Dal 12 al 16 marzo a Vienna si svolgerà il convegno della Commissione delle Nazioni Unite sulle droghe narcotiche. E' prevista la mobilitazione degli attivisti che chiedono nuove politiche per la riduzione del danno ed il rispetto dei diritti umani
«La guerra globale alla droga è fallita con conseguenze devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo. A distanza di 50 anni dalla Convenzione Unica sui narcotici e gli stupefacenti delle Nazioni Unite (1961) sono urgenti e necessarie riforme fondamentali nelle politiche di controllo delle droghe nazionali e mondiali. Le immense risorse dirette alla criminalizzazione e alle misure repressive su produttori, trafficanti e consumatori di droghe illegali hanno evidentemente fallito senza raggiungere l’obiettivo prefissato di una riduzione dell’offerta e del consumo. Anzi il mercato della droga illegale, ampiamente controllato dal crimine organizzato, è nei fatti cresciuto in modo spettacolare in questo periodo».
Queste non sono le affermazioni di qualche vecchio fricchettone o “figlio dei fiori” fuori stagione ma al contrario sono le parole scelte con cura dalla “Commissione globale per le politiche sulla droga”, messe nero su bianco nella relazione presentata il 2 giugno 2011 (facilmente reperibile online). Tra i firmatari del documento ci sono personalità di spicco (alcuni proibizionisti pentiti) come gli ex presidenti di Brasile, Colombia e Messico, Fernando Henrique Cardoso, César Gaviria, Ernesto Zedillo, gli scrittori Carlos Fuentes e Mario Vargas Llosa, l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.
«Lo scopo della Commissione globale per le politiche sulle droga è portare alla luce, a livello internazionale, un dibattito pubblico, informato e scientificamente corretto, sulle modalità, efficaci ed umane, per limitare i danni causati dalle droghe al popolo e alla società – si legge nella relazione – questo è il tempo giusto per una revisione seria, esaustiva e di grande lungimiranza, delle politiche che possano rispondere al fenomeno della droga. Il punto di partenza di tale revisione è riconoscere che il problema globale della droga è un insieme di istanze sanitarie e sociali interdipendenti da governare, più che una guerra da vincere».
«Un’ idea chiave dell’approccio “guerra alla droga” era che la minaccia di arresto e di una severa punizione avrebbe funzionato da deterrente ad usare droghe – continua la relazione – In pratica questa ipotesi si è dimostrata come errata. Molti Paesi, che hanno varato leggi severe anno effettuato un gran numero arresti ed incarcerazioni di consumatori di droghe e piccoli trafficanti, hanno un numero più alto di consumatori e di problemi relativi rispetto ai paesi che hanno seguito un approccio più tollerante. In modo simile, i Paesi che hanno introdotto una decriminalizzazione, o altre forme di diminuzione di arresti e di pene, non hanno visto aumentare il tasso dei consumatori né il numero di tossicodipendenti come si era paventato».
LE POLITICHE SULLE DROGHE
Ebbene – a distanza di 9 mesi da questa significativa autocritica – non sembra profilarsi all’orizzonte un decisivo cambio di mentalità. Dal 12 al 16 marzo a Vienna si svolgerà il convegno annuale della Commissione delle Nazioni Unite sulle Droghe Narcotiche presso il Vienna International Center, l’occasione per fare il punto della situazione e magari ipotizzare nuove politiche sulle sostanze stupefacenti.
In teoria la politica sulle droghe è una questione di sovranità nazionale ma la convenzione delle Nazioni Unite del 1961 fissa i principi per ogni stato membro che l’abbia adottata. Se un Paese decide di sviluppare una nuova strategia, diversa dalla proibizione, deve prima farne richiesta alle Nazioni Unite per poter avviare un periodo sperimentale. Le politiche alternative dunque possono essere sviluppate a livello locale, è il caso ad esempio delle misure definite di riduzione del danno, ma richiedono molti anni di sforzi per essere ufficialmente riconosciute. Sono infatti tre i corpi di supervisione che agiscono in seno all’Onu: la Commissione internazionale per il controllo degli stupefacenti (ICNB), ovvero l’agenzia che decide, basandosi sulle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sull’inclusione/esclusione di sostanze dalle liste globali delle droghe sottoposte a controllo, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga ed il crimine (UNODOC), l’organismo di governo che ospita gli incontri annuali della Commissione sulle droghe narcotiche (CND), della quale mantiene la segreteria permanente. ICNB è una commissione di 13 membri cosiddetti “indipendenti” mentre la Commissione sulle droghe narcotiche consiste di delegazioni provenienti da almeno 53 paesi. In pratica un migliaio di delegati e 13 esperti sono chiamati a decidere le sorti di circa 250 milioni di persone che usano le droghe illecite.
