Il partenariato transatlantico su commercio e investimenti presentato da Obama e Barroso è entrato nell'agenda politica italiana, ma resta ancora per tutti un oggetto misterioso. Quali sono le conseguenze concrete che l’eventuale adesione italiana al TTIP comporterebbe per il sistema economico genovese?
Poco prima che la città fosse sommersa da ben altre urgenze, a inizio ottobre si sarebbe dovuta discutere in Consiglio comunale una mozione presentata da Antonio Bruno (Fds) che avrebbe impegnato sindaco e giunta a intraprendere tutte le azioni possibili per fare pressione sul governo affinché ritiri la propria adesione al TTIP (Transatlantic Trade & Investiment Partnership), il partenariato transatlantico su commercio e investimenti che negli ultimi giorni è entrato finalmente nell’agenda politica e mediatica italiana ma che resta ancora un oggetto assolutamente misterioso nonostante sia stato lanciato ufficialmente nel giugno 2013 da Obama e Barroso.
Il documento presentato dal consigliere della sinistra genovese è stato ritirato per una più approfondita discussione in Commissione, dato che pare non sia pienamente condiviso dalla giunta e in particolare dall’assessore allo Sviluppo economico Francesco Oddone, ma la tematica resta di estrema attualità visti anche i toni forti contenuti nella stessa mozione: Bruno parla, infatti, di “lesione del principio costituzionale della sovranità delle autonomie locali” e si augura che il trattato non venga ratificato dal Parlamento europeo. “L’obiettivo prioritario di tale partenariato – si legge nelle premesse del documento del consigliere – è quello dell’eliminazione di tutte le barriere “non tariffarie” ovvero le normative che limitano la piena libertà d’investimento e i profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali a est e ovest dell’oceano Atlantico”. Insomma un’estrema liberalizzazione del mercato che potrebbe portare con sé notevoli conseguenze anche a livello locale.
«Il rischio – ci spiega Antonio Bruno – è che questa compressione dell’autonomia delle autorità pubbliche si trasformi in un’ulteriore ondata di privatizzazioni in settori chiave come la sanità e l’istruzione, aprendo appalti governativi alla concorrenza di imprese transazionali con il risultato di un’azione destrutturante sulla coesione delle comunità territoriali».
Perché, vi chiederete, ne stiamo parlando su Era Superba? Perché da questo trattato potrebbe sì dipendere il futuro dell’economia mondiale ma anche, a cascata, quello della nostra città che deve necessariamente compiere alcune scelte cruciali per il proprio sviluppo futuro. Risulta, infatti, alquanto palese come il TTIP rischi di introdurre squilibri eccessivi a favore dei grandi capitali internazionali svilendo ogni sorta di iniziativa locale anche dal punto di vista istituzionale. «L’impatto su Genova – prosegue Bruno – può avvenire nel momento in cui facciamo appalti e prevediamo clausole sociali o ambientali o ancora, ad esempio, diciamo che nelle scuole non si possono servire ai ragazzi cibi OGM. Insomma, a essere inficiata potrebbe risultare tutta l’attività amministrativa del Comune che tende a far sviluppare attività industriali o agricole basate sulla merce locale. Potrebbe succedere che, una volta approvato il trattato, le multinazionali interessate a un appalto denuncino il Comune o la diffidino dal prevedere queste norme. Per non parlare, poi, del controllo dei subappalti o dei subentri in corso d’opera». Per carità, è piuttosto probabile che una multinazionale non abbia troppi interessi a spendere tante energie per piccoli appalti locali, ma la situazione potrebbe cambiare radicalmente se iniziassimo a parlare di gestione dei rifiuti o del servizio idrico (già adesso di fatto in mano a multinazionali su cui il Consiglio comunale e probabilmente anche il sindaco non hanno molto controllo) o di altri cruciali servizi pubblici, tanto più se gestiti da cosiddette multiutility.
Per capire meglio quali siano le conseguenze concrete che l’eventuale adesione italiana al TTIP comporterebbe per il nostro sistema economico ci siamo fatti aiutare dal consigliere di Lista Doria, Luciovalerio Padovani, con cui già in passato avevamo dipanato altre districate matasse economiche come quelle relative al bilancio (qui l’approfondimento).
«Ci troviamo di fronte ad un percorso negoziale teso a stipulare un trattato di “libero scambio” nell’area atlantica che regolerà i rapporti economici e commerciali tra Unione Europea e Stati Uniti. Si tratta dell’area economica più produttiva del globo (il 50% delle transazioni, 800 milioni di persone), e visto che è già stato adottato il NAFTA (trattato per il continente nord americano) e che presto seguirà anche il PPI (trattato per l’area pacifica), è del tutto evidente la portata della trasformazione. La prima considerazione che viene da fare è che si tratta di un “patto” che avrà notevoli conseguenze sulla vita e sulla salute nostra e dell’intero pianeta. Insomma, si stanno negoziando “regole del gioco” che avranno ricadute significative su ambiente, salute e diritti e ciò avviene nel più totale silenzio, in un regime di sostanziale riservatezza. I cittadini che saranno coinvolti pesantemente dalle conseguenze del trattato sul piano della loro concreta vita quotidiana non sono per niente informati di quello che si sta discutendo. Sembra che la decisione in merito riguardi esclusivamente i governi. Forse perché, in casi analoghi, quando è stato fatto l’errore di parlarne in chiaro, la protesta è stata cosi forte da costringere i governi a ritirare la proposta?»
