In Italia si continua a derogare, mentre le spiagge libere spariscono e il cemento si mangia le nostre coste. Breve storia della direttiva più odiata da ambulanti e operatori balneari, che in Liguria mette i bastoni tra ruote alla giunta Toti
Pochi giorni dopo la fine delle vacanze di Natale, il Consiglio dei Ministri bocciava due leggi della Regione Liguria riguardanti la tutela delle imprese balneari e la concessione degli spazi demaniali marittimi. Secondo il governo guidato da Paolo Gentiloni, i provvedimenti liguri sarebbero in odore di incostituzionalità, perché il prolungamento automatico delle concessioni agli attuali gestori pregiudicherebbe la libera concorrenza e sarebbe in contrasto con la direttiva europea sui servizi. Inoltre, tutto ciò che riguarda il demanio è di competenza statale. Ancora prima del governo, però, erano arrivati gli uffici della stessa Regione Liguria, che già nella scheda tecnica in coda al provvedimento (che si può leggere, con qualche difficoltà, online) evidenziavano come “la presente proposta di legge presenta possibili rischi di impugnativa”. Rischi che si sono puntualmente avverati.
La direttiva europea sui servizi è più conosciuta come direttiva Bolkestein, dal nome del commissario per la concorrenza e il mercato interno che la formulò nel lontano 2006, quando presidente della Commissione era Romano Prodi. Nasce con l’obiettivo di creare un mercato unico europeo dei beni e dei servizi, eliminando le discriminazioni nazionali. La filosofia alla base del provvedimento è che un imprenditore tedesco, spagnolo, polacco o di un qualsiasi altro Paese membro dovrebbe essere libero di esercitare temporaneamente la propria attività in Italia senza essere svantaggiato rispetto agli italiani, e viceversa. Per rendere effettiva la concorrenza, sono vietati i rinnovi automatici delle concessioni. Esattamente quelli previsti dalla legge ligure, che per “garantire la continuità delle attività” prevede l’estensione della durata della concessione di altri 30 anni.
Per questo il governo ha impugnato i provvedimenti della giunta Toti, su cui ora si dovrà esprimere la corte costituzionale. Come in una catena alimentare delle istituzioni, però, se da un lato Roma tira le orecchie alla Liguria, nei confronti di Bruxelles l’Italia si ritrova dalla parte dei cattivi. L’applicazione della Bolkestein infatti, viene puntualmente rinviata, e questa nostra inadempienza ci costa multe salate. L’ultima volta è successo lo scorso 20 dicembre, durante la notte della discussione sulla manovra economica, quando un emendamento del Pd ha fatto slittare l’applicazione della direttiva europea al 2020.
Le responsabilità dello stallo odierno è ovviamente dibattuta; come da schema, tutti accusano gli opposti: per i dem è colpa di Berlusconi, per i berlusconers è colpa del governo Renzi
Sul tema c’è dunque il più classico dei buchi legislativi e le responsabilità dello stallo odierno è ovviamente dibattuta; come da schema, tutti accusano gli opposti: per i dem è colpa di Berlusconi, per i berlusconers è colpa del governo RenziDi questo “buco” abbiamo parlato con l’eurodeputato spezzino del Partito Democratico Brando Benifei, che ha le idee molto chiare sulla paternità del caos attuale: «Manca un disegno di legge italiano che introduca in maniera definitiva la riforma – dice – Le procedure di infrazione contro l’Italia sono infatti originate dall’irresponsabilità dell’ultimo governo di centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi, che invece di affrontare il problema in maniera organica, ha preferito optare per un sistema di “proroghe”, contrario alla normativa europea. Ciò ha causato non soltanto un danno all’erario, ma anche un danno a imprese, famiglie e cittadini che oggi sono vittima di tale situazione di incertezza. La protesta di categoria è stata più forte in Italia che all’estero, proprio perché alimentata da questo comportamento demagogico di partenza, esemplare di alcune delle nostre forze politiche nazionali».
Questa la versione di Benifei, per cui il Ddl del governo uscente punta al riordino della normativa e a rispondere alle esigenze del mercato italiano. Una versione non condivisa dall’assessore ligure Marco Scajola, un po’ il padre dei provvedimenti, che sottolinea come viceversa la Regione Liguria vada a tappare la falla creata in materia dal governo nazionale: «La cosa assurda di questa vicenda – diceva infatti al Secolo XIX commentando la decisione di Roma – è che di fronte a un vuoto legislativo che il governo avrebbe dovuto colmare entro il 2017, l’Esecutivo ha deciso di intervenire contro una Regione che ha cercato di tutelare le sue imprese».
