Come nasce l’idea del “Suq permanente” e quale forma avrebbe? L’idea parte dal successo del Festival, dai messaggi che riceviamo costantemente dai genovesi e dal fatto che non esiste a Genova un centro multiculturale che possa fungere da catalizzatore di esperienze internazionali, mediterranee. L’idea è quella di un centro con lo spirito e l’impianto del Suq, […]
Come nasce l’idea del “Suq permanente” e quale forma avrebbe?
L’idea parte dal successo del Festival, dai messaggi che riceviamo costantemente dai genovesi e dal fatto che non esiste a Genova un centro multiculturale che possa fungere da catalizzatore di esperienze internazionali, mediterranee. L’idea è quella di un centro con lo spirito e l’impianto del Suq, in cui vengano mantenute alcune ristorazioni fisse e che preveda però una rotazione di ristoratori e commercianti in modo che possa essere una vetrina per tutti, ovviamente anche per gli artigiani liguri. Poi ci sarebbe un calendario di eventi e di attività ed un collegamento con i Consolati.
Come e dove pensate di realizzare il progetto? Avevate proposto due luoghi, la Loggia e il Carmine…
Il Suq ha la particolarità, a differenza di altre manifestazioni, di essere un luogo pubblico e privato insieme. Poiché, anche se c’è bisogno di un aiuto da parte delle istituzioni, potrebbe reggersi con le quote pagate dagli artigiani e dai commercianti. Sicuramente occorre che sia centrale, inserito nel tessuto della città, poiché deve essere una piazza dell’incontro. Noi avevamo proposto due luoghi con queste caratteristiche, la Loggia Banchi, dove è nato il Suq, e il Carmine. Tuttavia a questi luoghi sono stati destinati altri progetti .
Abbiamo poi aderito al “Progetto Cimento” per l’Hennebique , però è una cosa ancora lunga. Infine è stata da poco avanzata l’ipotesi dall’Amministrazione Comunale del Mercato del Pesce, ma anche questa è solo un’ipotesi.
Noi crediamo nel progetto del Suq permanente ma è necessario che venga accompagnato dalle Istituzioni, che dovrebbero intuire la portata di questo progetto, che è un “museo dell’esistente”, di quello che è, non di ciò che è stato.
In che modo il Suq può diventare un’opportunità per Genova?
Perché c’è ancora tanta strada da fare nel vivere il rapporto con l’altro in maniera più matura. Ci sono ancora delle difficoltà sia da parte dei genovesi che da parte degli immigrati e il Suq può accompagnare la reciproca accoglienza poiché c’è la necessità di un luogo di incontro. Sono convinta che la reciproca accoglienza debba essere giocata non solo nei luoghi del dovere, come la scuola o il posto di lavoro, ma soprattutto nei luoghi del tempo libero.
Il Suq è il momento in cui si curiosa l’altro, lo si avvicina, ci si siede alla stessa tavola. Questo avviene anche perché la forma del luogo, i profumi e i sapori aiutano ad incontrarsi. Quest’anno ho visto molte persone anziane che sono venute al Suq con le loro badanti, spesso straniere, ed entrambi si sentivano a proprio agio in un luogo che consideravano comune.
Infine il Suq ha la particolarità di attraversare tanti linguaggi diversi: la musica, il teatro, la danza, e quindi tutti ci si possono riconoscere.
Cosa pensi della tua città?
Genova è una città ricca, con punti di grande fascino ed è stata attraversata da momenti di splendore che rimangono. Tuttavia l’impressione è che non si sappia valorizzare, occorre trovare un’identità, dei punti di forza sui quali puntare. Il problema è che c’è poca strategia e poca relazione, si fa fatica ad uscire da certi meccanismi di chiusura. Il Suq rappresenta invece un punto di apertura, una dimensione mista ed anche per questo motivo bisognerebbe lavorarci.
Deepa Scarrà