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Emanuele Conte: intervista al direttore artistico del Teatro della Tosse

Dal 2010 Emanuele Conte coordina la stagione artistica di Teatro della Tosse, Cantiere Campana e La Claque: un incontro per raccontare presente e futuro della cultura e dello spettacolo a Genova


2 Aprile 2013Interviste

emanuele conte l1«Se stai male e c’è crisi devi lavorare di più e farlo al meglio delle tue possibilità. Se un teatro lavora meno con il pretesto della crisi allora diventa una struttura “inutile”, dunque perché gli enti pubblici dovrebbero sovvenzionarlo?». Con queste parole Emanuele Conte – presidente e direttore artistico della Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse – ha espresso la sua posizione sulla situazione dei teatri a Genova, a margine della conferenza stampa di presentazione dello spettacolo Sogno in una notte d’estate e della contestuale mostra collettiva.

Subito dopo la conferenza, gli ho posto alcune domande in merito all’attività del Teatro della Tosse (la cui gestione comprende anche Cantiere Campana e La Claque), sui legami con la città e un parere sulle proposte recentemente presentate per cambiare il sistema-teatro, a partire dal progetto di Consulta Regionale.

Dal 2007 sei presidente e direttore organizzativo della Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, dal 2010 direttore artistico. Rispetto al progetto che avevi in mente quando hai iniziato, sei riuscito a realizzare tutto quello che pensavi o hai dovuto “sterzare in corsa”?
Questo mio percorso all’interno del Teatro è nato in un momento di profonda crisi, non solo finanziaria ma anche e soprattutto artistica: con la morte di Emanuele Luzzati (avvenuta il 26 gennaio 2007, ndr) vi è stata la presa di coscienza che nulla sarebbe più stato come prima. La costituzione della Fondazione Luzzati ha avuto come primo obiettivo il “salvarsi”, ossia raccogliere e portare avanti l’eredità di Luzzati e garantire altri trent’anni dopo quelli che hanno permesso a lui – insieme a Tonino Conte, Aldo Trionfo, Pepi Morgia e altri – di portare avanti il percorso del Teatro della Tosse, iniziato nel 1975.

In parallelo ho voluto creare le basi per portare a Genova il lavoro di autori e compagnie emergenti da un lato, di grandi artisti internazionali dall’altro, per rendere la Tosse uno dei “teatri europei d’Italia”. A mio parere, il lavoro del direttore artistico – che svolgo dal 2010 in sinergia con Fabrizio Arcuri, mentre dal 2007 al 2010 lo è stato Massimiliano Civica – non è solo scegliere titoli e/o produrli, ma anche creare un’ambiente di connessione con il pubblico attraverso mostre, aperitivi, concerti e altre iniziative, proprio come si fa all’estero. Il mio principale orgoglio in questi anni è che nomi di punta del teatro internazionale sono venuti per la prima volta a Genova con uno spettacolo al Teatro della Tosse: penso per esempio a Peter Brook, Thomas Ostermeier, Eismuntas Nekrosius e tanti altri.

Il tuo impegno nel portare autori non italiani alla Tosse potrebbe tradursi anche nell’attirare un pubblico internazionale? I dati sul turismo a Genova parlano di un incremento delle presenze di stranieri: è possibile a tuo parere avvicinare il turismo e il teatro?
Non solo è possibile, ma si dovrebbe. Il problema è che non sempre accade, almeno non qui: da parte nostra cerchiamo di operare con le associazioni di categoria, su tutte quella degli albergatori, ma sono connessioni che andrebbero create dalle istituzioni. Noi siamo anche un presidio importante per il centro storico, ma spesso non vengono adottate le misure necessarie a contrastare le situazioni di degrado.

Ti faccio un altro esempio: da quattro anni organizziamo un festival estivo ai Parchi di Nervi, che potrebbe anche attirare i turisti che vengono qui d’estate. Il problema è che ottenere le concessioni è ogni anno sempre molto complesso, e quest’anno molto probabilmente il festival non si farà a causa dei lavori di ristrutturazione del Parco.

