Il professore fa il punto sull'attuale situazione del nord Africa e sul movimento degli "indignados"
Sommersi dalle notizie mai troppo chiare circa quel che sta accadendo o è già accaduto aldilà del Mediterraneo, abbiamo discusso di questo tumultuoso periodo storico con Antonio Gibelli, professore di Storia Contemporanea dell’Università di Genova.
Le primavere arabe sono state assai brevi… a distanza di pochi mesi qual è il bilancio di queste esperienze dal punto di vista storico e quale lezione consegnano a noi occidentali?
C’è stato un momento iniziale di grande speranza mentre oggi il panorama è decisamente più cupo: nei paesi che sono riusciti a liberarsi dagli autocrati, come Egitto e Tunisia, in Siria dove il regime continua la sua opera di repressione del dissenso, per non parlare della Libia che attende ancora un’evoluzione positiva. Comprensibilmente si sono nutrite troppe speranze nei movimenti che si sono intravisti. Il motivo risiede nella loro novità: per la prima volta abbiamo visto le masse arabe muoversi con forza guidate da un’idea laica di libertà. Non c’è dubbio che vi sia stata distrazione e pigrizia nelle analisi delle società arabe del nuovo millennio.
Gli anni 2000 sono stati dominati dall’appiattimento totale sotto lo spettro confuso del terrorismo integralista di matrice islamica. Colpevolmente non si è capita la complessità di questi popoli, in particolare delle nuove generazioni cresciute con un estremo bisogno di libertà alimentato dal cortocircuito col mondo occidentale e grazie al fondamentale apporto dei nuovi mezzi di comunicazione. A distanza di alcuni mesi però queste forze non sembrano sufficienti a spazzare via il vecchio sistema e incontrano numerose difficoltà nella costruzione di un nuovo modello di coesione sociale.
Dopo molto tempo è stata rispolverata la parola rivoluzione… è un termine appropriato per descrivere i sommovimenti che stanno attraversando la sponda a sud del Mediterraneo e il vicino oriente?
Parlerei più correttamente di un germe rivoluzionario, di un’avvisaglia di rivoluzione che ha portato comunque alla rottura traumatica con i vecchi schemi. Sono eventi che hanno lasciato una traccia significativa e di cui in futuro si parlerà nei libri di storia.
Gli Usa stanno portando avanti una politica di disimpegno dal Nord africa e dal Mediterraneo… le potenze europee saranno in grado di sostenere la responsabilità lasciata dagli Usa?
Un certo pessimismo è ragionevole perché l’Europa in diverse circostanze, vedi il recente caso Libia, ha mancato di presentarsi come una forza omogenea e coerente. Gli stati che compongono la U.E. sono ancora mossi primariamente da logiche di tipo nazionale. Sembra difficile che l’Europa e l’Italia riescano o comunque siano intenzionati a giocare un ruolo decisivo sullo scenario mediterraneo.
Il fenomeno degli “Indignati” manifestatosi dapprima in Spagna, poi in Grecia, oggi sembra affiorare anche in Italia… ma se le rivolte a sud del Mediterraneo hanno ben chiaro il nemico da abbattere, in Europa quali sono i nemici e gli obiettivi da raggiungere?
L’Europa e tutto il mondo occidentale stanno vivendo una fortissima crisi economico/sociale. Ad essa si contrappone l’intenso sviluppo che interessa aree come la Cina e l’India. Questa situazione si riflette sullo stato d’animo dei giovani: oggi un giovane cinese o indiano ha un carico incredibile di energia e di speranza perché intravede un futuro straordinario per il suo paese e si sente protagonista in prima persona. In Italia invece il massimo che può fare un trentenne culturalmente preparato è pensare di fuggire all’estero. Quindi il nemico che abbiamo di fronte non è attivo, bensì si tratta dell’assenza di futuro, di una visione positiva del futuro.
Molte sono le cose che accomunano il popolo italiano e quello greco.. il forte malumore per una politica al più basso valore assoluto, per la corruzione dilagante… la bassa fiducia nella politica e nei suoi esponenti è quello che accomuna gli “Indignati” europei?
In Italia si è creato un gap tremendo fra l’esistenza quotidiana dei cittadini e la rappresentazione della politica. Da oltre dieci anni siamo governati da una classe dirigente che si è mossa intorno al nostro autocrate con l’unico scopo di salvaguardarlo dai processi. Una fase che possiamo definire di dispotismo dolce moderno. Gli indignati sono il sintomo evidente di una malattia acuta che affligge il nostro paese.
Con gli “Indignati” nasce anche un nuovo modo di manifestare il dissenso… è evidente la volontà dei cittadini di riprendersi lo spazio pubblico e una dimensione collettiva.. quali scenari si aprono per la democrazia? Si va verso la direzione di una democrazia partecipata? O si tratta di fenomeni temporanei che svaniranno col passare di questo momento storico?
Indubbiamente assistiamo a fermenti che mirano alla riappropriazione dello spazio collettivo. La società civile manifesta sintomi di vitalità che potrebbero divenire la struttura portante di una democrazia partecipata e più ricca. Ma bisogna fare attenzione: se non si riesce a sbloccare la situazione politica odierna, se non si attua un profondo cambiamento della classe dirigente, non esiste la garanzia che questi movimenti possano durare nel tempo. In tutte le esperienze sociali che generano tensioni o queste si spengono oppure producono cambiamenti. Se perdurano e non si registra un’evoluzione non si può escludere che le tensioni prendano una piega violenta. Ma i nuovi mezzi di comunicazione e la potenza della rete rappresentano dei formidabili ammortizzatori della violenza.
In italia per ultimo c’è il caso Parma. Il Comune ha un debito creato nel corso degli anni di 630 milioni di euro.. gli “Indignati” emiliani chiedono le dimissioni della giunta e si radunano da settimane sotto il municipio… quanto è importante il controllo dal basso dei cittadini? Quanto è importante la partecipazione per sconfiggere il malgoverno? Quali scenari si aprono in Italia per questi movimenti apartitici e apolitici?
Se si procede nella direzione del controllo dal basso è possibile che in futuro si realizzi una vera democrazia partecipata. Oggi si pensa che il potere decisionale proveniente dall’alto non debba essere ostacolato dalle richieste particolari dei cittadini. Come nel caso della protesta anti Tav. Ma spesso e fortunatamente l’opposizione delle comunità locali è stata fondamentale per impedire la realizzazione di opere inutili come ad esempio il famigerato ponte di Messina.
Matteo Quadrone