Era Superba in viaggio con il Capitano Alessandro Zeggio partito lo scorso 6 settembre da Genova in bicicletta destinazione Gerusalemme. Dopo la lunga intervista uscita sul numero 56 della rivista, qui raccontiamo le tappe in Albania, Macedonia e Grecia
Alessandro Zeggio, detto il Capitano, dal 6 settembre è in sella alla sua bicicletta pieghevole e sta pedalando per raggiungere Gerusalemme. Nella lunga intervista pubblicata sulle pagine di Era Superba 56 (dove trovare la rivista), Alessandro ci aveva raccontato i preparativi, la tanto attesa partenza e le prime tappe del viaggio. Lo avevamo lasciato a Benevento, ospite ancora una volta di un’accogliente sacrestia; il 20 settembre, un paio di giorni dopo, si è procurato il biglietto da Bari per Durazzo; appena sbarcato, si è immediatamente reso conto che il clima intorno a lui era cambiato.
«Sono stato messo in guardia decine di volte in questi quindici giorni, e decine di volte mi sono sentito dire che ero un pazzo a tentare questa cosa. Ho incontrato un signore che mi ha spiegato per filo e per segno tutti i pericoli verso cui sto andando incontro, aveva un tono grave, realmente preoccupato, e mi ha messo ansia, lo devo ammettere. Mi ha detto di stare attento a chi potrebbe fingere interesse alla mia iniziativa solo per rapinarmi, di non accettare mai sistemazioni di fortuna, come ho fatto finora, e mai e poi mai fidarmi delle persone che incontro ma di ragionare solo in base a quello che sembra conveniente e sicuro per me».
«Ecco – continua Alessandro – quella sensazione di sentirmi parte di un Noi che mi ha accompagnato fin qui, diciamo che è svanita. Comunque a Tirana mi fermerò un paio di giorni a fare il turista, e cercherò di ambientarmi nella nuova situazione».
Quindi, date le premesse, alla fine il Capitano ha cercato di attraversare piuttosto rapidamente l’Albania, dopo tre giorni di “testa bassa e pedalare”. Al confine, però, ancora una botta di adrenalina prima di lasciarsi alle spalle il paese: «mi hanno portato in caserma, un poliziotto ha iniziato a frugarmi nelle borse, tirava fuori tutto, ma proprio tutto quello che trovava fino in fondo, e quando ha visto i bengala ha fatto la faccia soddisfatta e stava per azionare il cordino e lanciarne uno, poi ha preso lo spray al peperoncino e se lo è puntato in faccia… continuava a frugare e a dire che il confine, con quelle cose addosso, non potevo passarlo. Alla fine gli ho passato qualche banconota per farlo smettere, e ci sono riuscito, dopo aver incassato si è rabbonito e mi ha lasciato andare, finalmente!»
Clima da vecchie frontiere, dunque, quelle che interessavano anche il territorio dell’attuale Unione Europea. Corruzione e terrorismo psicologico all’ordine del giorno. Ma il viaggio di Alessandro rappresenta un valore aggiunto anche per questo, ci restituisce le sfaccettature di un mondo che troppo spesso crediamo con presunzione di conoscere e poter giudicare, magari solo in base ad una breve vacanza.
Nella Repubblica Macedone, anche se il clima era piovoso e freddo, psicologicamente è andata molto meglio. Alessandro ha potuto gironzolare nei vicoli di Ocride /Ohrid, la “Gerusalemme slava” con la fotocamera in mano, una delle cose che in Albania gli avevano sconsigliato di fare. Oltre a questo, la bellezza dei monumenti (si dice che questa città avesse 365 chiese, una per ogni giorno dell’anno) la pulizia e cura sia della città, sia dei vari paesini attraversati lo hanno decisamente rinfrancato, e anche se ammalato ( ha sottovalutato l’escursione termica pedalando fino a 1200 metri di altezza, e si è ritrovato febbricitante) ha potuto sentirsi pienamente “on the road again” in quella che gli è sembrata una Svizzera dell’est.
