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JP Morgan e il crollo dei titoli di Facebook o la crisi di liquidità spagnola sono tutti fatti che condizionano e incidono sull'economia italiana, per questo è nostro compito cercare di comprendere quello che accade nel mondo
Pochi giorni fa è stato diramato il rapporto dell’Istat sulla disoccupazione del primo trimestre 2012, che evidenzia una percentuale di quasi l’11% , che significa ca 2,8 milioni di persone senza lavoro, di cui oltre 600.000 under 25, unitamente a tante altre notizie vicine e lontane , come le perdite di qualche miliardo di dollari di JP Morgan, il flop della quotazione di Facebook , la crisi di liquidità delle banche spagnole e l’ennesimo caso di mala gestio nostrana che ha portato al sequestro dei beni di una società quotata Uniland.
Il cittadino italiano quando legge che JP Morgan ha perso 3 mld di dollari perché dovrebbe preoccuparsi? Quali conseguenze potrebbero portare nella sua vita quotidiana la sequela di errori fatti dai manager della banca? O gli errori e/o le colpevoli omissioni di Morgan Stanley che hanno portato alla mattanza dei poveri risparmiatori che hanno investito in Facebook? E cosa dire del fatto che in Spagna le banche del Paese siano afflitte da una grave crisi di liquidità dovuta alla circostanza che hanno in portafoglio titoli legati al mercato immobiliare per oltre 250 mld di euro e che i loro correntisti stanno prelevando euro al ritmo di 1 mld al giorno (oltre 100 mld negli ultimi 12 mesi)? E per arrivare alla nostra ormai piccola Italia, del sequestro dei beni di Uniland a seguito di manovre spericolate e poco chiare dei suoi esponenti?
Tutti questi fatti, apparentemente scollegati tra di loro, purtroppo hanno conseguenze rilevanti sulla disoccupazione in Italia cioè sulla notizia che tutti ritengono di loro diretto interesse.
Quando la crisi iniziò nel 2008 il motore fu proprio il fallimento di una grande banca d’investimento la Lehman Brothers, che aveva fatto un grave errore di valutazione sui titoli derivati di qualche centinaio di miliardi di dollari e che aveva innescato un meccanismo di perdita di credibilità di tutto il sistema finanziario e di quello preposto ai controlli (società di revisione e società di rating). Soprattutto aveva scoperchiato l’enorme pentola dei prodotti derivati, che oggi rappresentano formalmente un volume di oltre 9 volte i beni reali esistenti.
CRISI DI FIDUCIA
Ma se il sistema non controlla efficacemente coloro che hanno la responsabilità di gestire i risparmi e gli investimenti di milioni di persone, noi come possiamo fidarci? E questo vale sia per Lehman Brothers, che aveva un rating AAA prima di fallire, sia adesso per JP Morgan o per il flop di Facebook o ancora per la italiana Uniland. La peggiore crisi in qualunque economia è quella che nasce dalla sfiducia nelle istituzioni, i cittadini e gli investitori devono potersi fidare delle persone cui affidano le proprie vite e i propri averi; se le istituzioni politiche o quelle finanziarie non sono credibili, perché pongono in essere atti per favorire smaccatamente i propri interessi privati, dopo ricostruire il tessuto relazionale sarà lungo e difficile.
La Germania, che è un Paese dell’area euro e quindi teoricamente è soggetto alla nostre stesse limitazioni, emette Buoni del Tesoro, i Bund, all’1% , perché le sue istituzioni sono credibili e non perché se lo dicono da soli… ma perché sono una nazione seria che rispetta i cittadini e anche le regole di una economia basata su un miglior controllo dei soggetti economici.
In Italia e in altri Paesi dell’Eurozona, che sono oggi sotto lo scacco della speculazione internazionale, il problema principale non è rappresentato solo dai limiti peraltro evidenti dell’euro e della BCE, ma proprio dalla consistenza delle istituzioni politiche e finanziarie; se un Paese è debole perché non riesce a costruire un assetto politico consistente affidandosi a tecnici per definire delle linee di governo e presenta un debito pubblico alto con una crescita bassa purtroppo subisce il giudizio negativo degli speculatori.
