«Le case popolari rischiano il default», l'allarme di Federcasa. Necessario uniformare il modello di gestione degli alloggi pubblici. Il dissesto finanziario di Arte Genova non è certo un caso isolato, gli enti per la casa sono in profondo rosso
La questione casa è senza dubbio l’argomento più caldo del momento (qui l’inchiesta di Era Superba relativa al territorio genovese), capace di richiamare in piazza una moltitudine di persone – giovani e meno giovani, italiani e stranieri – per chiedere al Governo risposte concrete a favore di chi è rimasto senza un tetto e non soltanto repressione contro le occupazioni abusive di alloggi sfitti portate avanti in questi mesi dal Movimento di lotta per la casa sorto in numerose città italiane, tra cui Genova.
La drammatica situazione odierna è il risultato della prolungata assenza di politiche strutturali per l’abitare e di finanziamenti stabili ad hoc per l’edilizia residenziale pubblica (Erp). Ma pure il modello di gestione degli alloggi pubblici – attualmente disimogeneo sul territorio nazionale, frammentato com’è nei diversi enti casa territoriali che hanno sostituito gli Iacp (Istituti autonomi per le case popolari) – andrebbe completamente ridisegnato, visto che finora esso non si è dimostrato socialmente efficace e neppure economicamente sostenibile.
«Le case popolari rischiano il default – lancia l’allarme Emidio Ettore Isacchini, presidente di Federcasa (federazione di 114 enti che, in tutta Italia, costruiscono e gestiscono abitazioni sociali) – Troppi i nodi da tempo irrisolti dei quali la politica non sembra volersi fare carico: dalla confusione sul pagamento dell’Imu, alla mancanza di risorse per il settore, all’assenza di agevolazioni sotto il profilo energetico. A tutto ciò si aggiunge la necessità di individuare norme precise che indichino la missione degli enti gestori».
Senza dimenticare, però, gli esempi di malgestione degli stessi ex Iacp, sovente utilizzati per effettuare operazioni finanziarie che certamente non rientrano tra le loro primarie finalità. L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello di Arte Genova (una delle 4 aziende territoriali per l’edilizia controllate dalla Regione Liguria), indebitatasi di circa 76 milioni di euro per acquistare – tra 2012 e 2013 – alcuni immobili di proprietà delle Asl liguri (tra i quali l’ex ospedale psichiatrico di Quarto) allo scopo di ripianare il buco nel bilancio sanitario regionale. Beni in seguito messi all’asta per 116 milioni ma ad oggi rimasti invenduti. La Corte dei Conti ha aperto un’inchiesta sul trasferimento del debito dalla Regione Liguria ad Arte, mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiesto chiarimenti alla Giunta guidata da Claudio Burlando.
A tal proposito, nella relazione ministeriale si legge: “Dalla lettura dei dati di bilancio emerge come l’azienda (Arte Genova, ndr) non avesse la liquidità per far fronte alla compravendita di immobili e che le necessarie risorse finanziarie siano state procurate attraverso il ricorso al sistema bancario. Questa operazione ha permesso all’azienda regionale di surrogare il debito verso la regione in un debito verso il sistema bancario (nello specifico Banca Carige) con l’accollo degli oneri conseguenti all’indebitameto. Va inoltre evidenziato che le eventuali plusvalenze che Arte dovesse conseguire dalla cessione dei predetti immobili dovranno essere rigirate alla Regione Liguria […] Il piano di alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare approvato dalla Regione è certamente legittimo […] Tuttavia, le modalità di dismissione destano qualche perplessità, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità economica dell’operazione da parte di Arte Genova”.
Il dissesto finanziario degli enti casa riguarda pure altre realtà territoriali – come ad esempio Aler Milano e le aziende Ater del Lazio – con bilanci in profondo rosso soprattutto a causa del ricorso a costose consulenze e all’impiego di strutture spesso elefantiache, oltre al pesante fardello rappresentato da una morosità – in particolare quella incolpevole – costantemente in crescita.
