Secondo le ultime stime i lavori di bonifica potrebbero impiegare almeno altri 50 anni. Un fardello che rimarrà per sempre sulle spalle dei futuri genovesi
Nell’elenco dei più di 12 mila siti inquinati sparsi in tutta Italia realizzato a inizio maggio di quest’anno dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), 41 tra quelli considerati a elevato rischio sanitario sono classificati come “Siti di interesse nazionale” (Sin) per la particolare gravità della loro situazione e sono sotto la diretta responsabilità del Ministero dell’Ambiente. Di questi, due si trovano in Liguria. Il più esteso è il sito di Cengio e Saliceto, in provincia di Savona, che per più di un secolo ha ospitato uno spazio industriale divenuto col tempo il più grosso polo della chimica italiana (l’Acna) ed è ancora alle prese con un lungo processo di bonifica che, se tutti i tempi saranno rispettati, si concluderà nel 2020. Al sito di Cengio e Saliceto Era Superba ha recentemente dedicato un lungo approfondimento, che potete leggere cliccando qui.
L’altro sito ligure nell’elenco è invece l’area intorno alla ex Stoppani tra i Comuni di Arenzano e Cogoleto, nell’estremo ovest della Provincia di Genova. La storia della Stoppani è simile a quella dell’ex Acna, nei suoi tratti fondamentali. È quella di una grossa realtà industriale che per decenni ha portato posti di lavoro che hanno arricchito la comunità locale, lasciando però in eredità gravi problemi ambientali che forse non verranno mai del tutto risolti. Negli anni 70 e 80 del secolo scorso, tra dipendenti diretti e di ditte esterne la Stoppani dava lavoro a più di 400 persone. Al momento della chiusura, nel 2003, i lavoratori dell’azienda erano ancora 140. Alla Stoppani si producevano composti di cromo esavalente, una sostanza dalle molte applicazioni, dalla metallurgia alla produzione di nastri magnetici. Una sostanza che, però, è anche molto tossica e cancerogena. La legge italiana consente una concentrazione massima di 5 microgrammi di cromo in ogni litro d’acqua, nella falda acquifera nel sottosuolo dell’area Stoppani, prima dell’inizio dei lavori di bonifica, per ogni litro d’acqua ce n’erano in media 250mila, poi scesi a 15mila. Nel 2010, l’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, in visita allo stabilimento, parlò di “scenario post Chernobyl”.
Quel giorno Bertolaso si trovava a Cogoleto, insieme al presidente della Regione Liguria Claudio Burlando e il vicecommissario alla bonifica Cecilia Bressanini, per sostenere la necessità di andare avanti con le operazioni di messa in sicurezza del sito. L’area della ex Stoppani è in stato d’emergenza dal 2006, quando la Regione Liguria chiese e ottenne dal Governo la gestione emergenziale del sito. Poche settimane dopo, il Governo nominò un commissario per il superamento della situazione d’emergenza. Da allora, la gestione emergenziale è stata rinnovata con cadenza annuale e diversi commissari si sono alternati senza soluzione di continuità.
Negli scorsi mesi, il mancato rinnovo del commissariamento dell’area entro il 14 febbraio (giorno in cui scadeva la gestione precedente) ha causato uno scontro tra Regione e Governo, con il presidente Giovanni Toti che ha mandato una lettera di diffida al Ministero dell’Ambiente. Scaduto il termine, è stato il Prefetto di Genova Fiamma Spena a intervenire con un’ordinanza tampone per non fermare i lavori di messa in sicurezza e garantire che non venissero interrotte le attività fondamentali per la salute pubblica come il trattamento delle acque di falda. L’ordinanza del Prefetto è rimasta in vigore fino al 6 marzo e il 7 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto per il rinnovo del Commissariamento. Esprimendo la soddisfazione sua e dell’amministrazione regionale per il decreto, quel giorno l’assessore alla Protezione Civile della Regione Liguria Giacomo Giampedrone sottolineò l’urgenza di concludere i lavori di un sito che ha raggiunto il 90% della messa in sicurezza, ma per cui mancano ancora passi importanti per la bonifica completa.
L’area inquinata dalla ex Stoppani occupa circa 2 chilometri quadrati, di cui circa 1,6 a mare e 0,4 a terra (dati Ispra). Passando con la macchina dalla tangenziale, fino a qualche anno fa si scorgevano le carcasse dei vecchi forni che incombevano sulle rive del torrente Lerone, che nasce a un’altitudine di circa 1000 metri sul Passo della Gava e arriva fino al mare. Oggi, di quei monumenti di archeologia industriale non è rimasto quasi più nulla, se non le poche strutture ancora presenti nell’area nord. Tutte le altre sono state abbattute tra il 2008 e il 2016. L’ultima è stata la vecchia portineria, detta “il fungo”, per la sua forma particolare, abbattuta a gennaio del 2016. Pochi mesi prima era stato il turno del forno 70 (il numero indica l’anno di costruzione), rimasto in funzione fino al 2003. Il forno 70 era tra i più grandi di tutta l’azienda, insieme al forno 58, ed è rimasto in funzione fino alla chiusura nel 2003. La sua figura imponente svettava proprio a fianco alla strada provinciale di Lerca.
