Uscire dall’euro per l'Italia significherebbe creare una moneta allo scopo di svalutarla: «Qualcosa che non è mai avvenuto nella storia», dice l'economista Varoufakis
2001 Odissea nello Spazio, 2012 Fuga dall’Euro, 2013 Odissea nello Spazio atto II. In questo mondo occidentale sempre più afflitto dal relativismo, fa un certo effetto pensare e soprattutto dover constatare che esistano rapporti indissolubili, come il Trattato UE che disciplina l’Euro.
Soprattutto per noi italiani che , invece di assumere Roma come modello di riferimento da un punto di vista del diritto e delle istituzioni, abbiamo sempre prediletto il trasformismo e la dialettica fine a se stessa di tradizione greca e che abbiamo vissuto da secoli nell’illusione del motto “fatta la legge trovato l’inganno”. E invece questa volta l’inganno proprio non si trova per quanto ci si sforzi di girare e rigirare la norma di riferimento…
E allora si comincia a battere i piedi come fanno i bambini piccoli quando la mamma toglie loro il giocattolo perché non hanno ubbidito; “ mamma cattiva!”; uscendo dalla parafrasi oggi l’Italia vorrebbe indietro la sua sovranità monetaria, con cui inondare il Paese di lirette per pagare spese, come sempre fuori controllo e spesso senza senso, e da utilizzare proficuamente per svalutare il tasso di cambio e ricominciare a esportare negli altri Paesi… Altrimenti mamma Merkel è cattiva , per non dire di peggio.
PENSIERO DEBOLE
Chi sostiene che la soluzione dei nostri mali sarebbe tornare alla lira e stampare moneta per poi usare il trucchetto della svalutazione è afflitto come minimo da carenza di visione futura e di conoscenza delle dinamiche economiche passate e presenti. La carenza di visione si poggia su un ragionamento molto chiaro, che ha fatto di recente un economista direttamente toccato dai fatti e cioè il greco Yani Varoufakis: «L’assenza di una clausola del Trattato o procedura istituzionale per uscire dalla zona euro ha una logica ferrea: tutto il senso della creazione della moneta unica era far impressione sui mercati, far capire loro che si trattava di un’unione permanente così solida, che chiunque avesse l’ardire di puntare contro la sua solidità sarebbe incorso in gravi perdite. Una sola uscita dall’euro basterebbe ad aprire una frattura in questa percezione di solidità. Sarebbe come una sottile linea di frattura in una diga possente, l’uscita della Grecia inevitabilmente porterebbe al collasso dell’edificio sotto forze inarrestabili di disintegrazione. Appena la Grecia fosse spinta fuori, due cose accadranno: una massiccia fuga di capitali da Dublino, Lisbona, Madrid, eccetera, a cui seguirà la nota avversione della BCE e di Berlino ad autorizzare la fornitura di liquidità illimitata a banche e Stati. Questo significherà la bancarotta immediata di interi sistemi bancari e di alcuni stati più indebitati, come Spagna e Italia. A quel punto, la Germania si troverà di fronte all’orribile dilemma: danneggiare la solvibilità dello Stato tedesco impegnando i trilioni necessari al compito di salvare quel che resta dell’Eurozona, oppure tirarsi indietro (lasciando l’eurozona). Non ho dubbi che sceglierà la seconda opzione. E siccome questo significherà stracciare una quantità di trattati UE e accordi (compreso quello relativo alla BCE), l’Unione Europea di fatto cesserà di esistere con conseguenze non ipotizzabili».
Il Trattato Ue non prevedeva way out perché il percorso verso l’Unione economica di molti Paesi, con situazioni economiche non omogenee e modalità gestionali differenti, non poteva essere una passeggiata e bisognava impegnarsi seriamente per rispettare il percorso di convergenza, stabilito da parametri condivisi. Nessun Paese è stato costretto a firmare il patto, neppure l’Italia, ma una volta firmato l’Accordo per il bene di tutti non si poteva più uscire: trattavasi di matrimonio indissolubile, come tendenzialmente era una volta quello celebrato in chiesa.
Una volta si diceva che nei matrimoni si poteva essere più o meno felici, ma era comunque per sempre; l’avvento del divorzio ha portato ancora più infelicità e soprattutto una instabilità sociale molto grave; lo stesso accadrebbe per l’uscita dall’Euro.
Così doveva essere l’Euro e la forza iniziale del suo progetto stava proprio nella capacità di convincere i mercati che ob torto collo e con non poche pressioni i Paesi disallineati (tra cui l’Italia) un po’ alla volta si sarebbero messi al passo di quelli più virtuosi e insieme avrebbero potuto costituire un forte e coeso polo economico in grado di contrastare la potenza degli USA ma ancor più di quei paesi emergenti come Cina, India e in parte Russia e Brasile.
Quattordici anni fa quando è partito il primo step del progetto Euro conclusosi nel 2002 con lo stralcio delle valute nazionali, l’Europa era una importante potenza industriale e l’Italia era al secondo posto dopo la Germania; il progetto a medio termine era stato considerato a buon diritto di fondamentale importanza per il nostro Paese.