«Questo sistema si basa sulla premessa che il controllo internazionale delle droghe sia prima di tutto una lotta contro il crimine e i delinquenti – si legge nel documento del giugno scorso – Ora che la natura della sfida delle politiche sulle droghe è cambiata le istituzioni devono seguire questo cambiamento».
«L’idea che i governi debbano lavorare insieme per affrontare i mercati delle droghe è un punto di partenza ragionevole ma l’idea della responsabilità condivisa è troppo spesso diventata un braccio di ferro che ha inibito lo sviluppo e la sperimentazione delle politiche – sottolinea il documento – L’ONU (attraverso la Commissione per il controllo internazionale degli stupefacenti) e in particolare gli Stati Uniti (particolarmente con il suo procedimento di “certificazione”), hanno indefessamente lavorato negli ultimi anni per assicurarsi che tutti i Paesi adottassero lo stesso rigido approccio alla politica sulla droga, le stesse leggi e lo stesso approccio severo delle forze dell’ordine. Quando i governi nazionali sono arrivati a una maggiore consapevolezza della complessità del problema e delle opzioni di risposta politica sui loro territori, molti hanno usato flessibilità nei riguardi della Convenzione, tentando strategie e programmi nuovi, come le iniziative di decriminalizzazione o i programmi di riduzione del danno. Quando questo ha compreso un approccio più tollerante all’uso di droga, i governi hanno dovuto affrontare pressioni diplomatiche internazionali per “proteggere l’integrità della Convenzione”, anche quando le strategie erano legali, efficaci e ricevevano consensi nel Paese».
DRUGS PEACE FESTIVAL VIENNA 2012
Per ribadire la necessità di un profondo cambiamento, contemporaneamente al convegno annuale della Commissione sulle droghe narcotiche, Vienna ospiterà dal 9 al 16 marzo, una mobilitazione intitolata “Drugs Peace Summit” – Festival per la Pace alle Droghe, promossa dagli attivisti della rete Encod, la Coalizione Europea di Cittadini per Politiche giuste ed Efficaci sulle Droghe.
Un incontro spontaneo di persone che chiedono delle nuove politiche basate non sulla proibizione, bensì sulla salute pubblica, la riduzione del danno, un’analisi dei costi-benefici ed il rispetto dei diritti umani.
«Noi ci appelliamo per una regolamentazione legale come unico modo sensibile ed efficace per diminuire i problemi legati alle droghe, ridurre il crimine organizzato e liberare denaro delle tasse per salute, educazione e programmi sociali – scrive la rete Encod – Le Nazioni Unite ed i governi del mondo sono responsabili per la miseria quotidiana prodotta dalla guerra globale contro le droghe. Dai tempi di Adamo ed Eva noi sappiamo che la proibizione non funziona. La violenza quotidiana nelle società come Messico o Afghanistan, la criminalizzazione di persone che altrimenti rispettano le leggi, la maggior parte del danno sanitario collegato alle droghe non ha nulla a che fare con le droghe stesse, ma con il fatto che esse sono illegali».
«Oggi dobbiamo mettere gli esperti dell’Onu sul banco degli imputati – spiega Enrico Fletzer, giornalista e membro della rete Encod – Ed accusarli di negligenza criminale perché ormai è impossibile far finta di non conoscere le devastanti conseguenze delle politiche finora attuate».
«Sempre più cittadini stanno sviluppando le loro alternative a questa politica fallimentare come i Cannabis Social Club che stanno operando in Spagna, Belgio e sono in preparazione in molti altri Paesi – spiegano gli attivisti – Nella coltivazione collettiva del CSC si producono delle quantità utili per un collettivo di consumatori di cannabis che non vogliono sostenere delle organizzazioni criminali e che desiderano avere un prodotto garantito. Il fine del club non è solo l’accesso ad una pianta che è stata utilizzata per migliaia di anni e che non ha mai ucciso nessuno ma anche la trasmissione di informazioni sul consumo consapevole attraverso la promozione di laboratori e dibattiti».
