Nel 2014 scadrà il mandato per la casa di quartiere GhettUp nella zona del "ghetto" nel cuore del centro storico. La testimonianza del coordinatore di GhettupTv Gianfranco Pangrazio: quali sono le prospettive future?
Inaugurata ufficialmente il 24 febbraio 2011 e già attiva dal 2010, la casa di quartiere GhettUp di Vico Croce Bianca 7-11r, è ormai vicina al quarto compleanno. Nata come progetto sociale in aiuto degli immigrati e dei soggetti che vivono disagi, la casa di quartiere è stata fondata grazie alla sinergia di vari soggetti, capofila la Comunità di San Benedetto al Porto: non a caso, la casa di quartiere era stata inaugurata e fortemente voluta dallo stesso Don Gallo. Insediatasi nel cuore del ghetto, tra Vico della Croce Bianca e Via del Campo, la casa era una delle cinque azioni previste da un “contratto di quartiere” messo a punto dalla Civica Amministrazione e poi affidata a seguito di promulgazione di bando pubblico, a una rete di associazioni virtuose e attive sul territorio. Il tutto, con la durata prevista di 4 anni. L’idea di inserire la casa nella zona del ghetto non era affatto casuale: A.R.R.E.D. Spa (agenzia per il recupero edilizio a partecipazione comunale e dell’immobialiare Ri.GeNova per il supporto a interventi nel settore del recupero edilizio) aveva individuato l’area urbana densa di problematiche e l’aveva proposta per il recupero mediante realizzazione di interventi urbanistici e architettonici.
Per l’avvio del progetto, all’epoca vari soggetti si erano attivati per elargire sovvenzioni: nel 2010 erano stati stanziati 7 milioni di euro dal Ministero delle Infrastrutture, mentre i locali di Vico della Croce Bianca erano stati concessi in locazione dall’immobiliare pubblica Ri.GeNova srl con servizi, sviluppati soprattutto a favore degli immigrati. Non erano mancati anche aiuti dall’Amministrazione, che sin dal primo momento ha creduto molto nel progetto: come da accordi, sono arrivati finanziamenti per i primi due anni, mentre gli altri due sarebbero dovuti essere a carico delle associazioni e di altri eventuali finanziatori privati. Restava valido lo sgravio del canone di locazione.
Trattandosi di un bando a scadenza quadriennale, il progetto GhettUp sta per volgere al termine. Nella primavera 2014 scadrà il mandato delle associazioni che oggi hanno in gestione la casa di quartiere e, nonostante le sollecitazioni, non si sa ancora quale sia la volontà dell’Amministrazione: rifinanziare il progetto, emettere un nuovo bando, ripensare in qualche modo il futuro di GhettUp, o lasciare cadere tutto nel nulla. Da parte delle associazioni, la speranza è quella di poter proseguire con un progetto che è costato impegno e fatica e che ha visto i volontari investire anima e corpo. Siamo andati nel ghetto e abbiamo intervistato Gianfranco Pangrazio dell’Associazione Leonardi V-Idea e coordinatore del comitato di redazione di GhettUp Tv.
Che cos’è GhettUp e cosa ha fatto in questi anni per il ghetto?
«È una casa di quartiere, un luogo aperto a chiunque: migranti, profughi, persone di ogni età che vivono disagi legati all’emigrazione o all’emarginazione di ogni tipo si rivolgono a noi per risolvere problemi burocratici e legali, o anche solo per una chiacchierata, per momenti di gioco e doposcuola. È come un contenitore con dentro varie cose: sono cinque i progetti totali cui abbiamo dato vita in questi anni e di cui possono fruire non solo gli abitanti del ghetto ma tutta la città, anche allo scopo di aprire il quartiere verso l’esterno e farlo conoscere alla gente. In primis, abbiamo creato GhettUp Tv, esperienza autogestita che parte dal basso che per ora trasmette via web: un modo per mettere il mezzo a disposizione delle persone, insegnando i linguaggi e le tecniche di utilizzo degli strumenti di ripresa e organizzando vari laboratori per la documentazione. In questo modo, vogliamo che la città (di tutti) si racconti in tutte le sue forme.