«Premesso che non conosco nel dettaglio la condizione di Arte Genova – spiega Isacchini – comunque, purtroppo, questo non è l’unico caso in Italia. In realtà la missione delle aziende territoriali è quella di costruire, acquistare e gestire case popolari per le fasce meno abbienti della popolazione. Al contrario simili operazioni, non frutto di scelte autonome ma piuttosto legate a particolari esigenze delle singole regioni, mettono in estrema difficoltà gli enti casa esponendoli al pubblico lubridrio come fossero tutti dei carrozzoni parastatali indebitati. Teniamo conto che i finanziamenti pubblici destinati al settore Erp si sono praticamente azzerati. Dal ’98 ad oggi, da quando sono stati eliminati i contributi Gescal, le risorse sono calate progressivamente fino all’esaurimento attuale. La conseguenza è che in Italia non riusciamo ad aumentare il parco Erp nonostante la forte richiesta di case popolari». Secondo il presidente di Federcasa anche «Le politiche fiscali sono diventate ormai insostenibili e devono essere oggetto di revisione affinché le politiche abitative possano avere il giusto respiro». La criticità principale è relativa alla definizione di “alloggio sociale”, nella quale, in base alla Legge di Stabilità approvata a dicembre 2013, non rientrano gli alloggi popolari. Secondo la legge vigente, infatti, gli enti casa sono tenuti al pagamento dell’Imu come seconda casa, un esborso non sopportabile che potrebbe provocare il dissesto dei bilanci delle varie realtà territoriali. «Ogni anno dobbiamo battagliare con l’amministrazione statale – continua Isacchini – Proprio in questi giorni sono stato in audizione al Senato. E le posso dire che se ci obbligheranno a pagare l’Imu dovremo dichiarare l’impossibilità a svolgere il nostro ruolo».
Nel frattempo, il Governo Renzi, con il decreto legge 28 marzo 2014, n. 47 intitolato “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015“, prevede di investire nel comparto abitativo un miliardo e 741 milioni di euro con tre obiettivi: sostenere gli affitti con la formula della cedolare secca, allargare i vani destinati alla residenza pubblica, e favorire la sua maggiore diffusione sul territorio. In linea generale viene istituito un Piano di recupero immobili Erp da 400 milioni di euro destinati a 12 mila alloggi che andrà ad agevolare la riqualificazione energetica, antisismica o impiantistica dell’immobile. 68 milioni saranno, invece, indirizzati al recupero di 2 mila e 300 vani per categorie in particolare stato di difficoltà, come le famiglie con reddito sotto i 27mila euro lordi, i portatori di handicap, malati terminali, nuclei con over 65, ecc. Inoltre, nasce il Fondo destinato alla concessione di contributi in conto interessi su finanziamenti per l’acquisto degli alloggi ex Iacp; soprattutto chi usufruisce di un alloggio di edilizia residenziale popolare come abitazione principale e appartiene a fasce di reddito particolarmente basse potrà vedersi riconosciuta una detrazione di 900 euro se il reddito è inferiore a 15.493,71 euro oppure di 450 euro per redditi complessivi sotto i 30.987,41 euro.
«Si parla di 12 mila interventi destinati al recupero di alloggi che attualmente non possono essere affittati perché fuori norma – sottolinea Isacchini, presidente di Federcasa – Sono troppo pochi rispetto alla reale necessità. Abbiamo una lista d’attesa inevasa di almeno 700 mila persone, i numeri sono eloquenti. Quella del Governo, dunque, è una risposta piuttosto limitata, che per di più potrà effettivamente esplicarsi solo in tempi lunghi».
Secondo il presidente Isacchini, anche i piani di vendita delle case popolari agli inquilini «In questi anni hanno fornito risultati negativi. Le persone oggi hanno sempre minori possibilità di acquistare un’abitazione e sono disincentivate a farlo a causa della fiscalità elevata che si è concentrata sulla casa». D’altra parte gli alloggi Erp, come ammette Isacchini «Stanno cadendo nel degrado, visti i bassi affitti che gli enti casa percepiscono a cui si somma la morosità crescente. Insomma, le nostre aziende non possono più svolgere la manutenzione ordinaria e straordinaria. Questa è una situazione di difficoltà generale in tutta Italia». Inoltre, circa il 90% delle case popolari (oltre 600 mila abitazioni in tutto il Paese) necessita di lavori straordinari di efficientamento energetico. «Chiediamo al ministero dell’Ambiente e all’Esecutivo di individuare le soluzioni necessarie all’ammodernamento di un patrimonio oltremodo datato, a partire dall’estensione alle aziende casa della detrazione del 65% sulle spese sostenute» afferma Isacchini, presidente di Federcasa, che aggiunge «Occorre una vera politica nazionale dell’abitare. Lo sappiamo bene che le casse dello Stato sono pressoché vuote, però, il ruolo della politica è quello di reperire le risorse, anche in altri modi».
