Due giovani amici genovesi con in comune l'amore per la poesia danno vita a un sodalizio letterario che, dopo aver presentato un Manifesto, propone ora la sua prima pubblicazione "Dalla parte della notte"
“Noi siamo predoni, predatori di un’essenza delle cose che sappiamo esserci”: così si definiscono Alessandro Mantovani ed Emanuele Pon, due amici legati dalla stessa sconfinata passione per la letteratura. Entrambi scrivono poesie, e i testi dell’uno si rivelano così complementari a quelli dell’altro che decidono di fondare la Società dei Masnadieri, gruppo letterario che oggi pubblica il suo primo volume, “Dalla Parte della Notte”, che verrà presentato il 23 marzo presso la Libreria Falso Demetrio.
Cos’è la Società dei Masnadieri, da chi è composta, perché si è formata, cosa fa e come lo fa?
EMANUELE: «La Società è una sorta di sodalizio letterario sorto da una profonda amicizia precedente, che unisce me e Alessandro, sulla base di una visione del mondo, della vita e delle cose molto affine, a volte persino sovrapponibile. Ci siamo “formati” nel modo più naturale possibile: dopo un periodo di scoperta della reciproca scrittura, ci siamo resi conto che l’immaginario dell’uno si rifletteva in quello dell’altro. Forti di un bagaglio culturale comune (entrambi proveniamo dal Liceo Classico), ma differenziato (Alessandro segue, parafrasando Machiavelli, la “lezione delle cose antiche”, mentre io sono il “modernista” della coppia), abbiamo capito abbastanza in fretta che potevamo senza problemi diventare poeticamente complementari; perciò, abbiamo semplicemente continuato a scrivere le nostre poesie, che sono rientrate subito, quasi “geneticamente”, nei canoni del “Manifesto” che abbiamo steso come prima opera comune. E’ importante capire che siamo stati sin dall’inizio così affiatati che ciò che scriviamo si è integrato alla perfezione: sono le nostre poesie ad aver dato origine al “Manifesto”, non il contrario».
ALESSANDRO: «Quando mi viene fatta questa domanda, alla risposta “siamo solo io ed Emanuele” le persone sorridono sempre, come a dire “ma che società è una che comprende solo due persone?” A questo pensiero superficiale oppongo due riflessioni personali: la prima è che senza dubbio è il momento storico ciò che ha condizionato l’”essere solo in due”; probabilmente in tempi più cari e attenti alla letteratura la società avrebbe visto una floridità maggiore, ma di ciò non mi rammarico, in quanto – e qui arriviamo alla seconda riflessione – quello che conta non è la pura aritmetica, ma la valenza delle idee, che, come si può vedere, ha portato alla creazione di un Manifesto e alla pubblicazione di un libro. Pertanto, forti di questo, non ci possiamo assolutamente lamentare del numero esiguo, e d’altronde un masnadiere non ha mai paura dell’inferiorità numerica».
Una parentesi sull’origine del nome che avete scelto. Facendo un passo indietro, la masnada era nel medioevo una congerie di predoni, mercenari, figli cadetti e fuoriusciti con sete di vendetta, spesso guidati da un condottiero, al soldo del migliore offerente e fedeli a nessuno. Ma la figura del masnadiere è famosa in letteratura per l’opera omonima di Schiller, che racconta appassionatamente tormenti interiori, drammi familiari, sentimenti d’odio, amore e vendetta. Perché dunque un nome simile e qual è il vostro condottiero, se c’è?
EMANUELE: «Il nostro nome è in tutto e per tutto schilleriano: di quei Masnadieri, guidati da Karl Moor, condividiamo l’afflato romantico, lo slancio vitale che tenta sempre di trovare il punto d’equilibrio tra l’istinto delle emozioni e la profondità dei sentimenti».
ALESSANDRO: «Ma ricordiamoci che Schiller stesso si rifà a quella congrega di fuoriusciti chiamata Masnada, esistita non solo come creazione letteraria. Trasposti su un piano di rapporto tra idee e realtà noi senz’altro siamo quei predoni e fuorilegge: in questa modernità di cartapesta dove la realtà spesso è la superficie di uno schermo e la fredda verità della ragione, noi siamo predoni, predatori di un’essenza delle cose che sappiamo esserci, siamo figli cadetti di una nobiltà di pensiero letterariamente etico decaduta, fuoriusciti perché scarti di un bene dimenticato ai margini dell’importanza – ma voglio sottolineare che non siamo certo degli eremiti letterari che si sentono soltanto estranei al loro tempo. La sete di vendetta c’è, e anche tanta, ma, lungi dall’essere distruttiva, essa va intesa come reazione a questa condizione appena esternata. Se ci è impossibile esprimerci con pienezza e autenticità all’interno della società allora è quello il momento in cui ci assumiamo ogni responsabilità di, appunto, fuoriuscire da essa e di diventarne legittimamente predoni, al soldo di nessuno, fedeli solamente a noi stessi e al nostro sodalizio: la società è società in quanto comunione di idee e cooperazione sullo stesso piano. E’ proprio per questo che utilizziamo pseudonimi nello scrivere – altra cosa che fa sorridere le persone – affinché l’ego del singolo nutra questo organismo ma venga assorbito in esso eliminando le proprie spinte eversive».