Inoltre, è attivo anche un corso di alfabetizzazione per immigrati, organizzato dall’Associazione Il Ce.Sto; un punto per la consulenza legale attivato dalla Comunità di San Benedetto; corsi di pittura dell’Ass. San Marcellino. Inoltre, in questi locali si riuniscono anche un comitato di quartiere e un centro ecologico per la messa a punto degli interventi da attuare nella zona, come lavori di pulizia e misure igieniche contro la proliferazione di topi e piccioni: si potrebbe pensare che si tratta di un problema comune a molte aree del centro storico, ma qui la situazione è aggravata dal fatto che anni fa erano stati condotti dall’Amministrazione dei lavori di scavo e ristrutturazione del manto stradale, che hanno portato in luce tane di topi. Non da ultimo, GhettUp ospita anche l’Associazione Princesa per i diritti dei transgender e contro l’omofobia, fondata nel 2009 da Don Gallo e dalla Comunità di San Benedetto: il tutto, per favorire la sensibilità sotto il profilo socio-politico, oltre che umano, e per creare momenti di incontro, conviviali e di confronto, nel quartiere. Le trans che lavorano qui sono solite riunirsi nella piazza senza nome del quartiere e che è conosciuta da tutti come Piazza Princesa, ma che presto verrà intitolata a Don Andrea Gallo».
Il ghetto: che quartiere era e come è cambiato con l’arrivo di GhettUp?
«Il ghetto è una zona particolare, come un’”enclave” esclusa dai normali transiti del centro. È una casa a cielo aperto, in cui tutti si conoscono: non immune da problematiche e conflitti, è anche un luogo di scambio di idee e di confronto. Non a caso, proprio nel 1600 l’antico ghetto ebraico è venuto a costituirsi qui e non a caso qui da decenni lavorano le trans (di cui solo una, Ulla, abita nel ghetto, mentre le altre non vogliono vivere qui). Esemplare, a tale proposito, il caso di Princesa: da quando siamo qui nel ghetto, le stesse trans collaborano con GhettUp, dando una mano agli immigrati, creando contatti, portando da noi persone in difficoltà (da ultimo un 15enne senegalese scappato da Bergamo): da parte loro non si tratta di “tolleranza” o filantropia imposte, ma di un esempio di solidarietà vera e pregnante, che deriva da una condizione di vita vissuta. Prima quartiere tristemente famoso per il degrado, la delinquenza e l’attività di spaccio di droga, oggi le condizioni di salute del ghetto sembrano notevolmente migliorate: grazie a GhettUp, che con le sue attività ha creato aggregazione e occupazione per le persone con varie problematiche, e ha svolto attività di presidio sul territorio contro la delinquenza, troppo lontana dagli occhi dell’Amministrazione, spesso non curante. Il tutto è stato possibile anche grazie alla sinergia con altri soggetti del quartiere, come la moschea Khald Ibn Alwalid, sensibile e operativa, e con l’introduzione di negozi vari, come il centro stampa di “Piazza Princesa”».
Quali sono le previsioni per il futuro di GhettUp e nello specifico di GhettUp Tv?
«Nel 2014 scadrà il mandato della rete di associazioni, così come previsto dal bando promulgato dal Comune di Genova. GhettUp è nata nell’ambito del “contratto di quartiere”, che ora non esiste più, allo scopo di mettere a punto 5 progetti di recupero della zona. All’inizio, erano state avviate più iniziative rispetto a quelle che ci sono ora: anche uno sportello del cittadino (oggi solo a livello informale e di accoglienza), corsi per minori, ecc. Il progetto ha generato grandi entusiasmi, tanto che altre associazioni, oltre a quelle della rete originaria, si sono accodate e sono diventate partner. Oggi è venuto a crearsi un circolo virtuoso tra singole persone, con contributi significativi per la rinascita del ghetto: vogliamo che il quartiere torni ad alzare la testa. Tuttavia, adesso sembra si sia giunti a uno stop inderogabile: abbiamo provato a contattare l’Amministrazione per sapere se il nostro mandato verrà prolungato o se ci sono proposte per il ripensamento di GhettUp in altre forme, in modo da farlo proseguire, ma non abbiamo risposte. Noi di GhettUp Tv ci siamo confrontati con una giunta “autistica”, incapace di comunicare, evasiva e non in grado di ripensare le cose. Per quanto riguarda la nostra tv, in particolare, il Comune ha messo a disposizione i primi due anni 12mila euro totali per l’acquisto di attrezzature varie, mentre non siamo stati sovvenzionati in seguito, come da accordi. Tuttavia, siamo riusciti ad andare avanti, e bene: testimonianza del fatto che per sopravvivere non abbiamo bisogno di molto. Come tv, siamo molto radicati: siamo in circa 6/7 persone e nessuno di noi riesce a portare a casa uno stipendio a fine mese, ma abbiamo messo il cuore in questo progetto e non intendiamo abbandonarlo, tanto che prima di arrenderci all’inevitabile siamo disposti a mettere in atto una “occupazione pacifica”. Lavoriamo sotto le soglie del volontariato, speriamo che la scadenza del mandato sarà l’occasione per l’afflusso di finanziamenti privati che ci permettano di proseguire in questo lavoro, che per noi è soprattutto un “impegno morale”».
Elettra Antognetti
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