Il problema è la mancanza di singole leggi regionali in grado di regolamentare l'accesso ai farmaci cannabinoidi
Migliaia di persone sofferenti non godono di un libero accesso ai farmaci. Oppure sono costrette a lunghe trafile tra mille ostacoli burocratici per esercitare un loro diritto fondamentale: quello alla cura. Accade in Italia nell’anno 2012.
Stiamo parlando di uomini e donne, giovani e meno giovani, affetti da patologie quali il glaucoma, epilessia, sclerosi multipla, sindrome di Tourette, spasticità nelle lesioni midollari (tetraplegia, paraplegia), patologie tumorali, malattie psichiatriche e molte patologie neurologiche, malattie autoimmuni (lupus eritematoso) e malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer, corea di Huntington, morbo di Parkinson), patologie cardiovascolari (arteriosclerosi, ipertensione arteriosa), artrite reumatoide, traumi celebrali/ictus, malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn, colite ulcerosa), asma, anoressia, Aids, sindromi da astinenza nelle dipendenze da sostanze, insonnia, incontinenza, allergie, sindromi ansioso-depressive ed altre ancora.
Tutti – nessuno escluso – potrebbero ricavare notevoli benefici ed alleviare le proprie sofferenze grazie all’uso medico della cannabis. La canapa infatti contiene numerosi principi attivi, alcuni dei quali dotati di un riconosciuto valore terapeutico. È dalla notte dei tempi che la canapa viene considerata un valido medicinale e nel corso del XIX preparati a base di canapa si trovavano normalmente sugli scaffali di gran parte delle farmacie in Europa come in America. Nel XX secolo si generò un generale mutamento di clima –partito dagli Stati Uniti ed approdato nel Vecchio Continente – che condusse prima ad una campagna mediatica contro la cannabis e poi alla sua messa al bando. Nel frattempo le industrie farmaceutiche decisero di investire sui derivati dell’oppio come anticonvulsivi ed antidolorifici e sulle sostanze sintetiche quali aspirina e barbiturici. Per fortuna negli ultimi decenni si è registrato un rinnovato interesse del mondo scientifico nei confronti della cannabis e sono fioriti numerosi studi.
Attualmente in letteratura medica si trova una vasta documentazione sull’uso terapeutico della cannabis a cui rimando per approfondimenti (in particolare i link accessibili dal sito di “Pazienti Impazienti Cannabis” http://wwwpazienticannabis.org; http://www.cannabis-med.org/italian/patients-use.htm).
“Pazienti Impazienti” è un’associazione formata nel 2006, nata già nel 2001 come gruppo di auto-mutuo-aiuto, lotta da anni per affermare il diritto a curarsi con la cannabis. Capace di stabilire una forma di dialogo costruttivo con le Istituzioni (in particolare con il Ministero della Salute), “Pazienti Impazienti” ha ottenuto un importante successo – a cui purtroppo non sono seguiti i fatti – ormai ben 5 anni fa.
<<Nel 2007 abbiamo compiuto un passo avanti importantissimo – racconta Alessandra Viazzi, genovese, Presidente nazionale dell’associazione – siamo riusciti a far inserire il principio attivo (THC) della cannabis nella tabella II B, l’elenco delle sostanze stupefacenti e psicotrope di riconosciuto valore terapeutico, ovvero farmaci prescrivibili con semplice ricetta bianca non ripetibile>>.
Con il decreto ministeriale del 18 aprile 2007 i cannabinoidi delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) e trans-delta-9-tetraidrocannabinolo (Dronabinol) entrano nella tabella II B <<Considerato che costituiscono principi attivi di medicinali utilizzati come adiuvanti nella terapia del dolore anche al fine di contenere i dosaggi dei farmaci oppiacei ed inoltre si sono rivelati efficaci nel trattamento di patologie neurodegenerative quali la sclerosi multipla>>. Il Ministero della salute, a partire da quella data, rende possibile utilizzarli nella terapia farmacologica.
Vengono così create le basi normative per immettere in commercio nel mercato italiano farmaci a base di cannabinoidi, visto che allo stato attuale simili prodotti non sono disponibili nelle farmacie del nostro Paese. <<I medici che ritengono di dover sottoporre propri pazienti a terapia farmacologica con derivati della cannabis devono richiederne l’importazione dall’estero all’Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero della salute>>, si legge nella pagina online del Ministero della salute dedicata ai medicinali cannabinoidi.