E’ suggestivamente coinvolgente e piacevolmente anacronistico il mondo che evocate col vostro nome, quasi a immergere chi lo legge in una realtà parallela e fantastica. E’ qualcosa di cercato e voluto?
EMANUELE: «Ciò che noi cerchiamo è di riportare agli occhi di tutti l’umanità del mondo, come sua caratteristica principale: ci proponiamo di ritrovare una realtà in cui siano nuovamente presenti la purezza e l’onestà dei sentimenti, l’autenticità, trovata anche nelle nostre parti peggiori, nella nostra violenza, compresa e accettata. Vogliamo ricordare che ogni uomo può essere un titano, e che la forza per diventarlo risiede dentro di lui, non nella realtà esteriore, ma in quei valori, in quelle passioni nel nome delle quali noi stessi tentiamo di vivere. Valori e passioni che sono eterni, non hanno stagioni, sempre risiedono nel cuore degli uomini, e dunque non possono essere definiti anacronistici. Questa idea di mondo può evocare l’immagine di una realtà parallela, sganciata dalla verità dell’esistenza, proprio per il fatto oggi i termini che abbiamo esposto si stanno perdendo. Crediamo di sapere abbastanza bene chi siamo e dove siamo; ma sappiamo anche dove siamo arrivati, precipitando verso il basso, in tutti i sensi. Dovremmo, meriteremmo tutti di risalire, e noi, dall’interno della nostra realtà, tentiamo di cambiarla».
Il vostro è un gruppo chiuso o aperto? E’ possibile partecipare alle vostre attività? Se sì come vi si può contattare?
ALESSANDRO : «La Società nasce con il suo manifesto – per il quale rimando all’appendice del libro – e quindi con delle linee precise a cui vogliamo attenerci. Il progetto originario prevedeva un periodo di duetto chiuso tra me ed Emanuele, momento di rodaggio e di prova dalla lunghezza variabile a cui avrebbe fatto seguito un’apertura maggiore sempre secondo le linee del manifesto. Come sappiamo però la vita ci porta sempre dove vuole lei e precisamente ha portato la prevista espansione su un altro versante che è quello dei Fischi di Carta. Ciò non significa che la Società cessi di esistere, tutt’altro, siamo rimasti nel nostro duetto ma essa afferma la propria posizione identificandosi come ”autore” a tutti gli effetti: quel terzo organismo che sta a metà tra me ed Emanuele, legato ed indipendente nei nostri confronti in egual misura».
Il vostro primo progetto, un libro appena pubblicato, si intitola “Dalla parte della Notte”.
ALESSANDRO: «”Dalla Parte della Notte” è nato a Madrid, precisamente al Parque del Retiro ma con la città non ha nulla a che vedere se non qualche segreto che non svelerò. Il libro è, anticipando qualcosa di quanto diremo il 23 Marzo alla presentazione dello stesso – ore 18.30 presso la Libreria Falso Demetrio, nei vicoli – l’esposizione del nostro personale viaggio nella Notte, notte con la N maiuscola proprio perché essa non è solamente una parte del giorno ma è qualcosa – molto – di più. La Notte è un concetto, uno stato della mente, è un modo di essere e di percepire le cose, è un luogo dove stazionare in cerca di risposte. Ma è anche il luogo delle contraddizioni e delle paure, di ciò che si perde, di ciò che si crede di vedere ma è illusorio, sede dell’irrazionale dove un uomo ha difficoltà a sopravvivere, soprattutto a se stesso. ”Dalla Parte della Notte” perché la notte è il rifugio di chi vive una condizione liminare, dove risiedono i Masnadieri fuorilegge, in cui i predoni dell’esistenza cercano il suo significato così frammentato tra i riflessi metallici delle cose di giorno, essa è un luogo, potremmo dire usando un termine forte, di tensione esistenziale, la quale tensione però, proprio grazie alla nostra giornaliera razzia di frantumi di essenze interrotte cerchiamo di sanare. La silloge è divisa in tre parti che rispondono al processo costitutivo dell’esistenza del masnadiere nella notte ed esemplificano il percorso in cui noi stessi ci siamo ritrovati e ci ritroviamo tutt’ora».
Claudia Baghino