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Il sindaco di Genova passa al setaccio tutte le difficoltà del progetto di riqualificazione delle aree ex Fiera e del waterfront cittadino. Per realizzare il disegno di Renzo Piano il 40% della partecipazioni alla Blue Print Competition arrivano dall’estero
Blue Print Competition, ma soprattutto un’occasione per ridisegnare la città. Il “Doria-pensiero” sul progetto di Renzo Piano è sempre stato chiaro e lo ha ribadito durante l’incontro con architetti e ingegneri al Salone Nautico Internazionale. Il Blue Print è un polo strategico per la Genova del futuro insieme con Erzelli e le ex aree Ilva. Di sicuro, le ultime due hanno vissuto periodi poco felici, fatti di polemiche e non hanno ancora visto la nuova luce: un esempio è il trasferimento della facoltà di Ingegneria sulla collina che tra Cornigliano e Sestri Ponente. Bisogna sperare che il Blue Print non subisca lo stesso destino anche se resta il punto interrogativo più grande: i soldi. «L’amministrazione comunale non ha risorse da spendere nel progetto – dice chiaramente il sindaco – ed è per questa ragione che servono gli investimenti privati e l’aiuto del governo. Quest’ultimo è arrivato con 15 milioni di euro, io ho detto grazie a Renzi e sono contento dell’attenzione di Roma, ma mi sono soffermato a pensare che per rifare l’Expo sono arrivati centinaia di miliardi di lire nel 1992». Insomma, il paragone è chiaro, ma di mezzo c’è stata anche una crisi che ha portato tutto il paese a essere schiacciato. Ed è qui che entra in campo la Blue Print Competition, voluta da Comune di Genova e Spim, la società per la promozione del patrimonio di Tursi.
Se è vero che gli investitori bisogna attrarli, la competizione, volta al recupero degli spazi vuoti dell’ex Fiera internazionale, diventa un punto fondamentale, anche se non sufficiente. Per questa ragione sarà presentata all’estero, in paesi come Russia e Cina. «Sicuramente questo è un punto chiave – prosegue Doria – ma la Blue Print Competition da sola non basta, come non bastano i fondi del governo. Servirebbe che il Paese intero ripartisse». Anche perché non si può certo dire che da Roma ultimamente, tra Terzo Valico e messa in sicurezza idrogeologica della città, siano arrivati solo spiccioli. «Nella storia di Genova non si sono mai spesi tanti soldi per contrastare il grave rischio idrogeologico che purtroppo ci affligge – ricorda il primo cittadino – stiamo realizzando gli scolmatori, stiamo abbattendo tutti gli ecomostri costruiti negli alvei dei torrenti. Poi ci sono gli investimenti potenziali, soldi pronti per grandi progetti». Ed è qui che si inserisce ancora una volta il Blue Print che fa parte dell’ampia visione sulla trasformazione di Genova. «Non entro nel merito del concorso, naturalmente, ma sono stati in molti a contattare la Spim per partecipare alla competizione. Al momento il 40% dei contatti arriva dall’estero e in testa c’è il Regno Unito. Entro dicembre capiremo il numero esatto dei partecipanti – prosegue il sindaco – e a chi dice che il Blue Print è bellissimo ma irrealizzabile per via dei costi, rispondo che il senso è anche quello di trovare i finanziatori».
L’incontro al Salone nautico organizzato dall’ordine degli ingegneri è statao anche l’occasione per ripercorrere la strada, a volte accidentata, che ha visto nascere il Blue Print, dal giorno in cui Riccardo Garrone, allora patron dell’U.C. Sampdoria, presentò sul tavolo del sindaco il progetto per costruire lo stadio, fino alle polemiche con il Coni per l’idea di trasformare il Palasport in una darsena coperta. «Comunque ho trattato Malagò meglio io – ironizza Marco Doria riferendosi al no del sindaco di Roma, Virginia Raggi alla candidatura di Roma per i Giochi olimpici del 2024 – dato che la trasformazione del palazzetto in darsena coperta è stata rivista, con una nuova progettazione che consentirà far rinascere il Palasport mantenendo la sua vocazione sportiva, grazie anche alla collaborazione stessa del Coni». Allora, non resta che aspettare: di certo servirà molto tempo per vedere realizzato il disegno di Renzo Piano. Sperando che non si trasformi nell’ennesimo buco nero di Genova. «Non possiamo permettercelo – conclude Doria – proprio adesso che Genova sta diventando “famosa” all’estero come una città da visitare». Ed proprio dall’estero che, come una sorta di ideale restituzione, si attendono i potenziali investitori.
Michela Serra