La normativa nazionale di riferimento per tali farmaci è il Decreto Ministeriale dell’11 febbraio 1997, relativo all’importazione di farmaci esteri direttamente dal produttore da parte delle Farmacie del servizio sanitario pubblico, per utilizzo in ambito ospedaliero ed extra-ospedaliero. <<l’Ufficio centrale stupefacenti rilascia, su richiesta del medico curante (medico di medicina generale o specialista) o del medico ospedaliero, effettuata per il tramite delle aziende sanitarie locali o delle farmacie ospedaliere, autorizzazioni per l’importazione di medicinali stupefacenti registrati nel paese di provenienza e privi di AIC nazionale (Autorizzazione all’Immissione in Commercio) – si legge sempre sul sito del Ministero della salute – La richiesta di autorizzazione all’importazione del medicinale deve comunque essere motivata, da parte del medico richiedente, da mancanza di alternative terapeutiche disponibili in Italia>>.
E qui iniziano i problemi per i pazienti, come racconta Alessandra <<Esistono due modi per accedere ai farmaci: a carico del paziente se prescritti dal medico di base; a carico del servizio sanitario se prescritti in ambito ospedaliero, non solo ospedalizzati ma anche pazienti soggetti a day-hospital, ad un percorso ambulatoriale o in regime di assistenza domiciliare integrata>>.
Innanzitutto risulta assai difficile trovare medici disponibili a prescrivere medicinali derivati dalla cannabis. Tutto dipende dall’esclusiva valutazione discrezionale del professionista in questione ed inoltre lo stesso Ordine dei medici pare non incentivare questa pratica.
Una volta che il medico curante disponibile ha firmato l’apposito modulo, quest’ultimo va consegnato alla Farmacia Territoriale della Asl di riferimento che richiederà l’autorizzazione all’importazione del medicinale al Ministero della salute. Ottenuta l’autorizzazione del Ministero – dopo più o meno una settimana – la Asl stessa importerà il medicinale e, quando il farmaco arriverà a destinazione, avviserà il medico o il paziente. <<Complessivamente occorre attendere dai 20 giorni ai 2 mesi circa ed anche più se per quella Farmacia è la prima volta e non sono pratici – spiega Alessandra – La maggior parte delle Farmacie Territoriali delle Asl, è il caso di quelle liguri, chiedono al paziente di pagare il costo di farmaco e procedure di importazione. Dai 600 ai 2000 euro anticipati per tre mesi di terapia>>.
<<La prescrizione infatti vale solo per tre mesi ed ogni tre mesi deve essere rinnovata – continua Alessandra – Quindi il paziente deve ripetere l’intera snervante trafila: medico di base, farmacia territoriale Asl, richiesta al Ministero, attesa dei farmaci. Molti malati hanno problemi di deambulazione, alcuni si trovano in sedia a rotelle e se non possono contar su parenti ed amici come fanno ogni qual volta a rifare tutto il percorso burocratico? Senza considerare la beffa del pagamento anticipato. Il problema è che ogni Asl in Italia ha potere decisionale e non esistono regole che valgono per tutti>>.
Se invece è il medico specialista ospedaliero a compilare la richiesta in teoria basterebbe che lo stesso la consegni alla Farmacia dell’ Ospedale e si dovrebbe ottenere il farmaco gratis tramite il day-hospital, come prevede la legge. Ma tant’è sono pochissimi i casi in cui i malati hanno accesso gratuitamente ai farmaci.
<<In pratica molti dei “manager” che dirigono gli Ospedali boicottano illegittimamente l’applicazione della legge per motivi ideologici – spiega Alessandra – e le stesse farmacie ospedaliere spesso non accettano le pratiche complicando la situazione>>.
Ma quali sono i farmaci cannabinoidi che siamo costretti ad importare dall’estero?
L’industria farmaceutica ha prodotto diversi farmaci derivanti da cannabinoidi sintetici (in particolare dronabinol e nabilone) registrati per uso terapeutico e commercializzati in diversi paesi. I più importanti sono il Marinol ed il Cesamet, in pratica THC puro sintetico di solito in pastiglie, importati da Usa e Germania. Esiste poi un estratto, il sativex, sotto forma di spray, importato dal Canada.
I derivati sintetici però sembrano mostrare minore efficacia e maggiore incidenza di effetti collaterali rispetto ai derivati naturali, oggi preferiti da molti pazienti. Come conferma Alessandra <<Per noi i farmaci sintetici non vanno bene. E neppure gli estratti. Entrambi sono prodotti da multinazionali farmaceutiche ed hanno costi decisamente alti. I migliori sono i farmaci che arrivano dall’Olanda, realizzati appositamente per il Ministero della salute olandese. Sono le cosiddette infiorescenze femminili di cannabis, ovvero fiori coltivati in laboratorio, sterilizzati e sottoposti ad un minuzioso controllo per quanto riguarda qualità e sicurezza>>.