Sabato 10 marzo una manifestazione percorrerà le strade di Vienna per reclamare di terminare la guerra alle droghe e cambiare il sistema di controllo delle Nazioni Unite sulle droghe. Allo stesso tempo una delegazione di Encod presenzierà all’incontro delle Nazioni Unite e diffonderà le proprie proposte di politiche alternative. Il messaggio di Encod alle Nazioni Unite è «Resettate la vostra politica aprendovi alle proposte dei cittadini che sono coinvolti nel fenomeno delle droghe e che stanno lavorando per migliorare la situazione mentre le vostre politiche la rendono peggiore».
LA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GLOBALE PER LE POLITICHE SULLA DROGA
Non è difficile notare come il cambiamento richiesto a gran voce dagli attivisti europei faccia leva su parecchi argomenti affrontati coraggiosamente dai 19 celebri membri della Commissione globale per le politiche sulla droga.
«Le politiche sulle droghe devono essere basate su solide evidenze empiriche e scientifiche. La prima misura del successo deve essere la riduzione del danno alla salute alla sicurezza e al benessere di individui e società», sottolinea la relazione del giugno scorso. Invece fino ad oggi «Le politiche e le strategie sulla droga, a tutti i livelli, continuano troppo spesso ad essere guidate da prospettive ideologiche o convenienze politiche e prestano troppo poca attenzione alla complessità del mercato della droga, dell’uso di droga e della dipendenza da droga. In primo luogo abbiamo misurato il nostro successo nella guerra alle droghe con misure quali il numero di processi ed arresti, le quantità sequestrate, o la durezza delle pene. Questi indicatori possono dirci quanto siamo stati duri, ma non possono dirci quanto successo abbiamo avuto nel miglioramento della “salute e benessere dell’ umanità”».
Secondo la commissione occorre «Porre un termine alla criminalizzazione, emarginazione e stigmatizzazione delle persone che fanno uso di droghe e di quelli che restano coinvolti nei livelli più bassi della coltivazione, della produzione e della distribuzione e trattare le persone tossicodipendenti come pazienti non come criminali. Attualmente troppi politici sostengono l’ idea che tutti coloro che usano droga sono “tossicodipendenti senza morale”. La realtà è molto più complessa. L’ ONU ha prudentemente stimato che attualmente ci sono 250 milioni di consumatori di droghe illegali nel mondo e che ce ne sono altri milioni coinvolti nella coltivazione, produzione e distribuzione. Semplicemente non possiamo trattarli tutti come criminali. Dei 250 milioni di consumatori stimati nel mondo, le Nazioni Unite calcolano che meno del dieci per cento possano essere classificati come tossicodipendenti o come consumatori problematici. Moltissime persone coinvolte nella coltivazione illecita di coca, papavero da oppio, o canapa sono piccoli contadini costretti a farlo per mantenere la famiglia. Opportunità alternative di sostentamento sarebbero un miglior investimento, piuttosto che distruggere ogni loro possibile mezzo di sopravvivenza».
La commissione raccomanda di «Incoraggiare i governi a sperimentare modelli di regolamentazione giuridica della droga per minare il potere del crimine organizzato e salvaguardare la salute e la sicurezza dei loro cittadini. Questa raccomandazione vale soprattutto per la cannabis, ma incoraggiamo anche altri esperimenti di depenalizzazione e regolamentazione legale, che possano raggiungere questi obiettivi e fornire modelli per altri». E ancora, i 19 firmatari, suggeriscono di avere un atteggiamento più umano, investendo in programmi sanitari e sociali «Offrire servizi sanitari e cure a chi ne ha bisogno. Garantire che sia disponibile una varietà di modalità di trattamento, compreso non solo il trattamento con metadone e buprenorfina, ma anche i programmi di trattamento assistito con eroina che si sono dimostrati efficaci in molti Paesi europei e in Canada. Implementare i programmi di accesso alle siringhe e alle altre misure di riduzione del danno che si sono dimostrate efficaci nel ridurre la trasmissione dell’HIV e di altre infezioni a trasmissione ematica così come le overdosi fatali. Rispettare i diritti umani delle persone che usano droghe. Abolire le pratiche abusive eseguite in nome del trattamento, come la detenzione forzata, il lavoro forzato e gli abusi fisici o psicologici, che contravvengano standard dei diritti umani e delle norme o che annullino il diritto all’autodeterminazione». Le autorità nazionali e l’ONU devono inoltre rivedere la classificazione delle sostanze perché le attuali classificazioni concepite per rappresentare i rischi ed i danni relativi alle varie droghe, «Furono stabilite 50 anni fa quando esistevano poche evidenze scientifiche sulle quali basare tali decisioni. Questo ha prodotto alcune ovvie anomalie, in particolare la canapa e la foglia di coca appaiono oggi classificate in modo non corretto».
