Fondendo la passione per l'arte a quella per la propria città, Giulio Centanaro unisce al suo lavoro come artista la collaborazione col Comune per riqualificare spazi pubblici
Nicolino Giulio Centanaro, in arte Giuliogol, classe ’68, è un artista, un writer genovese. Nutrendo una passione sconfinata per l’arte di strada, ha perfezionato la sua formazione attraverso corsi specifici di aerografia e pittura ad olio. Nel 2009 per la Galleria Rotta Farinelli ha realizzato la decorazione a graffito di una parete della nave MSC Splendida. Dallo stesso anno collabora col Municipio VII del Ponente per opere di riqualificazione attraverso graffiti legali.
Ricopre la figura di responsabile arti grafiche per l’Associazione Mare di Note e porta avanti collaborazioni con altre associazioni e manifestazioni artistiche ponentine (Ass. Ponente che Balla, Ex-Melle Artisti di Strada, Sestri come MontMartre). Attualmente è in allestimento una sua personale presso l’Associazione Culturale Cartiera 41.
Come hai cominciato a fare il writer e quando?
«Il writer lo si comincia a fare per strada, da ragazzino, si inizia con la tag, quella firma che agli occhi di molti è una bruttura. Poi la cosa si evolve in disegno, in grafica, in messaggio. Per me è stato così. Un modo per sentire di esserci e fare parte di un qualcosa, un modo per dire “io sono passato di qui e ho lasciato un segno del mio passaggio”. La voglia di opporsi all’autorità, il gusto di fare una cosa vietata, che non si deve fare. Keith Haring (il primo writer americano a diventare famoso, n.d.r.) ha iniziato per strada, e nonostante il successo planetario ha continuato a lasciare la sua firma per strada, Londra, Tokyo o dovunque andasse».
Tu sei arrivato a decorare gli interni di una nave da crociera.
«Sono stato contattato tramite la Galleria Rotta. Su questa nave, al piano della sala giochi, si è voluto riprodurre l’ambiente di strada, ricoprendo le pareti di ondulato e decorando coi graffiti; inizialmente, dato lo spazio comunque formale della nave, ritenevo di dover essere molto preciso nei disegni, ma mi è stato invece richiesto espressamente di lasciarmi andare, addirittura di fare graffiti un po’storti, un po’ colati, proprio come in strada».
Ben lontano dalla figura archetipica del writer che gira di notte disegnando su muri e vagoni dei treni, zaino pieno di bombolette e cappuccio fin sulla fronte.
«Invecchiando ho iniziato a ragionare sul graffito legale, anche perché ormai la società si è abituata ai graffiti, piacciono. Fare tutto alla luce del giorno, mostrare il proprio lavoro permette di farsi pubblicità, e poi magari ricevere committenze, ed essere pagati per quelle. Qualcuno può apprezzare quello che hai fatto e ingaggiarti per decorare una saracinesca o un interno. Andare di notte significa invece pagare di tasca propria tutto il materiale e rischiare migliaia di euro di multa, per non dire del fatto che la visibilità del proprio lavoro rimane molto limitata. Certo, può essere visto come uscire dal concetto originario del writer e vendersi, ma secondo me è indispensabile un’evoluzione in questo ambito, perché non puoi continuare per sempre a farlo illegalmente, di notte, non ti porta da nessuna parte. Da giovane non ragionavo così, è ovvio, ma vorrei che i ragazzi imparassero questo atteggiamento per avere poi delle possibilità in futuro, per non restare ancorati per sempre a quelle figura. Non puoi a cinquant’anni andare a fare la scritta e scappare».
Questo approccio ti ha portato al punto d’arrivo del graffito legale, la collaborazione col Comune.