La migliore modalità di assunzione delle infiorescenze rimane quella tramite vaporizzazione (grazie ad uno specifico vaporizzatore). La seconda modalità riconosciuta è attraverso l’assunzione di tisane (ma in questo caso non si sfrutta appieno l’apporto del THC che, essendo liposolubile, risulta difficile da sciogliere). <<Ma sono praticabili anche altre soluzioni – spiega Alessandra – c’è chi confeziona preparati alimentari e chi fuma le infiorescenze con o senza tabacco. Questa è la pratica più veloce, particolarmente consueta nei casi di asma ed epilessia>>.
La pianta di cannabis contiene al suo interno una settantina di principi attivi, l’unico stupefacente è il THC.
Il secondo principio attivo principale, con interessanti proprietà terapeutiche è il cannabidiolo (CBD), un cannabinoide non psicoattivo, cioè privo di effetti sul cervello. <<Il CDB è utilissimo per alleviare spasmi e dolori muscolari>>, spiega Alessandra.
Inoltre il CDB è in grado di modulare l’azione del THC a livello celebrale prolungandone la durata d’azione e limitandone gli effetti collaterali. L’effetto di modulazione del CDB e di altri cannabinoidi – assenti nelle preparazioni sintetiche – potrebbe spiegare la minore efficacia dei farmaci di sintesi.
Il Ministero della salute olandese già dal 2004 produce il Bedrocan, infiorescenze femminili contenenti il 19% di THC e meno dell’1% di CDB.
<<Inizialmente questo prodotto era parecchio sbilanciato – spiega Alessandra – e così la ditta olandese “Bedrocan” ha iniziato a realizzarne altre versioni, studiate per venire incontro alle differenti esigenze dei pazienti>>. Nasce così il il Bedrobinol con il 12% di THC e sempre meno dell’1% di CBD. Ed ancora un terzo, il Bediol, in forma granulare, con percentuali variabili tra il 6 – 8% di entrambi i principi, THC e CDB. Parliamo di prodotti che, in alcuni casi, consentono ai malati di ridurre, se non addirittura eliminare completamente, il ricorso a farmaci terribili come i barbiturici.
A partire dal 2007 esiste anche una seconda opportunità per i pazienti. I medicinali a base di cannabinoidi possono infatti essere commercializzati come preparazioni galeniche magistrali.
Qualunque medico può prescrivere su semplice ricetta bianca non ripetibile tali preparazioni e qualsiasi farmacia – dotata di un laboratorio galenico – può richiederli ad una ditta di Milano, la Solmag-Artha, che nel 2009 ha chiesto ed ottenuto l’autorizzazione per importare le stesse infiorescenze femminili dall’Olanda (sfuse invece che in barattoli da 5 grammi). La ditta di Milano a sua volta le rivende alle farmacie italiane che nei loro laboratori preparano le singole dosi. <<Il problema è che questi passaggi fanno salire in maniera vertiginosa i costi>>, sottolinea Alessandra. La ditta di Milano acquista le infiorescenze a prezzo di costo, il medesimo pagato dalle Asl, ma poi ricarica i prezzi del 100%. <<Si passa così da circa 8 euro al grammo se il prodotto è importato tramite Asl, a cifre che si avvicinano ai 30-40 euro al grammo – continua Alessandra – Considerando che mediamente ogni paziente ha bisogno di almeno 1 grammo al giorno, si comprende alla perfezione come una spesa simile sia insostenibile per la maggioranza dei malati>>. In sostanza anche questa opportunità non può diventare una pratica consueta e per i malati curarsi rimane sempre un percorso ad ostacoli.
<<Il problema è la mancanza di regole comuni in tutto il territorio italiano>>, precisa Alessandra.
Con il riconoscimento e la regolamentazione dell’accesso ai derivati medicinali della pianta di cannabis e degli analoghi sintetici – sanciti dal DM dell’aprile 2007 – la fruizione della terapia è ormai formalmente un dato acquisito, ma occorrono delle singole leggi regionali in grado di applicare le norme quadro nazionali.
<<Ogni regione deve mettere nero su bianco delle regole chiare – spiega Alessandra – Noi come associazione di pazienti con l’appoggio trasversale di diverse forze politiche siamo riusciti a far presentare delle proposte di legge in 9 regioni italiane, tra cui la Liguria. Purtroppo attualmente sono tutte in una fase di stallo. Inoltre presentano dei pesanti limiti che occorre eliminare. Il problema principale è che per un evidente volere politico e mediatico si sta trasmettendo all’opinione pubblica un messaggio errato. In pratica viene messa in evidenza l’utilità di questi farmaci esclusivamente per quanto concerne le cure palliative del dolore, ad esempio nei casi di malati terminali o persone sottoposte a cicli di chemioterapia. Ma questa è solo una delle indicazioni e non certamente la principale. In questa maniera vengono esclusi numerosi pazienti affetti da patologie che nulla hanno a che vedere con le cure palliative>>.