Le ingenti risorse per il controllo della droga non possono essere destinate esclusivamente alla repressione delle organizzazioni criminali che lucrano sul mercato delle droghe. Devono invece essere indirizzate soprattutto in programmi di prevenzione ed informazione «L’investimento più valido è quello in attività che possano evitare l’ingresso dei giovani nel consumo di droga e che impediscano ai consumatori saltuari di divenire consumatori problematici o dipendenti – recita la relazione del giugno 2011 – Le esperienze di prevenzione generica sono state contraddittorie nei risultati. I messaggi semplicistici come “Basta dire di no” non sembrano aver avuto effetto significativo. I modelli di prevenzione che più hanno funzionato si sono occupati della focalizzazione di gruppi particolari a rischio quali membri di bande giovanili, bambini negli istituti o con problemi a scuola o con la polizia, con programmi misti di educazione ed appoggio sociale».
Le istituzioni dell’ONU per il controllo sulle droghe finora hanno lavorato in gran parte come difensori delle strategie tradizionali. Ma di fronte al fallimento di tali politiche sono necessarie delle riforme. «I Paesi si aspettano dall’ONU un sostegno ed una guida – conclude la relazione – Facciamo appello al segretario dell’ONU, Ban Ki Moon ed al direttore dell’esecutivo dell’UNODC, Yury Fedotov affinché intraprendano passi concreti verso una strategia globale sulle droghe veramente coordinata e coerente che bilanci la necessità di contenimento dell’offerta di droga e la lotta alla criminalità organizzata con la necessità di provvedere servizi sanitari, di assistenza sociale e di sviluppo economico agli individui ed alle comunità colpite».
IL CASO ITALIA
La legislazione italiana in materia di droga è il “Testo Unico sulla Droga”, D.P.R. 03/10/90, n.309. In seguito al referendum popolare del 1993 ne è stata abrogata la parte che classificava il consumo di droga come reato penale. Successive modifiche sono consistite nella L. 350 (24/12/03), L. 251 (5/12/05), ed infine nella L. 49 (21/02/06), la famosa Fini–Giovanardi.
La legge italiana punisce sia la vendita sia il consumo di droghe. Le medesime sanzioni sono applicate senza distinzione tra stupefacenti ma per ciascuna droga sono previste specifiche soglie quantitative al fine distinguere tra possesso finalizzato al consumo o allo spaccio. Le sanzioni previste per il reato di traffico di stupefacenti sono sia di natura pecuniaria (multa da 26mila a 260mila euro), sia detentiva (da 6 a 26 anni di reclusione). Il consumo di stupefacenti è invece punito per via amministrativa tramite l’applicazione di varie sanzioni quali il ritiro del passaporto, della patente di guida, del permesso di soggiorno, ecc. per un periodo compreso tra un mese ed un anno. Sono inoltre previste altre sanzioni amministrative fino a due anni.
«In Italia la guerra alle droghe è stata piuttosto efficace nel brutalizzare alcuni settori della popolazione, incluse molte persone del nostro sistema carcerario – scrive Enrico Fletzer, giornalista appartenente alla rete Encod – La legge Fini–Giovanardi ha abolito ogni differenza di politica tra eroina e cannabis e quest’ultima, da allora, è diventata la sostanza più colpita».
