Oltre 300 persone alla manifestazione della rete femminista "Non una di meno" davanti all'ospdale Galliera, per il diritto di autodeterminazione delle donne
“Fuori il Vaticano dalle nostre mutande”. Questo uno dei numerosi manifesti appesi sotto le finestre dell’ospedale Galliera, dove quasi 300 persone questa mattina hanno dato vita al presidio per protestare contro l’ingerenza etica della Chiesa nella sanità pubblica. L’iniziativa è parte dello sciopero indetto nei giorni scorsi per la giornata odierna da “Non una di meno”, la rete nazionale che raccoglie decine di movimenti femministi e sigle sindacali.
«Il Galliera prende contributi statali per assolvere ad un servizio pubblico, quello sanitario – spiega un’attivista – ma poi pratica una obiezione di coscienza del 100% riguardo alle interruzioni di gravidanza. Non capiamo perché lo Stato, laico, che dovrebbe garantire le libere scelte di tutti, sovvenzioni questo apparato». Questa la motivazione principale alla base del presidio, partecipato da numerosi attivisti, donne e uomini. Ma non solo: l’ospedale “della Curia” è solo un simbolo della «cultura che opprime le libere scelte sessuali delle persone, e la possibilità di autodeterminarsi, anche nell’ambito della maternità assistita». Una cultura che, secondo la rete femminista, è ancora fortemente condizionata dal patriarcato sociale, a quale si è aggiunto in questi ultimi anni anche lo sfruttamento della precarietà lavorativa, che colpisce tutti, ma in maggior modo le donne.
L’obiezione di coscienza è un tema molto delicato, su cui l’opinione pubblica nazionale è spesso spaccata: come viene spiegato durante il presidio, questa manifestazione non è in assoluto contro questo pratica, che è riconosciuta come un diritto, estendibile in altri ambiti, da quello che un tempo era il servizio militare di leva allo stesso giornalismo, e come tale deve essere tutelato. Il problema nasce quando questa scelta, all’interno del “sistema sanitario pubblico” si scontra contro un altro diritto, cioè quello di poter scegliere sul proprio corpo e, più nello specifico sulla propria maternità. «Bene ha fatto il servizio pubblico laziale ad indire un concorso, escludendo gli obiettori di coscienza – spiega un’attivista – poiché lo Stato ha il dovere di garantire a tutti l’assistenza medica in ogni situazione, a prescindere dalle singole convinzioni religiose».
La difesa dei diritti della donna, però, non è il solo “campo di battaglia” di “Non una di Meno”; lo sono, infatti, tutte le questioni legate al genere e alla autodeterminazione delle persone: «Questa rete, che nei prossimi mesi continuerà il proprio percorso, lavora contro tutte le moderne schiavitù legate al genere e alla sessualità». A spiegarcelo un’attivista di Degeneriot, il collettivo genovese capofila delle iniziative della giornata: «I nostri incontri e le nostre iniziative si muovono in questa direzione, e sono rivolti a tutti, per ridefinire la libertà dell’autodeterminazione della sessualità e dei rapporti tra le persone».
E sono proprio le attiviste e gli attivisti di Degeneriot a portare il presidio, una volta sciolto, per le vie della città, dando vita a colorati sit-in per le vie di Genova e in particolare davanti alla cattedrale di San Lorenzo. Nel pomeriggio è previsto il corteo che attraverserà il centro storico, da Porta dei Vacca a piazza De Ferrari, portando negli spazi vissuti la loro iniziativa politica.
Nicola Giordanella