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Nel giorno in cui un’inchiesta della magistratura ha portato alla luce i legami tra ‘ndrangheta e subappalti legati ai cantieri del Terzo Valico, il blocco dell’esproprio di Pozzolo Formigaro (AL) potrebbe fermare i lavori. Ma dal governo arriva il via libera per il riuso dello smarino amiantifero
Un’altra giornata cruciale per i destini del Terzo Valico. Mentre il Paese si fermava a ricordare la strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, dove perse la vita il giudice Paolo Borsellino, l’operazione “Alchemia” condotta dalle squadre mobili di Genova, Reggio Calabria e Savona portava all’arresto di oltre 40 persone, indagate a vario titolo per concorso esterno in associazione mafiosa; tra queste, alcuni esponenti “liguri”, a capo di ditte che gravitavano attorno ai subappalti relativi alla movimentazione-terra dei cantieri del Valico dei Giovi. Nello stesso giorno, i tecnici di Cociv procedevano con le operazioni di esproprio per due terreni interessati dal tracciato, a Pozzolo Formigaro e a Fraconalto. Nel primo caso, però, alcune irregolarità procedurali potrebbero invalidare l’immissione in possesso, fermando di fatto i lavori, almeno momentaneamente.
Tutto questo a pochi giorni dal via libera definitivo del governo, su proposta del presidente Matteo Renzi e del ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, al decreto del presidente della Repubblica che semplifica la disciplina di gestione delle terre e rocce da scavo, nella versione definitiva, dalla quale sono spariti i paletti per il riuso dello smarino prodotto dagli scavi.
Le indagini coordinate dalla procura di Reggio Calabria hanno accertato legami stabili tra le cosche calabresi e quelle liguri, impegnate nel business della movimentazione terra e dello smaltimento di rifiuti pericolosi. Il sistema, affinato negli anni, prevedeva un avvicendamento pianificato di ditte (create ex novo da prestanomi o famigliari, ma sempre a gestione e profitto delle cosche) per poter accedere alle assegnazioni dei sub-appalti dei grandi cantieri. I legami personali con alcuni esponenti politici locali, faceva il resto.
Il Terzo Valico è un progetto da 6,2 miliardi di euro (per 53 chilometri di tracciato, cioè 116 milioni a chilometro, cifra da primato mondiale) cioè una montagna di soldi che cadono a cascata ai “fortunati” che prendono parte ai lavori. Da qui le infiltrazioni mafiose, finalizzate a far pressione sui politici locali per ottenere commesse sui subappalti già aggiudicati. Stando alle intercettazioni, si tratterebbe di qualcosa di più di semplici tentativi: nelle conversazioni, riportate da alcuni giornali nazionali, si parla apertamente di favori fatti per i quali si aspetta un ritorno, e il Terzo Valico è citato innumerevoli volte. Solo il rallentamento dei lavori pare abbia impedito l’inizio di queste joint venture.
Questo, ancora una volta, apre un problema politico: se non ci fosse arrivata la magistratura, che cosa sarebbe successo? L’attuale sistema delle assegnazioni è così vulnerabile? «La politica non ha gli strumenti per prevenire questi casi – afferma a “Era Superba” Stefano Bernini, vicesindaco di Genova e assessore all’Urbanistica – dovendosi attenere alle certificazioni anti-mafia che sono a carico della prefettura durante le gare di appalto. Nel caso specifico, Cociv (general contractor dell’opera, ndr) è tenuto a fare gare di appalto, durante le quali ci si attiene alle carte e alle cose note fino a quel momento». Un sistema, quindi, che è strutturalmente vulnerabile, soprattutto se si tratta di grandi lavori, con centinaia di ditte coinvolte: «Il nostro sistema giudiziario ha qualche baco – ammette Bernini – ma va detto che la malavita ha fatto un salto di qualità manageriale non indifferente, per cui va rafforzata la funzione investigativa».