«L’intenzione del trattato è quella di rimuovere tutti gli “impedimenti” che possono in qualche modo ostacolare gli scambi commerciali. Per ottenere questo risultato gli operatori economici e i governi si apprestano ad emanare norme tese ad eliminare sia le “barriere tariffarie” (dazi) che le “barriere non tariffarie” (vincoli) allo scopo di favorire al massimo la libera circolazione di merci e capitali. Per persuadere i decisori e la pubblica opinione più informata, si sostiene, dati alla mano, che la conseguenza prevedibile di questa “ulteriore liberalizzazione” del mercato siano ricadute positive sulla quantità di scambi, con un aumento della produzione, dell’occupazione e della creazione di ricchezza».
Ma su questo, pare di capire, non ci siano grandi convinzioni. «Le analisi prodotte sino a qui sono frutto di calcoli fondati su dati incerti e gli enti coinvolti nelle ricerche hanno scarsissima credibilità, visto che sono espressione di quelle stesse lobbies che hanno tutto l’interesse a far sì che il trattato venga adottato. Non è un caso che buona parte delle riunioni che stanno precedendo la stipula vera e propria dell’accordo (circa 135 su 150), vedano protagonisti i grandi operatori economici, mentre ben poco significativo sia lo spazio dedicato all’auditing delle associazioni dei consumatori. Ciò fa sorgere qualche dubbio rispetto alla neutralità dei dati forniti circa gli effetti economici e sociali dell’operazione».
Facciamo un passo indietro e fermiamoci sulle conseguenze reali o presunte del trattato. «È chiaro che il TTIP si muove tutto all’interno di una “ricetta neoliberista” dello sviluppo economico. L’idea che sta alla base dell’accordo è che il mix “meno barriere, meno vincoli / più economia di scala, più libera concorrenza”, significhi automaticamente aumento della quantità degli scambi, più lavoro, più profitti e quindi indirettamente più ricchezza da distribuire. Ma è così certo che tutto questo processo dia vantaggi effettivi sul piano della distribuzione della ricchezza prodotta? Non credo. Le tendenze macroeconomiche in atto testimoniano che, come l’aumento della circolazione delle merci non implica necessariamente maggior reddito disponibile nel sistema, così un vantaggio in termini di profitti per le imprese non è detto si trasformi per forza in ridistribuzione effettiva della ricchezza ai lavoratori. Piuttosto, e questo è indiscutibile, abbiamo assistito a un aumento vertiginoso delle diseguaglianze. Da noi, dove fino ad oggi la qualità dei prodotti è più tutelata, la paventata riduzione di standard e controlli finirebbe per attribuire un ulteriore significativo vantaggio in termini competitivi ai grandi gruppi multinazionali».
«Il trattato, con la totale liberalizzazione dei mercati, comporterebbe effetti negativi soprattutto per quelle aziende che non sono in grado di fare economie di scala, che sono insediate in “aree deboli”, che si sono specializzate in prodotti di nicchia, magari di qualità, ma con costi di produzione alti. L’aumento della competizione in un mercato maggiormente de-regolato rischia di avere effetti negativi soprattutto per le piccole e medie imprese che fanno già fatica ad affrontare la sfida globale.
Lo scopo dichiarato del TTIP è quello di salvaguardare e promuovere la libertà di scambio e la libera concorrenza che, tuttavia, verrebbero tutelate anche a scapito delle leggi nazionali. Le eventuali norme “restrittive” rispetto al must del libero mercato ed al “diritto supremo” delle multinazionali di fare business adottate nei singoli Paesi, nelle singole Regioni, nei singoli Comuni potrebbero essere, alla luce di questi accordi, considerate “illegali” e dare luogo a ricorsi milionari».
«Anche senza trattato, ci sono alcuni esempi di contenzioso che già vanno nella direzione che accennavo prima: con l’adozione trattato tutto questo diventerebbe regola. Abbiamo, tra gli altri, l’esempio della Philip Morris che ha fatto causa all’Uruguay per una campagna antitabacco, quello della Vattenpol che ha fatto causa alla Germania per la sospensione di un progetto di costruzione di una centrale nucleare, quello di Lore-Pina che ha fatto causa al Canada perché si era opposto alla pratica del fracking, quello dell’Occidental Petroleum che ha fatto causa all’Ecuador per la mancata apertura di alcuni pozzi petroliferi. È evidente che nel nuovo contesto normativo la possibilità da parte delle grandi corporations di promuovere cause milionarie e di vincerle condizionerà l’azione stessa dei governi, limitandone indebitamente la sovranità e la discrezionalità.
Non è detto che, in assoluto, armonizzare le norme e favorire la circolazione di prodotti e saperi in un mondo fortemente interconnesso sia di per sé un fatto negativo ma l’intero sistema economico e normativo, anche grazie al TTIP, sta andando eccessivamente nella direzione di favorire i profitti delle multinazionali. E la cosa più grave è che il tutto avviene in un quadro politico connotato da un’assenza sempre più preoccupante di democrazia. Se, già ora, le decisioni, anche su temi rilevanti come questo, sono assunte dai governi, senza nessuna consultazione dei cittadini, dopo l’adozione del trattato, verranno sottratte in larga misura anche alla potestà degli Stati».
Simone D’Ambrosio