Per quanto riguarda la Liguria la proposta di legge intitolata “Modalità di erogazione dei farmaci e delle preparazioni galeniche a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche”, presentata il 7 marzo 2011 da Federazione della sinistra e Sinistra ecologia e libertà (primi firmatari i consiglieri Alessandro Benzi, Giacomo Conti Matteo Rossi), giace in un cassetto di qualche ufficio regionale. Dimenticata ormai da quasi un anno.
“Pazienti Impazienti” si è riunita con i capigruppo del consiglio regionale nell’aprile 2011. Da allora l’associazione non ha più avuto notizie. Neppure dal Presidente della Commissione Sanità, il consigliere Stefano Quaini, il quale aveva promesso di interessarsi alla questione.
<<Bisogna assumere il punto di vista dei malati per comprendere la situazione – dice Alessandra – l’associazione si chiama “Pazienti Impazienti” perché non abbiamo più la pazienza di aspettare. Non c’è più tempo da perdere. Anzi non c’è MAI stato tempo da perdere. Purtroppo alcuni di noi in questi anni ci hanno lasciato nella vana attesa di un cambiamento delle stato delle cose. Noi la “nostra” medicina la vogliamo utilizzare e lo stiamo facendo comunque nonostante l’assurdità della legge. Non è giusto che in una società civile un malato possa curarsi gratis, un altro solo se ha un reddito sufficiente ed altri ancora rischino la galera>>.
<<Io ho iniziato nel 1992 quando ancora, anche in ambito medico, ti guardavano come un “alieno” – racconta Alessandra – Poi per fortuna, intorno al 2000, ho iniziato a trovare qualcuno con cui condividere la mia esperienza. A Genova ad aver trovato medici che prescrivono questi farmaci siamo in 7-8 persone. In tutta Italia il bacino di utenza potenziale è di migliaia di persone. Purtroppo non si hanno informazioni certe e verificabili perché nessuno, neppure il Ministero della salute, si preoccupa di tenere aggiornati i dati. La nostra pratica ERA illegale e per la maggioranza dei pazienti CONTINUA ad essere illegale ancora oggi. Parliamo di malati che non trovano disponibilità nei medici, nelle farmacie territoriali delle Asl, pazienti che non possono sostenere costi elevatissimi e devono necessariamente trovare altre soluzioni. E così un numero elevato di pazienti ha due possibilità: o si rivolge al mercato nero della cannabis, con prezzi alti e soprattutto con un basso livello di qualità; oppure si auto produce la sua medicina. Diventa un coltivatore di cannabis con rischi ancor più alti perché da “consumatore di stupefacenti” si trasforma in “produttore di stupefacenti”, perseguibile dalla legge italiana. Anche le forze dell’ordine ritengono tutto ciò un’assurdità. Ma sono obbligati ad intervenire. È veramente paradossale perché siamo riusciti ad inserire un principio attivo stupefacente all’interno della lista dei medicinali, eppure nonostante ciò molti malati rischiano il carcere perché i medici non prescrivono questi prodotti>>.
<<Se tutto fosse fatto a regola d’arte si potrebbero sfruttare le competenze sviluppate, soprattutto in altri Paesi, per metterle a disposizione dei malati – conclude Alessandra – già oggi esistono semi di canapa che garantiscono determinate percentuali di alcuni principi attivi che, come detto in precedenza, possono risultare utili per differenti patologie. Senza contare che la qualità e la sicurezza del prodotto finale risulterebbero totalmente accertate. Per quanto riguarda le preparazioni galeniche, anche questa potrebbe rappresentare una soluzione valida. Peccato però che senza un controllo accurato di costi e qualità sia un’opportunità impraticabile. Noi abbiamo proposto e siamo riusciti a farlo inserire in alcune proposte di legge regionali, di realizzare una produzione nazionale di canapa a fini terapeutici sul modello portato avanti dal Ministero della salute olandese. Sarebbe sufficiente individuare un laboratorio farmaceutico centrale, ad esempio abbiamo indicato lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, per la produzione e lavorazione di cannabis medicinale coltivata in Italia destinata alla fornitura per il Servizio Sanitario pubblico. Oggi si tratta di una possibilità completamente inesplorata che invece potrebbe risolvere parecchi problemi ed alleviare le sofferenze di migliaia di malati>>.
Matteo Quadrone
Secondo una recente ricerca la parte di questi coltivatori
possiede di piante e realizzano un moderato dalla produzione.
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