Da una lunga chiacchierata con l’epidemiologo dell’ospedale San Martino di Genova, Valerio Gennaro, emerge la difficoltà di mettere in relazione diretta le fonti di inquinamento con le possibili malattie indotte dalla respirazione di aria sporca. Quello che è certo è che le analisi matematiche non bastano: bisogna osservare le peculiarità del territorio
Chi avesse seguito per intero la nostra inchiesta sulla qualità dell’aria a Genova, dovrebbe ormai avere piuttosto chiaro che non tutto quello che entra ogni giorno nei nostri polmoni è pienamente salutare. La difficoltà di trovare misure efficaci di mitigazione che sta incontrando l’amministrazione a causa delle molteplici fonti di inquinamento che devono, per forza di cose, essere trattate come un insieme di fattori e non come cause singole e a sé stanti, è acuita anche dalla sostanziale impossibilità di trovare analisi e dati chiarificatori di una diretta relazione tra inquinamento e salute. È questa la triste sintesi di una chiacchierata che Era Superba ha fatto con Valerio Gennaro, noto dirigente medico di Epidemiologia clinica presso l’IRCCS-San Martino, cercando di fare chiarezza sull’azione che gli inquinanti hanno sulla nostra salute e quanto lo studio epidemiologico possa aiutare a capire come intervenire. Non valgono assolutismi quando si tratta di malattie e cause inquinanti: le patologie derivate dall’inquinamento dell’aria sono diverse, largamente sovrapponibili e non riguardano solo tumori o malattie dell’apparato respiratorio.
A poco o nulla, allora, serve sapere che, secondo i dati presenti sul sito di Ars Liguria (l’agenzia regionale sanitaria), l’Asl 3 Genovese nel periodo 2010-2012 è stata la realtà territoriale ligure con l’indice più alto di mortalità sia per tumori (172,6 persone ogni 100 mila residenti) sia per malattie cardiocircolatorie (154,4 persone ogni 100 mila residenti). Questo dato, peraltro, non risulta conforme con quanto annunciato dalla Regione Liguria nel corso della presentazione del nuovo Libro bianco della sanità, in cui si è parlato di una mortalità per tumori pari a 26,7 persone ogni 10 mila abitanti su scala regionale e 28,3 per malattie dell’apparato cardiocircolatorio.
Anche se non esistesse questa confusione di dati e analisi, non sarebbe comunque possibile determinare con certezza assoluta il numero di malati o morti causati dall’inquinamento dell’aria. Ma è possibile almeno farsi un’idea abbastanza precisa di quanto è successo e di cosa succederà quando si oltrepassano certi valori di inquinamento, studiando i dati ambientali e sanitari. Secondo quanto ci spiega il dottor Gennaro, «è utilissimo analizzare i diversi gruppi di popolazione a rischio in base alla tipologia ma anche al luogo di vita, di residenza e di lavoro. Potrebbero emergere chiari indicatori della correlazione fra inquinamento e salute. Per semplificare dovremmo chiederci due cose: vicino al porto o ad altre possibili fonti di inquinamento, ci sono eccessi di malati? E poi, quegli eccessi sono attribuibili a quelle fonti di inquinamento? Ma anche, che inquinamento c’è stato e c’è tuttora? Naturalmente dovremmo evitare il grande errore di ritenere che l’inquinamento sia costituito da “un solo composto” più o meno cancerogeno, esaminare una sola malattia e non stimare l’interazione di più sostanze, magari nella popolazione più fragile e/o esposta».
In generale, possiamo dire che l’inquinamento atmosferico agisce sulle patologie respiratorie, su asma, polmonite, sulle patologie cardiovascolari, infarto, ictus, aritmie cardiache. Ci sono poi da considerare gli effetti che già influiscono prima della nascita o addirittura prima del concepimento. «Nella nostra realtà quotidiana, gruppi di persone totalmente non inquinati non esistono più – racconta Gennaro – ma un gruppo può essere inquinato 10 volte meno di un altro».
Dall’analisi dei dati europei emerge un’Italia in cui in 10 anni la prospettiva di vita sana è calata drasticamente e ha raggiunto la parità dei sessi. «I dati Eurostat – evidenzia l’epidemiologo – raccontano una durata di vita sana più corta, dai 68/70 anni del 2004 in media ai 61/60 del 2013». In altre parole, il momento in cui ci si ammala di una patologia cronica avviene sempre prima e con sempre meno differenza di genere. «Basterebbero questi numeri da studiare – sostiene Gennaro – per capire dove e come rispondere all’inquinamento dell’aria».
Ma allora perché non esistono studi approfonditi o, quantomeno, non sono così conosciuti? Da quello che ci spiega la nostra fonte, risulta cruciale individuare le differenti sorgenti di inquinanti di un dato territorio, avere il censimento delle emissioni e tenere presente che ogni fonte produce decine di inquinanti che se ne vanno “in giro” a seconda della tipologia, del vento presente, della zona in cui sono e così via. Insomma, il lavoro di un buon analista di questo settore deve partire necessariamente dalla creazione di una mappa di ciò che rimane nell’aria, soprattutto per una città come Genova che è molto estesa in lunghezza e ha territorio al suo interno molto diversi gli uni dagli altri, con caratteristiche timicamente endemiche.
«E’ importante – prosegue nella sua “lezione” il dottor Gennaro – prima di concentrarsi sulle singole patologie, osservare il complesso della salute o della sofferenza della comunità nei gruppi che la compongono. Esistono quelli a rischio (donne in gravidanza, bimbi, anziani, malati), quelli meno a rischio, quelli meno inquinati di altri. Spiegato con un esempio, se emerge un aumento complessivo della patologia dell’asma, è da qui che parto per analizzare i dati nel dettaglio». E’ necessario trovare risposte alle domande: in quale gruppo succede questo? In quale area? Raccontare solo l’andamento della media complessiva porta ad escludere la percentuale della popolazione che, seppur magari minima, è davvero a rischio o più fragile e che, con la mera analisi numerica, potrebbe spalmarsi all’interno della media.
Secondo quanto ci dice l’epidemiologo, basterebbe studiare i dati che normalmente vengono raccolti, come il numero dei ricoveri o dei decessi per poter fare una serie di analisi che aiuterebbe a chiarire la situazione. In aggiunta, abbiamo le ricerche internazionali che, come ci suggerisce l’esperto, «confermano con precisione che in presenza di un aumento di microgrammo di inquinante per metro cubo vi è un aumento percentuale di mortalità». Al centro deve sempre esserci l’essere umano e «un’adeguata determinazione dei gruppi a rischio o meno».
E’ importante partire nel modo giusto per fornire gli strumenti a chi deve approvare ordinanze. Allo stesso modo, è importante, una volta messi a disposizione gli strumenti adeguati, che gli enti pubblici agiscano imponendo regolamenti atti a risolvere i problemi, come è importante che i mezzi pubblici siano efficaci, che ci siano sempre più zone verdi, e che, non ultimo, tutti quanti iniziassimo a ragionare su come garantire un futuro migliore alla nostra aria e cominciare a vedere con quest’ottica le singole azioni quotidiane.
Claudia Dani