Quindi è finalmente entrato in Grecia, si è fermato ad Edessa, una cittadina ricca di acque, fresca e verdissima, attraversata da mille rivoli e cascate che, ci racconta Alessandro, da queste parti è anche detta la piccola Amsterdam. Poi via, verso un nuovo mare, l’Egeo, attraverso Salonicco, città universitaria dove un’insospettabile movida, animata dagli studenti e dagli ultimi turisti, gli ha scrollato di dosso quel po’ di solitudine e di stanchezza che gli era rimasta appiccicata addosso. «Questa è una città con una storia di 3000 anni, impantanata in un traffico vischioso e paralizzante, con una cronica carenza di percheggi dovuta alla struttura della città, marittima e collinare. Vi ricorda per caso qualche altro posto?!… Però qui pedalare è facile e sicuro, perché la tradizione della bici è molto radicata e anche fuori dalle piste ciclabili, comunque numerose, il ciclista è rispettato. Le similitudini a questo punto sembrano svanire!»
Attraversando la Grecia e seguendo la Via Egnatia, Il Capitano è arrivato a Komotini, a circa 20 km dal mare: qui la vicinanza della Turchia ha iniziato a farsi vedere nell’architettura dei paesi, nell’abbigliamento ed anche nella fisionimia delle persone. Poi ha raggiunto Alessandropoli, la città dove, ha detto scherzando «per via del mio nome mi aspettavo l’accoglienza con la banda, le maestre con gli alunni che battevano le mani, ballerine e giocolieri… e banchetti in strada! A parte gli scherzi, con la connessione che andava a singhiozzi, mi sono trovato, prima di arrivare qui, a fronteggiare due fra le cose che temevo di più: il vento contrario, e i branchi di cani selvatici. Con il vento ho perso clamorosamente (e non poteva essere che così) visto che le mie borse sporgono e fanno vela, in più io mi sono incaponito a spingere sui pedali per andare comunque, così mi sono sfondato le gambe ed esaurito la volontà. Con i cani per ora non ho né vinto né perso, diciamo che grazie all’aiuto dei passanti o alla fortuna sono sempre riuscito a disperderli. Però sono aggressivi, molto: quando uno, per fortuna solitario, non mi mollava più e io non riuscivo a seminarlo, l’ho affrontato rischiando grosso, ma mi è andata bene. Spaventato dal mio vocione, forse dalla mia rabbia che è uscita tutta insieme, si è dato alla fuga senza più voltarsi indietro».
E non si volta indietro neanche Alessandro, che intanto è entrato in Turchia, un confine “pesante”, sicuramente simbolico: attraverso una linea immaginaria si esce in qualche modo dall’Europa, almeno quell’Europa che conosciamo o che crediamo di conoscere. Per lui ora si apre un nuovo mondo, una nuova incognita.
A questo punto, con Istanbul quasi a vista, un piccolo bilancio si impone, e gli abbiamo chiesto se abbia mai pensato, almeno una volta… “ma chi me l’ha fatto fare, che cosa ci faccio io qui da solo”.
«Pentito no! Mai!», ci risponde senza esitazioni. Riguardo alla solitudine, invece, ammette che a volte essere in due non sarebbe così male, ma si riferisce al lato pratico della faccenda; sentirsi solo per lui è, come dire, un effetto collaterale messo in conto fin dall’inizio. Intanto, il primo impatto con i turchi, con i giovani turchi, è stato veramente positivo: «Ho incontrato questi due ragazzi, Suleyman e Mehmet Ali, due fratelli: io avevo una gran voglia di mangiare l’anguria che vendevano al bordo della strada, e anche se nella mia testa avevo un piano di viaggio, alla fine mi sono fermato a chiacchierare. Loro continuavano a ripetermi “you’re a little crazy” e mi presentavano con orgoglio a tutti quelli che si fermavano a comprare; poi è arrivata una ragazza che aveva studiato in Italia, abbiamo ancora chiacchierato e riso, e alla fine abbiamo mangiato le polpette sul prato tutti insieme. Quando sono ripartito mi sentivo davvero meglio, più grintoso ed energico, e mi sono ancora preso il tempo per un bicchiere di “chay” il thé turco, che mi hanno offerto direttamente sul cofano di una macchina, accompagnato dai biscotti e da un’incomprensibile chiacchierata in italo-turco, che ci ha fatto ridere da matti… Solitudine? Noooooo!!»
Bruna Taravello