Una funzione investigativa che però è regolata da leggi fatte dalla politica: come è noto, le interdittive anti-mafia valgono solamente nel territorio di competenza della prefettura che le ha firmate, lasciando le mani libere alle ditte “colluse” di spostarsi sul territorio nazionale senza preclusioni di sorta, come successo per la ditta Lande s.p.a (fino al 2015 s.r.l) che a inizio giugno ha ricevuto l’interdittiva dal prefetto di Napoli, ma che figura tra le ditte subappaltanti per alcuni cantieri del Terzo Valico. «Manca la volontà politica di cambiare il sistema degli appalti – commenta Paolo Putti, capogruppo M5S in Consiglio comunale a Genova e noto oppositore delle grandi opere – semplicemente perché conviene mantenerlo tale. Certe opere devono essere fatte per farle, non perché servono, come dimostra la storia del Terzo Valico. La notizia di questi arresti non ci stupisce, sono anni che i movimenti denunciano questa predisposizione del sistema delle grandi opere». A proposito di movimenti: dalle carte dell’inchiesta “Alchemia” è emerso come la malavita radicata nella nostra regione, attraverso prestanome, abbia finanziato e supportato i comitati “Sì Tav”, per cercare di spostare i consensi dell’opinione pubblica, al fine di accelerare i lavori, e quindi i possibili introiti.
Se i cantieri sono in una fase di potenziale stallo, da Roma arriva un assist importante: il 15 luglio scorso, infatti, è stato licenziato il testo definitivo del decreto che semplifica le procedure di gestione delle terre di scavo, in pendenza da mesi. Nel dispositivo definitivo sono saltati alcuni paletti che avevano sollevato aspre critiche da parte dei fautori dell’opera: nel testo originale, infatti, era previsto che, in presenza di fibre di amianto, lo smarino andasse trattato in loco e poi stoccato in siti dedicati. Con la nuova versione della legge, invece, potrà essere riutilizzato per riempimenti o altro. In questo modo, non sono più messi in discussione i progetti finanziari delle grandi opere, che potranno procedere con i lavori senza dover rivedere i vari piani per lo smaltimento.
Come dicevamo, mentre sui giornali usciva la notizia degli arresti, i tecnici di Cociv si presentavano presso un terreno collettivo a Pozzolo Formigaro (in provincia di Alessandria), per procedere con un esproprio: 180 metri quadrati posti esattamente lungo il tracciato dell’opera, acquistati anni fa da 101 attivisti No Tav, necessari per il proseguimento dei lavori. A difendere l’appezzamento, un nutrito numero di cittadini contrari all’opera, fronteggiati da un altrettanto nutrito reparto di Polizia in tenuta antisommossa. Nonostante lo stallo creatosi, con il decreto autorizzativo per l’immisione in possesso in scadenza, e non più rinnovabile, e scaduta la dichiarazione di pubblica utilità, i tecnici hanno dovuto fare un tentativo: senza entrare nella proprietà hanno fotografato da distante il terreno per poi ritirarsi. Una modalità utilizzata già in precedenza per i terreni di via Coni Zugna, a Pontedecimo, per il quale è stato depositato un ricorso e si è in attesa della decisione del Tar. Gli attivisti del movimento denunciano la nullità di questa procedura: oltre ad aver coperto il terreno con dei teli, per evitare le rilevazioni tecniche anche attraverso le fotografie, pare che la notifica dell’esproprio non sia stata consegnata a tutti i proprietari, come prescritto dalla legge, cosa che annullerebbe automaticamente il decreto. Se questo mancato esproprio sarà confermato, i lavori potrebbero fermarsi per molto tempo.
Ancora una volta, quindi, la storia del Terzo Valico si è “arricchita” di nuovi elementi: è stata dimostrata la facilità di contatto della malavita con il microcosmo dei cantieri del Terzo Valico ed è stata confermata la vulnerabilità strutturale delle procedure di assegnazione e distribuzione degli appalti. La politica, però, tira dritto, e anzi, vuole accelerare, forzando le procedure e rischiando di soprassedere sui rischi che si possono correre bucando monti amiantiferi; mettendo insieme le due cose, il quadro non è dei più rassicuranti.
Nicola Giordanella