L’Italia detiene il triste primato in Europa per quanto riguarda il numero di denunce di violazioni della legge sulla droga (OEDT, 2007). Dal 2000 al 2005 le forze dell’ordine italiane hanno condotto oltre 140mila operazioni antidroga (quasi 24mila all’anno), di cui la metà concernenti la cannabis (DCSA, 2007). Dal 2000 al 2005 circa il 38% dei detenuti nelle carceri italiane scontava condanne per violazioni della legge sulla droga (Istat, “Statistiche giudiziarie penali”).
Nel nostro Paese il consumo di sostanze illecite è significativo ed in particolare la diffusione del consumo di cannabis, cocaina ed eroina è ben al di sopra della media mondiale. Si stima che in Italia quasi 4,5 milioni di persone consumino annualmente cannabis, circa 800mila cocaina e circa 300mila eroina (Unodoc, 2007).
In termini di diffusione del consumo tra la popolazione in età lavorativa, l’Italia primeggia in Europa per la diffusione del consumo di cannabis (11%, inferiore solo a quello cipriota), cocaina (terzo tasso in Europa dopo Spagna ed Inghilterra) ed eroina (quinto tasso di diffusione in Europa) mentre la diffusione del consumo di droghe sintetiche (ATS) è invece nettamente inferiore rispetto al resto d’Europa (Unodoc, 2007).
Un interessante studio del 2009 “Il costo fiscale del proibizionismo: una simulazione contabile” (consultabile su www.fuoriluogo.it), condotto dal Professore Marco Rossi dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” , ha provato a fare i conti in tasca alla politica proibizionista vigente nel nostro Paese.
«In base alle stime sulla diffusione del consumo di droghe abbiamo calcolato che nel 2005 in Italia siano state consumate circa 1200 tonnellate di cannabis, 32 di cocaina e 9 di eroina – si legge nella ricerca – Moltiplicando queste quantità per i prezzi al dettaglio registrati nel mercato nero (Unodoc, 2007) abbiamo stimato una spesa per l’acquisto di droghe di circa 11 miliardi di euro (di cui: il 68% per la cannabis, il 26% cocaina ed il 6% eroina)».
«Recenti contributi teorici sostengono la superiorità degli strumenti fiscali nel contenere il consumo di droghe rispetto all’applicazione di una normativa proibizionista – spiega il prof. Marco Rossi – In Italia il consumo di tabacchi ed alcolici è appunto scoraggiato tramite l’imposizione di una elevata tassazione. Il nostro lavoro consiste nella stima dei benefici fiscali che l’erario italiano avrebbe riscosso nel periodo 2000-2005 se la regolamentazione applicata al mercato dei tabacchi (sul prezzo di vendita delle sigarette grava un’aliquota assai pesante pari al 75,5%) fosse stata estesa anche al mercato delle altre droghe. In altri termini abbiamo condotto una sorta di simulazione contabile volta a stimare quale sia stato il costo fiscale del proibizionismo in Italia».
Il costo del proibizionismo è stato identificato sia nelle spese per l’applicazione della normativa proibizionista (risorse di polizia, magistratura e carceri), sia nel costo-opportunità delle tasse non riscosse.
«il nostro studio stima in circa 60 miliardi di euro il costo fiscale del proibizionismo in Italia dal 2000 al 2005 (in media circa 10 miliardi di euro annui) – continua Rossi – La legalizzazione del commercio delle droghe avrebbe fatto risparmiare circa 2 miliardi all’anno di spese connesse all’applicazione della normativa proibizionista. Estendendo al mercato delle droghe la normativa fiscale applicata a quello dei tabacchi, l’erario nazionale avrebbe inoltre incassato circa 8 miliardi all’anno (47 in totale) dalla tassazione sulle vendite, di cui circa il 70% dall’imposta sulla vendita di cannabis (32 miliardi), il 24% dall’imposta sulla cocaina (11 miliardi) e solo il 6% dalle vendite di eroina (3 miliardi)».
Stiamo parlando di una concreta analisi dei costi-benefici che non andrebbe esclusa a priori dal dibattito sui modelli alternativi di regolamentazione del mercato delle droghe, come sottolinea anche la Commissione globale per le politiche sulla droga «È inutile ignorare coloro che portano argomenti a favore di un mercato tassato e regolato per le droghe attualmente illegali. Questa è un’opzione politica che deve essere esplorata con lo stesso rigore di qualunque altra».
Matteo Quadrone