In Italia, se si dice Bolkestein si pensa soprattutto alle proteste di alcune categorie, come quella degli ambulanti o quella – appunto – dei gestori di stabilimenti balneari. Attività che spesso, nel nostro Paese, sono trasmesse di generazione in generazione, e poco abituate alla concorrenza. Corporativismo o giusta difesa della propria attività e dei propri diritti? Decidete voi.
Un mercato da 10 miliardi l’anno, che allo stato frutta solo 101 milioni di concessioni. In Liguria solo 12 dei nostri 63 comuni rivieraschi rispetterebbero la quota minima del 40% di spiagge libere
Per provare a riflettere in maniera laica sull’argomento, un buon punto di partenza può essere la geografia. L’Italia ha circa 7600 chilometri di coste ed è, dopo la Grecia, il Paese europeo che si affaccia su acque temperate con maggior estensione costiera. Di questi, secondo quanto riportato da un rapporto del 2016 dei Verdi, 4mila sono idonei alla realizzazione di stabilimenti balneari, che sono in tutto 12mila distribuiti lungo lo stivale. In media uno ogni 350 metri. Parliamo di un business che vale 10 miliardi di euro all’anno, e che occupa più di 170 mila persone (dato 2015). Una vera e propria valanga di denaro che allo Stato italiano – denunciano ancora i Verdi – frutta solo 101 milioni di euro dalle concessioni demaniali, a causa di canoni di concessione bassi e spesso non riscossi. Associazioni ambientaliste come il Wwf puntano poi il dito sulla cementificazione selvaggia dei litorali (in questo siamo i primi in Europa) e la sempre maggior restrizione delle spiagge libere. Un fenomeno particolarmente sentito il Liguria, dove solo 12 dei nostri 63 comuni rivieraschi rispetterebbero la quota minima del 40% di spiagge libere. Mentre Paesi come la Francia – ad esempio – impongono per legge che gli stabilimenti non occupino più del 20% del demanio pubblico. Questi numeri aiutano a capire perché da noi la resistenza anti-Bolkestein sia più forte che altrove.
Le particolari caratteristiche economico-geografiche italiane sono argomento ricorrente dei critici del provvedimento, ma sono riconosciute anche da persone di onesta fede europeista. Persone come il consigliere del Municipio di medio levante Edoardo Marangoni: «se le concessioni durano poco – riflette a titolo personale ai microfoni di Era Superba – manca l’incentivo economico a investire in questo tipo di attività, che richiedono costi non indifferenti». Marangoni si è interessato all’argomento un po’ per motivi di studio e professionali personali, e un po’ perché fa politica su un territorio, quello di Albaro, dove operano diversi operatori del settore. Ritiene il provvedimento adottato dalla Regione scarsamente fondato dal punto di vista giuridico, ma comprensibile da quello politico: «è normale – dice – che si voglia rassicurare chi con queste attività si guadagna da vivere. Il governo, quale che sia il colore, su questo argomento latita ed evita di applicare la direttiva, d’altro canto Bruxelles riconosce le nostre particolarità e su questo non fa più di tanto pressione. Questa situazione di deroga costante genera una comprensibile condizione d’ansia per gli operatori del settore».
La percezione che si ha spesso è quella di un’Europa del tutto insensibile alle caratteristiche particolari degli Stati membri, in questo caso l’Italia. In realtà, stati mediterranei come Spagna, Portogallo e Croazia sono riusciti a ottenere un regime di concessioni lunghe (dai 30 ai 75 anni) senza per questo incorrere in procedure di infrazioni. A differenza dell’Italia, governo e operatori sono riusciti a fare sistema e sano lobbying a Bruxelles, e a vedersi riconosciute le proprie necessità specifiche.
«Ciò significa – spiega ancora Benifei – che da un lato è legittimo, come Paese, fare appello affinché un metro di giudizio uniforme nel trattamento delle pratiche di gestione del settore sia garantito; dall’altro, che è possibile adottare soluzioni nazionali che non causino necessariamente una dicotomia tra corretta implementazione e tutela delle imprese, degli investimenti e degli interessi specifici». E sarebbe la stessa Unione Europea a fornire gli strumenti giuridici per farlo: «L’ottimo studio recentemente commissionato dal Parlamento europeo – spiega l’europarlamentare – fornisce spunti molto utili su come raggiungere questo obiettivo, che passi da possibili soluzioni differenziate a seconda del carattere “scarso” o meno delle risorse demaniali; dall’inserimento del meccanismo di “doppio binario” che preveda le immediate gare solo sui litorali liberi, all’istituzione di una “rete di protezione” per le imprese esistenti».
Luca Lottero
Commento su “Spiagge, lo scontro sulle concessioni, tra Genova, Roma e Bruxelles. Ma in Liguria le “libere” sono sotto la soglia di legge”