«Abbiamo lavorato per riqualificare il muro di un bar sulla passeggiata di Voltri, proprio sulla spiaggia, che era stato imbrattato con delle scritte. Per dare vita a questo progetto ho preso contatto con l’assessore Morlé e ho proposto di dipingere il muro. La parte più in vista, quella visibile dalla passeggiata, è di 16 metri quadri, ma fa angolo con ben altri 80 metri quadrati che danno sulla spiaggia, anche questi imbrattati. Il Comune ha preso in carico il costo del materiale necessario al lavoro. Ho preso una crew (“FNT”, Fusi nella testa) di ragazzini, tutti minorenni, che andavano di notte a scrivere, e ho dato loro la possibilità di fare quello che amano in modo legale e utile alla comunità; ho preparato loro il fondo (la stesura di fondo sul muro che deve essere dipinto, n.d.r.), abbiamo fatto lo studio per il disegno da realizzare. Sul muro principale ho realizzato il Nettuno (che, prendendo forma dall’unione delle onde, arriva dal mare dirigendosi verso lo spettatore, n.d.r.), sul resto ho fatto lavorare i ragazzi: ho cercato di far loro capire che al giorno d’oggi la possibilità di un graffitismo legale esiste. Sono stati contentissimi di questa esperienza, mi chiedono sempre di fare qualcos’altro».
La collaborazione col Comune si è estesa anche ad altre occasioni.
«Per l’esempio che ti ho raccontato la proposta è partita da me, poi mi hanno cercato loro per un progetto, che spero di portare avanti, riguardo un muro al CEP, anche quello tutto imbrattato. Chiamare una ditta a imbiancarlo comporta una grossa spesa per avere comunque un risultato triste e uniforme, e il giorno dopo le tag sono di nuovo lì. Chiamare dei ragazzi invece significa dare una possibilità e far fare qualcosa di bello, un disegno che piace, come il muro della passeggiata che è piaciuto molto».
Tu lavori su superfici molto ampie ma anche su quelle davvero piccole, come per esempio i termosifoni (oltre alle tele e agli oggetti più disparati, dalle uova di struzzo alle aerografie sulle Vespe).
«Di certo mi trovo meglio sulle grandi superfici perché mi sento più libero, lì posso anche fare l’errore, che comunque riesco ad aggiustare con più facilità perché resta piccolo rispetto alla dimensione della superficie, e poi ho la possibilità di metterci più cose, dare più significato e lasciarmi andare un po’ di più. Gli oggetti piccoli mi piacciono invece per un altro motivo, perché lì si vede la professionalità, ci vuole molta precisione nel piccolo e riuscire mi dà molta soddisfazione. Quindi alla fine sono due situazioni diverse che mi piacciono in maniera differente».
Tecniche preferite.
«Secondo me l’arte va vissuta a 360 gradi. Abbiamo la possibilità, anche grazie al computer, di raggiungere qualsiasi risultato, quindi perché non spaziare il più possibile? Io uso pittura a olio, aerografo, matita, carboncino, papiér collé… più tecniche uso e più mi sento completo. La tecnica con cui mi sento più a mio agio è l’aerografia sicuramente, la uso da vent’anni e trovo l’aerografo uno strumento eccezionale, è veloce e permette di ottenere in cinque minuti delle sfumature che a olio richiedono una giornata, e poi si avvicina molto alla street art, è come avere in mano una minibomboletta. Le mie preferenze vanno anche a periodi. A volte faccio tutto a colori, altre in bianco e nero, magari mi fermo e aspetto, poi faccio del dripping. Sicuramente ho degli artisti di riferimento, ad esempio Picasso, i surrealisti, Keith Haring, Jean Michel Basquiat… ma l’arte è bella tutta».
Qual è il messaggio più importante che vorresti arrivasse alle persone che guardano le tue opere? Sul tuo sito si legge “amore per la nostra città e voglie di rendere migliore il grigio urbano”.
«Già. Un muro grigio chiude, un muro colorato dà la possibilità di pensare, di sognare. La fantasia è importante, se le mettiamo le catene la vita diventa più triste».
I lavori di Giuliogol restano in esposizione negli spazi di Cartiera 41 fino al 31 ottobre. Per qualsiasi informazione a proposito e per vedere la mostra fare riferimento agli orari di apertura dell’Associazione come riportati sul sito cartiera41.it.
Claudia Baghino
[Foto e video Daniele Orlandi]