L'iniziativa dei volontari di A.F.E.T. Aquilone Onlus per il sostegno a migranti e tossicodipendenti, rispettivamente in Vico della Croce Bianca, all'interno del ghetto, e in Via Cantore a Sampierdarena
È un progetto che parte da lontano quello che i volontari della Onlus A.F.E.T. Aquilone (Associazione Famiglie per la lotta contro l’Emarginazione giovanile e la solidarietà ai Tossicodipendenti) stanno portando avanti (non senza fatica) sul territorio genovese. Si tratta di un’iniziativa duplice, volta da un lato a fornire sostegno ai tossicodipendenti, ai giovani che vivono disagi legati all’emarginazione e alla loro famiglie; dall’altro, invece, l’attenzione è posta verso i migranti e le problematiche legate alla povertà, alla mancanza di lavoro, al disagio di trovarsi in un Paese straniero di cui non si conosce la lingua.
Il primo progetto è quello capofila: nato negli anni ’80, ha sede a Sampierdarena in Via Cantore, con propaggini in Via Balbi e in altri luoghi strategici della città; il secondo, invece, è attivo da una decina di anni ed è nato spontaneamente, visto il successo riscosso dal primo progetto di A.F.E.T. e in considerazione dell’alta affluenza di poveri e senzatetto nei locali dell’associazione. Da qui, l’idea di creare un presidio socio-sanitario nel cuore del ghetto ebraico, a due passi da Piazza dell’Annunziata e Via delle Fontane. Non senza incontrare problematiche. Tuttavia, dopo oltre 10 anni dalla fondazione di quest’ultima struttura, i volontari di A.F.E.T. sono ancora qui: pur senza grandi fondi e in mancanza di una strategia di promozione e di pubblicità a livello mediatico, le adesioni dei volontari e le richieste d’aiuto continuano ad aumentare. Siamo andati nel ghetto a visitare la struttura e parlare con gli operatori.
Tutto ebbe inizio nel 1981 nel quartiere di Sampierdarena, quando un gruppo di cittadini, genitori di tossicodipendenti e operatori territoriali costituiscono l’associazione di volontariato A.F.E.T. per trovare risposte al disagio giovanile, in particolare ai giovani emarginati e tossicodipendenti e alle loro famiglie. Sul modello di questa prima iniziativa, nel 1986 nasce L’Aquilone, sede operativa per il reinserimento sociale e lavorativo ed il trattamento terapeutico diurno dei soggetti affetti da dipendenza patologica, con servizi di orientamento al lavoro e formazione professionale per italiani e stranieri svantaggiati o esclusi dai processi produttivi. Da gennaio 2002, individuando un’unica sede legale ed operativa, si procede all’unione delle due realtà e viene costituita A.F.E.T. Aquilone Onlus.
Il vero momento di svolta si ebbe nel 2001, quando l’associazione dette vita a un nuovo presidio in Via Balbi con funzione di drop-in per tossicodipendenti con possibilità di sosta, ristoro, servizi per la cura dell’igiene personale, di orientamento al territorio e di tipo socio-sanitario. Anche questa struttura era originariamente rivolta a soggetti svantaggiati e/o affetti da dipendenze, ma presto l’affluenza fu così alta anche da parte degli stranieri che convinse i volontari della necessità di aprire un luogo adibito solo alla cura delle problematiche dei migranti, anche in virtù del fatto che esistevano già vari presidi per l’aiuto a tossicodipendenti o senza fissa dimora, mentre per gli stranieri c’erano più limitazioni. Da qui, l’idea di raddoppiare gli spazi.
Così ha preso vita dai primi anni del 2000 la struttura di Vico della Croce Bianca, nel cuore del Ghetto e a due passi da GhettUp, aperta sia a tossicodipendenti che immigrati.
L’iter è stato complicato, a cominciare dal reperimento di fondi per finanziare l’iniziativa: le prime sovvenzioni facevano parte dello stesso blocco di finanziamenti stanziati per la creazione del Museo del Mare, inaugurato nel 2004. Nel progetto complessivo di restyling del waterfront, era previsto anche l’ampliamento del collegamenti tra porto e centro storico, con particolare attenzione alle aree più problematiche a livello sociale e con la realizzazione di progetti culturali (oltre al Mu.Ma., anche la Casa della Musica, luoghi di aggregazione per artisti e per studenti, la Facoltà di Economia), sociali (come questo) e residenziali, con il restyling di appartamenti a fondo perduto (tra i quali anche quelli del ghetto bombardati durante la seconda guerra mondiale e ancora con i ponteggi). La creazione dei locali in Vico della Croce Bianca era una clausola imprescindibile e la mancata realizzazione avrebbe comportato la restituzione dei finanziamenti.
