Con il fallimento del colosso coreano, si è aperto il vaso di pandora del commercio mondiale. Una crisi dagli esiti incerti, che parte da lontano ma che tocca Genova da molto vicino, mettendo in crisi tutta la filiera dello shipping e i progetti infrastrutturali del porto
La settimana scorsa, due navi della compagnia sudcoreana Hanjin Shipping, dirette a Genova, sono state costrette a cambiare rotta, direzione porto di Valencia, Spagna. Attraccare nel porto ligure, infatti, ad oggi metterebbe la merce a rischio sequestro, per conto dei creditori di Hanjin, nell’attesa che la Corte d’Appello di Genova si pronunci sulla richiesta di protezione dei container presentata da Hanjin Italy, la controllata nostrana della multinazionale coreana. La sentenza è attesa per il 18 ottobre.
All’origine di questa impasse, la bancarotta di Hanjin, che a fine agosto ha dichiarato fallimento, lasciando in mare una novantina di navi cariche di container; un tonfo fragoroso e impattante, ma non imprevedibile: da anni, infatti, i bilanci del colosso coreano sono in rosso, come molte altre aziende globali del settore. «Da circa un anno molte compagnie imbarcano container in perdita – spiega Nicola Capuzzo, giornalista genovese collaboratore di “MilanoFinanza”, esperto di economia marittima – e studi di settore parlano per quest’anno di diversi miliardi di dollari di perdite nei bilanci aggregati dei carries globali». Il caso Hanjin quindi non era del tutto inaspettto, anche se si pensava che il vettore fosse in qualche modo tra i too big to fail «cioè quelle aziende che non vengono fatte fallire per le potenziali conseguenze su mercato e occupazione. In questo caso, però il governo coreano che controlla la Korea Development Bank, il maggior creditore di Hanjin, ha deciso di fatto di far fallire la multinazionale, creando un precedente preoccupante per il settore».
Un settore, quello dello shipping, che sta facendo i conti con il cosiddetto “eccesso di stiva“, cioè troppo posto sulle navi in confronto alla domanda di trasporto. Un contesto che si è venuto a creare negli ultimi anni con la corsa al “gigantismo navale“, cioè alla costruzione di mega navi, con una capacità di carico tale da abbattere i costi, moltiplicando i ricavi per gli armatori. Secondo le stime dell’International Transport Forum, negli ultimi cinque anni la flotta mondiale per il trasporto merci è cresciuta del 37%, contro una crescita del Pil mondiale annua del 2%. Secondo alcuni studiosi del settore, come Sergio Bologna, si tratta di una bolla speculativa: a livello mondiale molti istituti creditizi sono stati assorbiti da banche pubbliche, soprattutto cinesi, che, con il vantaggio di finanziare la propria cantieristica, hanno investito in navi, che sempre più sono considerate veri e propri asset finanziari, facendo in questo modo indebitare le compagnie: «Questa bolla probabilmente sta incominciando a scoppiare – sottolinea Capuzzo – è farà molte “vittime”».
Le vittime di questa bolla, al momento, sono i 90 dipendenti genovesi di Hanjin Italia, attualmente in liquidazione, che dal giorno alla notte hanno perso il lavoro; i sindacati di settore si sono subito mossi per spingere le istituzioni locali a fare qualcosa, ma tutto il comparto marittimo è in sofferenza: «Quasi tutti i settori di business dello shipping al momento stanno andando male – spiega Nicola Capuzzo – armatori, agenzie marittime e spedizionieri sono tutti in sofferenza; il rischio è quello di accorpamenti e realtivi esuberi: se si parla di posti di lavoro, infatti, due più due non fa mai quattro, ma più spesso tre. Per esempio, nei prossimi mesi ci sarà la fusione tra le compagnie marittime Uasc e Hapag-Llyod, che sicuramente porterà tagli al personale.»
Un’altra questione è quella legata alle infrastrutture necessarie per ricevere le “mega navi”: «Genova, che è il primo porto d’Italia, ad oggi può già ricevere queste navi, così come La Spezia e come nel 2018 lo potrà fare Savona – continua Capuzzo – e in questo modo l’area portuale nord tirrenica è ampiamente coperta. Nei prossimi mesi, però, anche Livorno aprirà banchine pensate per le navi di ultima generazione, ma quattro porti “concorrenti” iniziano ad essere un po’ troppi». Quello che è mancato è un coordinamento nazionale sulla gestione della portualità «ed è quello che sta mancando anche adesso a Genova, con un commissario come Presidente dell’Autorità Portuale che non può far altro che l’ordinaria amministrazione, mentre sarebbe necessaria una gestione anche manageriale che sappia interpretare il contesto mondiale, nazionale e cittadino del settore». Una figura chiave che manca proprio in un momento così delicato per il porto di Genova: sul tavolo, infatti, come è noto ci sono molti progetti, tra l’allargamento a ponente, il Blueprint con l’ampliamento dei cantieri navali e i riempimenti con le terre di scavo di Terzo Valico e Gronda; tutto ciò mentre sta scoppiando una crisi globale di settore le cui conseguenze, ancora incerte, si faranno sentire sicuramente anche a Genova.
Nel frattempo i container destinati al mercato italiano sono ancora bloccati sulle navi coreane: si calcola che il valore della merce ancora “alla deriva” in mare sia di circa trecento milioni di euro, tra prodotti finiti e semi lavorati. I contenziosi per i risarcimenti saranno numerosi e con esiti imprevedibili. Quello a cui stiamo assistendo oggi, forse è solo l’inizio di un ulteriore “corollario” della crisi sistemica che sta falcidiando imprese e posti di lavoro oramai da anni. Genova, con lentezza e molti passi falsi, da decenni sta cercando un nuovo assetto economico: nel frattempo, però, il mondo è andato avanti, e molti “nostri” progetti sono già vecchi. Forse sarebbe il caso di fermarsi, respirare, e provare a pensare a come valorizzare quanto già in essere, abbandonando i rami destinati a seccare e cercando di avere la lungimiranza di non inseguire le bizze di un mercato instabile, che non fa sconti a nessuno. Nemmeno alla Superba.
Nicola Giordanella