Negli anni precedenti erano stati demoliti il magazzino scorte, la palazzina uffici e tutti gli altri forni, ed erano stati trasferiti e smaltiti i rifiuti di solfato di sodio anidro (più comunemente detto solfato giallo) impacchettati nel magazzino V che, per le loro caratteristiche, non potevano essere smaltiti in discarica.
Tra il 2010 e il 2012, inoltre, sono state bonificate le spiagge di Cogoleto e Arenzano, con la rimozione dei cosiddetti crostoni di cromo presenti sottoterra e il ripascimento della battigia con materiali puliti. L’unico tratto di spiaggia ancora da bonificare è la cosiddetta area Envireg, dove i crostoni raggiungevano una profondità di 9 metri sottoterra. I crostoni presenti nei fondali marini, invece, potrebbero rimanere lì per sempre. Quando una violenta mareggiata, a febbraio del 2014, ne fece emergere alcuni l’Associazione Amici di Arenzano lo fece notare al Ministero dell’Ambiente, ma la conferenza dei servizi convocata per l’occasione dal Commissario delegato arrivò alla conclusione che la rimozione dei crostoni sommersi avrebbe liberato quantità eccessive di cromo in mare e, in definitiva, peggiorato la situazione. I monitoraggi annuali che Arpal, insieme ad altri soggetti, conduce sulle acque marine della zona, d’altronde, evidenziano livelli di inquinamento accettabili, sicuramente inferiori rispetto a quando quelle acque accoglievano direttamente le scorie della Stoppani trasportate a mare dal Lerone.
Gli interventi ancora da realizzare, secondo quanto si legge in un documento del Parlamento del marzo 2018 dovrebbero costare allo Stato italiano ancora 20 milioni di euro, da aggiungere ai 40 milioni stanziati nel 2006 e alle varie aggiunte che si sono alternate negli anni. Una spesa ricaduta interamente sulle spalle dello Stato italiano, dal momento che l’Immobiliare Val Lerone, l’azienda erede della Stoppani, dichiarò fallimento ad aprile del 2007, non potendo così ripagare gli obblighi che pochi mesi prima le aveva imposto il Consiglio dei Ministri, ma continuando la produzione all’estero.
Tra i vari interventi condotti negli anni della bonifica, c’è anche una barriera fisica, costruita sottoterra, per separare l’area di Pian Masino da quella del torrente Lerone. Sulla parete esterna di quella muraglia, però, negli anni scorsi sono state trovate macchie giallastre visibili a occhio nudo, segno inequivocabile che nella parte interna erano ancora ammassate grandi quantità di cromo esavalente e che quei rifiuti, frutto di più di un secolo di sversamento di materiali nocivi nel sottosuolo, erano ancora potenzialmente in grado di strabordare fuori dai confini delimitati. La scoperta divenne di dominio pubblico a seguito dell’ispezione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti, promossa dal parlamentare del Pd Alessandro Bratti. Il deputato del Movimento Cinque Stelle Alberto Zolezzi, anche lui membro della Commissione, commentò che quella scoperta rendeva necessaria una nuova bonifica, e che i lavori avrebbero potuto prolungarsi per altri quattro o cinque decenni.
Non era bastato, evidentemente, oltre ai tanti soldi spesi fino a quel momento, il trasferimento di 500mila metri cubi di rifiuti tossici nella discarica di Molinetto, al confine tra Cogoleto e Varazze. La gestione della discarica, adibita al trattamento di rifiuti pericolosi, era stata attribuita dalla Provincia di Genova alla Immobiliare Val Lerone. Dopo il fallimento dell’azienda, la discarica è stata sostanzialmente abbandonata al suo destino, con sversamenti illegali di rifiuti (anche contenenti amianto) che hanno generato un’ulteriore emergenza ambientale. Le istituzioni hanno messo una pezza sulla situazione con un protocollo d’intesa per la gestione della discarica, firmato a novembre del 2007 dalla Regione Liguria, la Provincia di Genova, i Comuni di Cogoleto e Arenzano e il Commissario delegato. La discarica è comunque rimasta oggetto di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea per il mancato rispetto delle direttive sulle discariche. La procedura è stata annullata nel 2014, quando con una gara si è affidata la gestione e la messa in sicurezza di Molinetto alla Riccoboni Spa. Anche quel passaggio, però, non fu indolore. La Riccoboni fu l’unico partecipante alla gara, e questo fattore attirò l’attenzione della Guardia di Finanza, che sospettava la gara fosse stata cucita su misura della società poi emersa vincitrice. A seguito di quell’indagine, a settembre del 2016 la discarica è stata sequestrata e poi dissequestrata e restituita al Prefetto di Genova a marzo di quest’anno.
Luca Lottero