La denuncia del Sert: dei 12 milioni destinati dalla Regione alla cura delle dipendenze, solo 3 arrivano alle comunità genovesi. I soldi non bastano per garantire l’accesso alle misure alternative alla detenzione previste dalla legge italiana. Ma il Ceis: “Perché mandate così tanti pazienti fuori provincia?”
Della realtà degli istituti di assistenza ai tossicodipendenti il cittadino comune conosce poco o niente. Eppure, sono centri di importanza primaria nel tessuto del nostro welfare, sia perché svolgono un ruolo di assistenza sociale fondamentale per una categoria di cittadini affetti da una patologia particolarmente grave, sia perché il loro buon funzionamento ha ripercussioni positive sul sistema economico della sanità: parlando in termini decisamente pragmatici, le comunità costano meno degli ospedali e, se funzionano, garantiscono cura e reinserimento sociale di un tossicodipendente, evitando ulteriori spese mediche e altri possibili “danni collaterali” come la deriva verso la delinquenza di chi è escluso dal circuito lavorativo.
Recentemente, tuttavia, un professionista del settore quale Paolo Merello, direttore generale del Ceis (Centro di solidarietà) di Genova – onlus che da tempo lavora nel campo della cura delle tossicodipendenze – ha lanciato un allarme circa la situazione genovese. «Ci sono molti utenti ristretti in carcere privati della possibilità di accedere alle misure alternative come dispone la legge italiana» ha denunciato. Sarebbero, infatti, circa 400 i tossicodipendenti che non trovano posto nelle strutture di cura.
Ogni anno, la Regione Liguria stanzia 12 milioni di euro per le dipendenze. Di questi, 5 milioni sono destinati alle strutture di Genova ma solo 3 milioni arrivano effettivamente alle comunità, mentre il resto finisce fuori provincia e fuori regione. Un’uscita motivata dal fatto che circa il 10-12% degli assistiti vengono curati fuori Genova o fuori Liguria ma restano comunque a carico del nostro sistema sanitario ed economico, che ha un costo medio di 80 euro al giorno per paziente, come ci spiega Giorgio Schiappacasse, medico specialista in psichiatria e direttore dei Sert della Asl 3 genovese. Due le ragioni principali di questa “delocalizzazione”: da un lato, mancano in Liguria alcune strutture specifiche, ad esempio una per nuclei madre-figlio e una per i minorenni, categorie che non possono essere inserite all’interno di un centro che accoglie anche uomini adulti; dall’altro, alcune terapie possono essere maggiormente efficaci per il tossicodipendente se viene allontanato dalla propria realtà cittadina, nella quale può subire il richiamo delle frequentazioni e dei luoghi che condividono con lui la maledizione della droga.
Non proprio sulla stessa linea il Ceis. «Noi non vogliamo entrare nel merito delle scelte medicali – spiega Michele Serrano, responsabile delle relazioni esterne – se il medico ritiene che il paziente abbia necessità di essere allontanato dal suo territorio, per fruire meglio della cura, affidandolo ad esempio al Ceis di Sanremo invece che a quello di Genova, è un discorso che ha una logica e sul quale noi non solleviamo obiezioni. Ci domandiamo soltanto, come mai dai Sert di Sanremo, Savona, La Spezia, non viene nessuno a Genova. Come mai soltanto Genova manda al di fuori delle persone a fare il periodo in comunità terapeutica? E desidereremmo delle risposte, solo delle risposte. Non vogliamo imporre il nostro giudizio o la nostra opinione, vogliamo semplicemente che a una domanda che ha una sua logica ci venga risposto qualcosa che abbia delle motivazioni che siano logiche».
Ma per Schiappacasse i dati genovesi sono assolutamente fisiologici, tanto che il problema, a suo dire, non risiederebbe nella mancanza di risorse spesso chiamata in causa in queste situazioni. «Il budget della Regione è sufficiente, anche se ovviamente per problematiche così gravi e diffuse non è mai abbastanza», spiega lo psichiatra. «È logico che poi, come non avremo possibilità di avere 50 pazienti psicologici ad esempio, così anche le comunità non possono pensare di avere 500 posti per tossicodipendenti: essendoci un budget c’è un limite. Però questo ci deve impegnare a lavorare meglio per tutti, a lavorare meglio su come prepariamo la persona alla comunità, il dopo comunità, su come può essere ottimizzato in tempi e qualità del lavoro» aggiunge riferendosi a tutta la rete di comunità che lottano contro le tossicodipendenze e a nuovi metodi a costo zero come i gruppi di autoaiuto. «In questi anni abbiamo incrementato l’utilizzo delle strutture genovesi. Basti pensare che 5 anni fa i Sert erano utilizzati, rispetto al budget complessivo, al 30-35% e adesso saranno al 65-70%» commenta Schiappacasse circa alcuni dubbi mossi nell’ambiente nei confronti della gestione del Sert.
Più che nell’entità delle risorse, dunque, il problema potrebbe essere individuato nella loro distribuzione: «La ASL 3 copre da Camogli fino a Cogoleto – ricorda il direttore – quindi tutta la Città metropolitana; siamo sui 780.000 abitanti. In Liguria ci sono cinque Asl (La Spezia, Chiavari, Savona, Imperia e Genova) e la quota del budget dovrebbe essere proporzionata al numero di abitanti. Se in regione siamo 1,5 milioni e la ASL 3 ha 780.000 individui come bacino di utenza, forse non ci arriva quello che dovrebbe in proporzione».
Su questo punto concorda anche Serrano: «Perché – si chiede – Genova che ha molti più assistiti in carico al Sert, agli istituti detentivi, eccetera eccetera, ha una fetta così esigua rispetto a qualsiasi altra realtà regionale?». Una domanda che, al momento, resta inevasa.
Alessandro Magrassi