Scemata questa prima tranche, nel 2008-2009 c’è stata la partecipazione al bando della Regione Liguria e la conseguente vincita, con l’arrivo di fondi più ingenti che hanno permesso ai volontari di dare dimensione più vasta anche al progetto, con l’aumento dei servizi e dei giorni di apertura (da 2 pomeriggi, si è passati a 4 giornate intere).
Da ultimo, l’adesione al Progetto FEI – Fondo Europeo per l’Integrazione dei paesi terzi 2007-2013: si tratta di un’iniziativa lanciata dal Ministero dell’Interno (Direzione per le politiche dell’integrazione e asilo) nell’ambito del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori”, con cui sono stati stanziati 825 milioni euro da distribuire tra i Paesi membri dell’Eurozona.
L’afflusso di fondi ha permesso ai volontari di incrementare ulteriormente i servizi: oggi esiste un ambulatorio medico-sanitario in ATS con l’associazione Mater Domina con medici volontari infettivologi, psicologi, psichiatri, che partecipano grazie alla firma di un protocollo d’intesa con Asl 3; infermieri; una farmacia. Oltre all’ambulatorio, anche un drop-in che si affaccia su Vico San Filippo, con servizi a bassa soglia: docce, lavanderia, rasatura, servizio ristoro e area di raccolta e svago. Ogni martedì, inoltre, è presente nella struttura lo Sportello Multilingue di Asl 3 per i migranti (uno dei tre presenti in tutta Genova) che, oltre a fornire informazioni e orientamento ai servizi sanitari, eroga tessere ENI (per i comunitari non iscritti ad alcuna anagrafe comunale, non assistiti negli Stati di provenienza e in condizione di fragilità sociale) e STP (per l’assistenza sanitaria a stranieri irregolari). E ancora, come all’interno di GhettUp e della Moschea, anche qui un servizio di consulenza legale.
Oltre alle difficoltà economiche, anche i problemi con il vicinato. Raccontano i volontari: «I residenti delle abitazioni limitrofe al nostro presidio si sono dapprima opposti all’accoglienza dei tossicodipendenti perché non li volevano nel quartiere, poi hanno posto limitazioni anche alla presenza degli stranieri: per evitare che passassero vicino alle loro case, hanno voluto mettere un doppio cancello. Adesso non si può accedere direttamente al drop-in da Vico San Filippo, ma si può entrare solo attraverso l’ambulatorio di Vico della Croce Bianca».
Continuano: «A.F.E.T. L’Aquilone Onlus nasce come associazione culturale e sociale, che aiuta giovani e donne in difficoltà, ma abbiamo dovuto inventarci nel tempo una vocazione anche sanitaria. Abbiamo creato un’associazione di medici volontari per poter partecipare a un bando apposito e garantirci l’apertura dell’ambulatorio, in modo da permettere l’accesso anche al drop-in. Viceversa, si sarebbe creato un imbarazzante stallo con i residenti, che si sarebbe aggiunto alle altre difficoltà: siamo stati ostacolati e abbiamo aspettato circa 2 anni prima di poter entrare in questi locali (quando ci siamo insediati, le garanzie degli elettrodomestici che avevamo acquistato erano già scadute!)». Inoltre, non solo i problemi con i residenti: anche la Banca Carige di Piazza Santa Sabina, ci raccontano, non ha permesso l’ingresso alle strutture da Via delle Fontane.
Adesso, quale futuro si prospetta per i volontari? Dopo l’assegnazione l’anno scorso dei fondi FEI, quest’anno A.F.E.T. non si è riconfermata vincitrice e farà affidamento solo sui fondi stanziati da Tursi, riservati solo al drop-in di Vico San Filippo e per altro decurtati negli ultimi anni del 33%. Due al prezzo di uno, un affare per il Comune: «Costiamo poco, siamo volontari, offriamo un servizio alla comunità e non vediamo perché Tursi (o altri soggetti) non debbano premiarci e incentivare le nostre iniziative».
Elettra Antognetti