La Fondazione, nelle sue tre “anime” – Teatro della Tosse, Cantiere Campana e La Claque – punta molto sulla valorizzazione del contemporaneo: a tuo parere, attori e drammaturghi sono formati adeguatamente in questo campo, o le scuole e accademie puntano ancora su una formazione esclusivamente “classica”?
La formazione al contemporaneo è molto carente, perché molte scuole e accademie hanno ancora un’impostazione antica, portata avanti da docenti conservatori. Il problema cruciale, a mio parere, è tuttavia un altro: le scuole di recitazione e drammaturgia sono molto costose per le pubbliche amministrazioni, perché non sono realtà che “fruttano”. Mi riferisco al fatto che oggi, in questo settore, il mercato è saturo e non c’è possibilità di dare lavoro o retribuire adeguatamente i 10, 15 diplomati che ogni anno escono dalle principali accademie. Senza contare i sempre più numerosi corsi di recitazione, scrittura teatrale o su professioni del teatro dei quali è difficile attestare la professionalità, ma che raccolgono molti iscritti. La formazione di potenziali disoccupati è inutile, se non addirittura criminale. Per lo spettacolo Sogno in una notte d’estate abbiamo formato una compagnia quasi interamente di nuovi elementi, con attori molto giovani: abbiamo annunciato i provini sul web, non tramite le scuole, e in pochi giorni abbiamo avuto oltre 200 candidature.

Cosa pensi del progetto di Consulta Regionale che Tilt Teatro sta portando avanti? Parteciperai all’assemblea del 22 aprile in Regione?
Ho ricevuto la convocazione e il Teatro della Tosse parteciperà alle assemblee. Non posso definirmi né contrario né a favore, perché di fatto non ho ancora compreso se e in quali termini una Consulta Regionale possa essere utile. La questione della ripartizione dei fondi è molto delicata, per esempio i soldi che il Comune elargisce al Teatro Stabile e al Carlo Felice sono destinati per obbligo di legge: il rischio è che vi siano realtà teatrali che vogliono “portare acqua al proprio mulino” e aderiscano a questo tipo di progetti solo per avere maggiori sovvenzioni, prima che per discutere su proposte e iniziative concrete.

Un altro tema chiave portato avanti dalla Consulta è quello degli spazi: concordo sul fatto che ci siano molti spazi non utilizzati e sui quali non si sono realizzati progetti adeguati – su tutti il teatro Hop Altrove – ma va ricordato che gestire uno spazio ha dei costi vivi, a partire dalle utenze e dal retribuire chi ci lavora. Sono necessari progetti a lungo termine proposti da realtà con una professionalità forte e con le risorse per portare avanti le loro iniziative.

Ritengo anzitutto importante dare valore ai teatri che non fanno solo cultura, ma sono anche un presidio importanti per i loro territori, come il Teatro Cargo a Voltri e il Teatro dell’Ortica a Molassana. In secondo luogo va sostenuta l’attività di chi continua a creare lavoro e opportunità, anche e nonostante la crisi: quando Marta Vincenzi, in campagna elettorale, volle incontrare gli operatori del teatro, proposi di rendere obbligatoria l’apertura alle compagnie emergenti e alle nuove produzioni nei bandi per i contributi pubblici. Una proposta che fu accolta positivamente e da allora inserita come requisito nei bandi stessi. Molti teatri puntano ancora sul “sicuro”, ma così facendo le compagnie nuove non lavorano mai, non hanno circuitazione. Da parte nostra, la distinzione che abbiamo operato fra Teatro della Tosse e Cantiere Campana vuole porre l’accento su questo intento, per dare un presente alle realtà emergenti, e non solo promesse per il futuro.

Questo limite che ravvedi nei teatri è presente anche nel pubblico: spesso lo spettatore predilige gli spettacoli “più sicuri”, che già conosce e sa comprendere. Il teatro contemporaneo dovrebbe implicare una visione critica dello spettatore, che non sempre è possibile. Il Cantiere Campana ha tentato di ricevere le recensioni dagli spettatori per incentivarne lo spirito critico: com’è andato il progetto?
L’iniziativa del Cantiere Campana non è nuova, perché la Tosse nelle passate stagioni aveva già provato esperimenti analoghi. Si tratta di un progetto molto interessante per noi, ma al tempo stesso impegnativo e difficile da seguire: in termini quantitativi i riscontri non sono stati molto alti, perché oggi lo spettatore tende a considerare se stesso come un consumatore, prima che un critico attento. Con il Cantiere Campana si è anche fatto un lavoro capillare sui social network, per trasferire nel web la creazione di ambiente e di comunità di cui parlavo prima: in questo senso sono un ottimo strumento, anche se il rischio è di “intasare” di comunicazioni bacheche altrui.

Marta Traverso


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