Il debito pubblico del nostro paese spiegato da Marco Doria, docente di storia economica
La Corte dei Conti sul finire di maggio, presentando il rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica, ha lanciato l’ultimo allarme: “L’Italia dovrà ridurre il debito pubblico di circa 46 miliardi ogni anno per raggiungere gli obiettivi indicati dall’Unione Europea”.
E ha aggiunto: “La fine della recessione economica non comporta il ritorno a una gestione ordinaria del bilancio pubblico”, bensì secondo la magistratura contabile occorre uno sforzo “paragonabile a quanto si dovette fare alla metà degli anni ’90 per poter essere ammessi nella moneta unica fin dal suo avvio”. Il debito pubblico rappresenta un problema endemico del nostro paese e il rapporto debito/Pil si avvia nel 2011 a toccare il 120%.
Abbiamo chiesto al professor Marco Doria, docente di Storia economica presso la facoltà di Economia dell’ateneo genovese, di chiarirci alcuni snodi fondamentali per comprendere come l’Italia nel corso degli anni ha affrontato la questione.
Quali sono i motivi dell’origine del debito italiano a partire dagli anni ’70?
“Sicuramente c’è stato un aumento della spesa pubblica, in particolare della spesa sociale, sulla scia delle rivendicazioni che un vasto movimento d’opinione aveva portato avanti negli anni immediatamente precedenti. I cittadini reclamano maggiori prestazioni da parte dello stato, in particolare per quanto riguarda la scolarizzazione, il sistema pensionistico e il Servizio Sanitario Nazionale.
Ma la spesa aumentava anche in altri paesi europei come Francia e Germania. Inoltre in rapporto al Pil la percentuale di spesa italiana risultava inferiore rispetto alla media europea. Qual è dunque la peculiarità dell’Italia?
Mentre negli altri paesi, a fronte dell’aumento della spesa pubblica, si aumentava contestualmente anche la pressione fiscale, in Italia ciò è avvenuto solo negli anni ’90. E adesso è inevitabile che la pressione fiscale si mantenga alta anche per gli anni a venire.
Altro che riduzione delle tasse come diversi esponenti politici ripetono ciclicamente… Ma come si è sviluppato l’andamento del debito nella nostra storia recente?
Nel 1980, secondo i dati ufficiali della Banca d’Italia, il debito pubblico italiano era al 57.7% del Pil, in linea con la media europea. Nel 1992 il Trattato di Maastricht stabilisce dei parametri in cui contenere il debito. La soglia fissata è il 60% del debito sul Pil.
Quando comincia a salire vertiginosamente?
Appena dieci anni dopo, nel 1990, il debito pubblico arriva al 98.5% del Pil. E nel 1994 raggiunge il 124.3%.
Quali sono le cause?
Il debito in continua salita è il risultato di bilanci che anno dopo anno presentano un deficit. I disavanzi di bilancio iniziano già negli anni ’70. Ma dal 1980 al 1994, possiamo parlare di un quindicennio devastante.
In seguito che cosa accade?
Dal 1995 al 2001 registriamo una discesa di 14 punti percentuali. Il debito nel 2001 scende infatti al 109.8% del Pil. Ma a partire dal 2001 il debito ricomincia a salire e oggi si aggira intorno al 120%.
Evidentemente dietro a questi dati si nascondono anche delle responsabilità politiche…
A partire dal 1995 e fino al 2001 si registra una riduzione del debito pubblico, grazie a delle politiche finanziarie che consentono un maggiore saldo primario. Vale a dire quando le entrate correnti superano le spese correnti al netto del pagamento degli interessi sul debito. Di conseguenza si sono potute accantonare le risorse per contenere il debito pubblico. Dal 2001 sino ad oggi registriamo una nuova inversione di tendenza, ma non c’è solo una responsabilità di governo. È una fase in cui i tassi di crescita dell’economia di molti paesi avanzati sono stati inferiori. L’errore del nostro paese è stato però far finta di non vedere la crisi, scansare il problema e infine accorgersene quando ormai era troppo tardi.
Matteo Quadrone
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