Invece, a proposito del social housing, molto in voga negli ultimi anni, la posizione di Federcasa è chiara: «Si parla di numerosi progetti social housing, ma gli immobili realizzati in realtà sono pochissimi – sottolinea Isacchini – Le aziende al momento non sono in grado di promuovere queste iniziative che, peraltro, si rivolgono ad una fascia di popolazione che non è quella abitualmente destinataria dell’edilizia residenziale pubblica. Social housing è di sicuro una bella parola, un’ipotesi che può anche essere importante, soprattutto nelle grandi città, per calmierare il mercato privato e favorire il ceto medio. Tuttavia, non credo proprio che sia questa la risposta di cui hanno bisogno le famiglie». Per Federcasa, infatti, è necessario «Puntare su recupero, riqualificazione, risparmio energetico, interventi di carattere strutturale – conclude il presidente Isacchini – sono azioni fondamentali che consentono l’opportunità di accedere ai Fondi europei. Noi auspichiamo che tali risorse vengano destinati al settore Erp, soltanto così sarà finalmente possibile aumentare il parco di case popolari in Italia».
I sindacati degli inquilini – Sicet Cisl (Sindacato inquilini casa e territorio), Sunia Cgil (Sindacato unitario nazionale inquilini ed assegnatari) e Uniat Uil (Unione nazionale inquilini ambiente e territorio) – sono stati recentemente auditi (il 16 aprile scorso) dalle Commissioni 8 “Lavori pubblici, comunicazioni” e 13 “Territorio, ambiente, beni ambientali” del Senato proprio in merito al disegno di legge n. 1413 – Conversione in legge del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, recante “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l’Expo 2015”.
Per le 3 sigle sindacali che hanno sottoscritto un documento unitario “Il disegno di legge rappresenta un segno di discontinuità rispetto alla grave assenza di attenzione ai problemi legati alla locazione… la decisione di alimentare con risorse aggiuntive, sia l’intervento statale per l’aiuto preventivo agli inquilini (FSA) che quello per la morosità incolpevole, risulta particolarmente positiva, anche se il dimensionamento economico è di gran lunga inferiore alla domanda rappresentata da oltre 350 mila famiglie”.
Sicet Sunia e Uniat, però, sottolineano “È improrogabile un’offerta immediata di edilizia residenziale pubblica attraverso azioni di recupero, con interventi leggeri su alloggi degli enti gestori attualmente non assegnabili. La programmazione del recupero va sostenuta e incoraggiata, con procedure di estrema semplificazione per raggiungere l’obiettivo in tempi rapidi e certi. Questa azione non è realizzabile come previsto dal decreto, con linee di finanziamento dilatate nei prossimi sei anni e con una dotazione per il 2014 di soli 5 milioni di euro”.
Oltre a queste misure, il provvedimento contiene ancora una volta interventi normativi di agevolazioni fiscali ed urbanistiche nei confronti del social housing, che lasciano molto perplessi i sindacati “Innanzitutto perché una norma sull’emergenza, con risorse limitate, dovrebbe indirizzare i propri sforzi verso priorità dettate della domanda che non è il social housing – scrivono Sicet, Sunia e Uniat – poi perchè il risultato prodotto da questo insieme di interventi tramite i fondi immobiliari ha cantierato solamente in 5 anni 1684 alloggi in locazione”.
Inoltre, il disegno di legge prevede delle norme per favorire la vendita degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a prezzi legati al livello dei canoni corrisposti e con agevolazioni sui mutui. “L’ennesimo tentativo di dismissione generalizzata dell’Erp – sottolineano i sindacati inquilini – dopo il fallimento di tutti i propositi simili messi in atto dalla 560/93 in poi, denota come l’edilizia popolare sia considerata erroneamente un problema e non un’opportunità”. Infine, secondo Sicet, Sunia e Uniat “Va affrontato il problema degli ex Iacp, sia rispetto all’efficacia del modello di gestione, con particolare riferimento alla sostenibilità sociale ed economica, sia alla governance. Anche in questo caso l’occasione può essere rappresentata dalla riforma del titolo V della Carta Costituzionale per una giusta ed equilibrata collocazione delle competenze e della definizione dei livelli essenziali in materia di Erp”.