Non per tutti fu così, infatti dal progetto Euro non a caso è rimasta fuori l’UK, perché poco interessata al progetto di rafforzamento dell’economia reale e produttiva e quindi conscia che i vincoli imposti dal Trattato sarebbero stati troppo onerosi per la sua economia, già indirizzata prevalentemente al settore finanziario e troppo dipendente dal mantenimento della sovranità monetaria della Banca d’Inghilterra, sulla falsariga dei loro cugini americani.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Con il senno di poi molti potrebbero dire che lor hanno fatto bene e noi abbiamo fatto una sciocchezza perché nell’euro, così mal combinati, non possiamo vivere, ma nemmeno a questo punto si può uscire. In passato altri paesi in crisi, come l’Argentina, hanno potuto svalutare perchè avevano la loro moneta. Grecia, Spagna e Italia non hanno più una moneta: uscire dall’euro, significherebbe per loro creare una moneta allo scopo di svalutarla: «Qualcosa che non è mai avvenuto nella storia», dice sempre Varoufakis. Il potere d’acquisto di una simile neo-moneta precipiterebbe a razzo nel regno dell’infinitamente piccolo, provocando un’iper-inflazione mai vista.
E la morte per fame della popolazione.
Quello che mi riesce difficile accettare è che tutti oggi dicono quanto è duro stare nell’euro (ed è un dato di fatto), ma si dimenticano di quanti vantaggi abbiamo avuto come Paese in questi anni con la possibilità di ottenere credito a tassi minimi proprio perché facevamo parte del progetto euro; ma questo bonus pluriennale fornito dall’Euro come lo hanno gestito i nostri governanti?
Al solito come le famose cicale di La Fontaine: hanno fatto dilatare a dismisura il debito pubblico che oggi ammonta a 2.000 mld e che era 1.373 mld nel gennaio del 2002, finanziando spesa pubblica improduttiva, senza investire sullo sviluppo e non attuando le riforme strutturali piu’ volte chieste dall’UE, per consentire un effettivo allineamento dei parametri di Maastricht.
E ai richiami dell’Ue cosa è stato risposto? Che erano dei rompiscatole burocrati e che non capivano la peculiarità del nostro essere italiani, che siamo fantasiosi e liberi di pensiero; per cui mentre gli altri Paesi controllavano efficacemente la loro tabella di marcia e apportavano, ove necessario, i giusti correttivi (come la Germania nel 2006-2007), noi ce ne stropicciavamo allegramente, raccontando frottole, facendo manovre finanziarie del tutto diseducative e senza reali contenuti strutturali e invocando lo stellone italico.
IL FUTURO
Bisogna smetterla di piangerci addosso dicendo che Tizio è cattivo, Caio non capisce e che Sempronio ha fatto male, che il progetto Euro era sbagliato perché una moneta senza una nazione è una contraddizione in terminis e una moneta senza una banca centrale è come l’attinia senza il suo paguro, e fare tesoro dei gravi errori commessi dai nostri governanti in questi dieci anni per individuare un percorso che oggettivamente innovi rispetto a quanto fatto male o non fatto e che riporti al centro del dibattito politico e dell’agenda economica un recupero di credibilità, che passa dal verificare cosa è realisticamente possibile attuare e poi porlo in essere, senza i soliti alibi italici dei se e dei ma….
Per farlo dobbiamo cambiare la classe politica, perché questa che abbiamoè totalmente inaffidabile come dimostrano anche i recenti avvenimenti sulla cancellazione della norma sulla riduzione dei parlamentari. E dobbiamo farlo in fretta perché non si può poi dare la colpa ad un governo tecnico se non si riesce a mantenere la rotta prevista e a rispettare gli impegni, quando la colpa è di un gruppo di persone totalmente autoreferenziali e scollegate dalla realtà del Paese, che pensano unicamente al loro tornaconto personale e che appoggiandosi al populismo esasperato ed esasperante con cui hanno mantenuto il potere, adesso, dopo i disastri compiuti, ci vengono a dire che la salvezza è il ritorno alla lira e alla tanta agognata superinflazione e svalutazione del tasso di cambio.
Ma vergognatevi, persino la tanto vituperata Grecia di fronte al baratro dell’uscita dall’euro, peraltro molto simulata e discussa a tavolino, ha dimostrato più maturità! Questi discorsi da bar dello sport, che determinano immediatamente perdita di credibilità e la salita dello spread, costano molti soldi agli Italiani che hanno un debito pubblico mostruoso; la salita di soli 50 punti dello spread (0,5%) vuol dire in ragione d’anno 10 miliardi di euro di interessi in più, che finirebbero sulle spalle dei cittadini.
Sarebbe giusto far pagare il conto a chi dice stupidaggini di questo tipo e che, invece di fare autocritica e approfondire gli argomenti, finirà per dare il colpo di grazia a questo Paese di agnelli sacrificali, che si convincerà dell’ultima menzogna invece di rendersi conto che in questo mondo modello villaggio globale sopravviverà solo chi sarà capace di progettare a medio termine e di confrontarsi con i migliori su basi di serietà e competenza e non chi percorrerà la strada di tornare piccolo e ininfluente, sperando che gli venga concesso di fare in segreto i suoi trucchi delle tre tavolette.
L’Italia è stata definita il “bel Paese”, ma avrebbe ancora la possibilità di essere un “grande Paese”, ma deve attuare in tempi brevi un netto cambio culturale e abbandonare la logica dei trucchi da imbonitori da strada e illusionisti di quartiere e tirare fuori le qualità, che nonostante una classe politica del tutto inadeguata l’hanno resa famosa in tutto il mondo e che stavolta devono essere messe a disposizione del Bene Comune e non solo del patrimonio personale.
Maurizio Astuni
[foto di Daniele Orlandi]