L’attuale progetto, che oltre al capofila Fondazione Auxilium vede coinvolti le associazioni S. Marcellino, Massoero 2000, Compagnia della Misericordia, Afet, Ceis e Croce Rossa, prevede un investimento totale di 2.968.946 euro di cui 1.774.846 (il 60%) finanziato dal Comune di Genova.
Il Comune copre la spesa grazie a 550 mila euro annui elargiti dalla Regione Liguria attraverso un fondo finalizzato e per la restante parte con il bilancio comunale. Il fondo regionale finalizzato è diminuito negli ultimi anni da 900 mila euro del 2012 a 600 mila del 2013 fino a 550 mila dell’anno scorso. Per il 2015 la Regione non ha ancora comunicato l’entità del finanziamento e il Comune non ha versato la quota di propria competenza per il primo trimestre del 2015 che, di per sé, dovrebbe invece rappresentare una sorta di anticipo spese. «I ritardi riguardano sia il versamento da parte del Comune che il saldo spettante alle associazioni che hanno siglato il patto – spiega l’assessore Fracassi – ma sono imputabili sostanzialmente a lungaggini tecniche. Stiamo, infatti, parlando di uno dei primi patti di sussidiarietà così importanti e che chiama in causa circa 3 milioni di euro all’anno. La gestione contabile deve essere dettagliata e trasparente al massimo, per questo è molto complessa. Sono però molto fiduciosa sul miglioramento del sistema perché, quando i soldi ci sono, non ha senso essere così in ritardo».
«La nostra permanenza all’interno del patto di sussidiarietà – ammette Angelo Gualco di Massoero 2000 – è garantita dalle risorse economiche versate da altre associazioni aderenti al patto attraverso l’associazione temporanea di scopo che abbiamo costituito. Ma per quanto ancora potremo sopravvivere in questo modo? Il nostro servizio si basa sul lavoro degli stessi ospiti che naturalmente deve essere retribuito: il 90% del nostro bilancio viene impiegato a questo scopo, come facciamo a sopravvivere dovendo reperire un 30% in più solo per l’autofinanziamento?».
Certo, all’interno del patto di solidarietà ci sono realtà economicamente più solide ma che devono anch’esse fare i conti con i propri bilanci e i propri finanziatori e non potranno farsi carico all’infinito delle associazioni meno “ricche”. Anche perché l’importante fetta della gestione dei servizi sociali è sempre stata fonte di frizioni tra i vari attori in campo, soprattutto quando questa era soggette alle più classiche logiche di mercato. «O andiamo verso un’ottica di solidarietà tra gli enti aderenti al patto per cui il 30% viene contabilizzato come quota globale dell’associazione di scopo – sostiene l’assessore Fracassi – oppure gli enti meno capaci devono rimboccarsi le maniche e iniziare a intraprendere qualche soluzione alternativa e più efficace di fundraising». Ma se il patto di sussidiarietà dovesse continuare a dimostrare le proprie lacune, sono allo studio alcune ipotesi alternative: «L’unica terza via possibile – conclude Fracassi – è uscire dalla logica del patto di sussidiarietà. Per questo stiamo guardando con molto interesse al cammino che sta percorrendo il Comune di Brescia con un modo di gestire il terzo settore diverso ma sempre a partire dalla co-progettazione».
Nel frattempo, però, avere qualche certezza in più dal bilancio previsionale potrebbe aiutare non poco ad affrontare il futuro in maniera più serena e soprattutto a non contrarre l’offerta di servizi imprescindibili per la sopravvivenza e la dignità della persona, la cui domanda è cresciuta esponenzialmente a causa della tragica situazione economica.
Simone D’Ambrosio