Stefano Salvetti, segretario genovese del Sicet, da trentanni attivo sul fronte del disagio abitativo, spiega: «Stiamo elaborando un documento che porteremo all’attenzione delle altre organizzazioni sindacali con l’intento di condividerlo. La premessa necessaria è la seguente: la riforma Bassanini ha messo tutto il carico dell’edilizia residenziale pubblica sulle spalle delle Regioni, ma oggi l’80% dei bilanci regionali è rappresentato dalle spese per la sanità ed il trasporto pubblico, mentre per le case popolari rimangono soltanto le briciole. Dunque, occorre ripensare l’organizzazione di livello regionale. Abbiamo chiesto un incontro all’assessore alle politiche abitative della Regione Liguria, Giovanni Boitano e anche al governatore Claudio Burlando che non ha ancora detto una parola sul tema». Per quanto concerne il livello centrale «Il primo principio della proposta che stiamo elaborando è la necessità di una legge quadro di indirizzo nazionale, che noi chiediamo da tempo e non è mai stata realizzata, con un finanziamento stabile per l’Erp. Invece, ormai da anni, in particolare da quando sono finiti i contributi Gescal (circa 3000 miliardi di vecchie lire all’anno provenienti dai lavoratori dipendenti), le case popolari ricevono soltanto dei finanziamenti a spot che ogni volta dobbiamo conquistarci con le unghie. Le Regioni, terminate le proprie risorse residue, oggi non hanno più finanziamenti dedicati ai piani Erp e da sole non saranno mai in condizione di affrontare questa importante partita». Secondo Salvetti «Spetta allo Stato determinare i livelli essenziali in materia di Erp da garantire su tutto il territorio. La definizione di alloggio sociale, soggetto a finanziamento pubblico, è fondamentale per indirizzare le risorse centrali. I pochissimi aiuti di Stato devono essere destinati esclusivamente all’Erp e non al social housing che non rappresenta una risposta per le fasce meno abbienti. Parliamo di progetti di cofinanziamento pubblico-privato, molti dei quali rimasti solo sulla carta. Con l’housing sociale gli affitti si attestano su circa 400-500 euro al mese più le spese di amministrazione. In Italia, invece, servono vere case popolari con affitti sui 100-150, massimo 200 euro al mese. Così sarebbe possibile aumentare il parco Erp disponibile, dapprima puntando sul recupero degli immobili e poi sulla trasformazione edilizia dell’esistente».
Il secondo principio della proposta del Sicet riguarda il modello di gestione degli alloggi pubblici. «In Italia occorrono dei criteri uniformi – spiega Salvetti – Attualmente, invece, a livello gestionale regna una gran confusione. Esistono aziende regionali, realtà che ancora hanno gli ex Iacp, chi mantiene la potestà in capo ai Comuni, ecc. Noi in generale proponiamo di costituire delle “agenzie pubbliche del welfare” con un amministratore unico. Ma soprattutto ci vuole un organo di sorveglianza esterno: un consiglio di indirizzo che assicuri la partecipazione di tutti i soggetti, Regione, Comune, sindacati inquilini, ecc., deputati a svolgere un ruolo di controllo delle azioni svolte e di verifica dei risultati ottenuti. Per la Liguria immaginiamo un’unica agenzia che si dirama in unità operative di decentramento, al posto delle odierne quattro aziende».
In merito alle misure previste dal Governo, il giudizio di Salvetti è sostanzialmente negativo: «I 400 milioni di euro per 12 mila alloggi da ristrutturare sono briciole. Nel piano di Renzi ci sono delle evidenti contraddizioni. Da un lato si destinano risorse al recupero degli immobili. Dall’altro si cerca di incentivare la vendita di alloggi. Ma in Italia non dobbiamo neppure ipotizzare di vendere le case popolari che già sono numericamente poche rispetto agli altri paesi europei. Con una percentuale pari al 4%, infatti, siamo la nazione con la minore quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica, a fronte del 36% dell’Olanda, del 22% del Regno Unito e del 20% della media comunitaria. Al contrario l’iniziativa privata ha continuato a proliferare senza dare alcuna risposta alle persone bisognose di un tetto».
Matteo Quadrone
Caro Sindaco,l’approvazione del Piano Casa va nella giusta dirzoiene. Considerato che l’emergenza abitativa e8 impellente provo a contribuire con un’idea realizzabile in tempi ristretti:Le case sfitte siano affittate a canone di locazione low cost , i proprietari siano garantiti econimicamente dal Comune (in sinergia economica con Regione e Governo) che se l’affittuario, per n. mesi e8 impossibilitato temporaneamente a pagare il canone di locazione mensile, a causa della perdita del posto di lavoro e motivazioni assimilabili, il Comune anticipere0 gli importi al proprietario dell’immobile e successivamente chiedere0 all’affituario la restituzione della somma erogata, offrendo la possibilite0 di dilazionare l’importo. Inoltre, risorse permettendo, il Comune potrebbe applicare uno sconto ICI ai titolari dell’immobile. Magari si potrebbe iniziare con le fasce sociali pif9 deboli, visto il periodo di crisi internazionale. Un caro saluto