Quindi il nostro spread è alto perché il nostro Paese è debole, ha sicuramente passato gli ultimi 20 anni a parlare e non a progettare, a spartirsi risorse pubbliche tra pochi, a confabulare su fantomatiche riforme, quando il Paese continuava a regredire, con crescita reale prossima a zero, disoccupazione giovanile alta, propensione all’investimento da parte di soggetti esteri quasi inesistente, tempi di pagamento da parte dello Stato più alti d’Europa, mercato del lavoro non coerente con le necessità del periodo storico, sistema fiscale e della giustizia con tempi e regolamentazioni incomprensibili…
Ma chi ci viene o chi ci rimane in un Paese così mal sistemato? I mercati, che devono valutare la tenuta a medio termine di un Paese, stanno dicendo, senza dubbio con il loro linguaggio e con una punta di sarcasmo, che dobbiamo produrre uno sforzo per essere veramente credibili, ma per diventarlo dobbiamo lavorare molto e non solo sotto il profilo economico, bisogna avere una nuova classe politica capace di incarnare un reale cambiamento, che coniughi l’impegno per un nuovo progetto nazionale e la responsabilità nell’esercizio del ruolo, come succede nei Paesi “seri”… E’ una sfida soprattutto culturale, che ci deve portare a superare modelli che erano già vecchi vent’anni fa e che sono rimasti, molto inopportunamente, fermi per tutto questo tempo, facendo perdere a questo Paese, che in realtà ha grandi risorse, tutti i treni possibili.
L’alternativa ad una seria ed efficace reazione a questa inerzia distruttiva sarebbe percorrere le strade di estrema sofferenza di Grecia, di Portogallo e a breve forse della Spagna. Per questo dobbiamo guardare ciò che succede all’estero e non solo le notizie italiane; se ci sarà a breve una ulteriore botta alla fiducia nel sistema finanziario, non ci saranno conseguenze solo sui manager di JP Morgan o Morgan Stanley, ma su tutto il sistema e i più deboli ne sopporteranno l’onere maggiore… i primi sono stati i greci, poi i portoghesi e gli spagnoli, poi noi… ma si può fare qualcosa?
In primis dobbiamo essere consapevoli del pericolo reale e potenzialmente vicino nel tempo e pertanto essere disponibili ad impegnarci da subito per il Bene Comune, chiedendo con forza e convinzione una riforma elettorale e l’avvio di una nuova stagione politica, che inizi un percorso diverso per questo Paese. Oggi si parla di 2013 , come di un appuntamento troppo vicino per cambiare qualcosa… ma questa politica si rende conto del degrado dell’economia in questi ultimi mesi, con aziende in asfissia finanziaria e disoccupazione che cresce a ritmi notevoli? Aspettare un anno per dare delle risposte anche politiche a questo momento storico così difficile rischia di essere veramente intempestivo…
E tutto questo sarà ancora più vero se dall’America non si farà nulla per mettere sotto controllo la finanza creativa, se in Europa si continuerà a non voler vedere lo stato di reale dissesto di alcune economie e se non ci sarà un sufficiente controllo sui soggetti senza scrupoli che si approfittano della buona fede degli investitori, e la conseguenza sarà che sempre più imprese chiuderanno o se ne andranno all’estero e allora ci sarà sempre meno lavoro, con un aggravio insostenibile sugli ammortizzatori sociali e quindi a seguire gravi problemi di ordine pubblico.
L’interdipendenza è un fatto, il nostro sguardo deve essere a 360 gradi e la nostra consapevolezza più ampia, ma bisogna agire e non pensare che alla fine ci sia compassione da parte dei mercati.
Vae Victis, guai ai vinti, disse il capo gallico Brenno che mise per la prima volta a sacco Roma… ma i Romani, i nostri progenitori, reagirono e per molti secoli Roma non fu più invasa; ma stiamo parlando di un altro mondo e di un altro tempo, gli italiani di oggi, dopo questo lungo letargo, saranno capaci di reagire e di dimostrare di saper trovare una nuova classe dirigente? A breve l’ardua sentenza.
Maurizio Astuni
[foto di Daniele Orlandi]