Su internet sono sempre di più i video e gli articoli che narrano le gesta eroiche dell'Islanda che, dopo il fallimento del 2008, avrebbe rifiutato di pagare il debito con il FMI... La realtà, però, è leggermente diversa
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L’Islanda è uno stato che conta poco più di 300 mila abitanti, un’isola appollaiata lassù nel nord dell’Europa, uno dei paesi europei con il Pil procapite più elevato, senza un proprio esercito e con un’economia incentrata sulla pesca. Una nazione che nel 2008 dichiarò bancarotta, dopo il fallimento di tutte e tre le banche nazionali con un debito estero pari a 50 miliardi, una cifra enorme e spropositata se rapportata alla modesta economia locale.
Sono passati 4 anni da allora, il fallimento dell’Islanda trovò poco spazio nelle cronache del tempo, soffocate dall’esplosione dei mutui americani e della nascente crisi globale. Negli ultimi tempi, però, in Italia l’attenzione verso il lontano paese nordico è accresciuta notevolmente grazie al mito della “rivoluzione islandese”, che racconta la trionfale uscita dal crac finanziario condita dal rifiuto del pagamento del debito estero e delle condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale. Sul web si contano diversi video e tanti contributi appassionati che raccontano le gesta eroiche degli islandesi, si tratta di racconti e documenti visualizzati da migliaia e migliaia di persone. Ma in realtà le cose non sono andate esattamente come da più parti vengono narrate. Proviamo a ricostruire quanto accaduto in Islanda negli ultimi 4 anni.
IL CRAC FINANZIARIO DEL 2008
Dopo l’ondata di liberalizzazione che investì l’isola negli anni ottanta, dal 1998 inizia il processo di privatizzazione delle banche e dei fondi di investimento sino a quel momento di proprietà dello Stato. Le banche non furono vendute a gruppi bancari stranieri come accaduto nell’Est dell’Europa, ma a privati islandesi molto vicini ai partiti di governo. Con le banche libere dal controllo statale (in realtà primo complice), questi soggetti si diedero alla pazza gioia, concedendo e riscuotendo prestiti in grande quantità, come mai avvenuto in passato, facendo impennare il credito interno del sistema bancario dal 100% del Pil nel 2000 al 450% del 2007.
La krona islandese è storicamente una valuta fluttuante, esposta all’influenza dei mercati mondiali e perciò facilmente sopravalutabile, per questo si decise di puntare sul cambio con le monete estere e sugli alti tassi di interesse (5-6%, contro il 2-4% dell’area euro-USA, e soprattutto lo 0-1% del Giappone) per attirare investitori stranieri, sia sotto forma di correntisti che di speculatori.
E così il “fratello” islandese del nostro Conto Arancio, Icesave, vide crescere vertiginosamente in pochi anni il numero di correntisti da tutto il nord Europa. Simili condizioni, ovviamente, attirarono gli speculatori finanziari di tutto il mondo. Un esempio? Immaginiamo di chiedere in prestito cento euro al paese “x” a un ipotetico tasso di 1%, sapendo quindi di dover restituire 101 euro; a quel punto si va in Islanda con i nostri cento euro e si acquista un titolo di stato (in pratica “prestando” a mia volta i cento euro all’Islanda…), il tasso islandese, infatti, garantisce che mi verranno restituiti 106 euro, ovvero 5 euro di guadagno senza aver investito un centesimo.
L’Islanda, però, non avrebbe mai potuto reggere un simile indebitamento, basti pensare che nel 2007 i debiti a breve termine verso l’estero del sistema bancario arrivano ad essere quindici volte superiori alle riserve in valuta estera della banca centrale d’Islanda.
Nell’estate del 2008 viene dichiarato il fallimento delle tre banche del paese, l’Islanda si ritrova a picco con un debito estero di 50 miliardi di euro (per l’80% rappresentato dal debito delle banche) a fronte di un Pil di 8,5 miliardi! La moneta nazionale subisce una pesante svalutazione sino al -35% rispetto all’euro e l’ inflazione sale al 14%. Intanto, più di mezzo milione di correntisti esteri si ritrovano con il conto congelato.
L’INTERVENTO DEL FMI
A questo punto il governo islandese non ha altra scelta che nazionalizzare le banche fallite e affidarsi al Fondo Monetario Internazionale. L’Islanda accetta il finanziamento di 2,1 miliardi di prestito secco dal FMI a cui si aggiungono 5 miliardi dagli istituti centrali della banca scandinava e dalla banca del Giappone e accetta anche le condizioni imposte dal Fondo e dettate dal programma di ristrutturazione dell’economia interna. Contemporaneamente i paesi dell’Ue, in primis Inghilterra e Olanda, risarciscono i propri risparmiatori (correntisti di Icesave) convinti poi di potersi rifare sul “colpevole”, la banca islandese, che però adesso è nuovamente di proprietà dello Stato. In parole povere, il debito delle banche contratto da ricchi imprenditori del credito, dopo la “nazionalizzazione obbligata” diventa debito pubblico dell’Islanda e si aggiunge a quello con il FMI.
Inghilterra e Olanda, con la regia del Fondo, propongono all’Islanda un programma per la restituzione in 15 anni di quasi 3,4 miliardi e il governo islandese “gira” la patata bollente sui cittadini chiedendo loro poco più di 100 euro al mese per quindici anni. Siamo nei primi mesi del 2009.
LA PROTESTA DEGLI ISLANDESI
Nascono fra i cittadini movimenti spontanei e comitati organizzati, nella capitale Reykjavík si accendono proteste di piazza e manifestazioni. Gli islandesi chiedono che a pagare siano i reali colpevoli, invocano e ottengono le dimissioni del primo ministro Geir Hilmar Haarde e con una raccolta firme chiedono al presidente della Repubblica di bloccare il rimborso del debito con Olanda e Inghilterra per i congelamenti dei conti Icesave. Il presidente della Repubblica cede alle richieste e blocca il disegno di legge proponendo un referendum: nel marzo 2010 il 93% degli islandesi confermerà di non volersi accollare quel debito contratto da privati verso privati.
Nel frattempo un altro movimento indipendente di cittadini aveva proposto la redazione di una nuova Costituzione che sostituisse quella in vigore dal 1944 e che difendesse il paese da nuove speculazioni. Il 27 novembre 2010 furono indette delle elezioni da cui risultarono eletti, nonostante la scarsa affluenza alle urne (36% degli elettori), i 25 cittadini della Consulta Costituzionale. Gli unici due vincoli per la candidatura, a parte quello di essere liberi dalla tessera di qualsiasi partito, erano quelli di essere maggiorenni e di disporre delle firme di almeno 30 sostenitori. La ‘Consulta Costituzionale’ che venne eletta era composta da docenti universitari, avvocati, giornalisti, da un sindacalista, un contadino, un pastore e un regista.
Originale e vincente è stato il modo con cui questa Consulta ha redatto la nuova Costituzione… Via internet! Social network, forum, videoconferenze, le assemblee potevano essere seguite in tempo reale e ogni cittadino era libero di intervenire, proporre riforme e discussioni. Al termine dei propri lavori, il 29 luglio 2011, il movimento ha presentato al Parlamento islandese la bozza della Costituzione che e’ attualmente al vaglio di una commissione parlamentare e dovrà essere sottoposta ad approvazione tramite referendum popolare prima delle elezioni presidenziali che si terranno fra maggio e giugno di quest’anno.
L’ISLANDA PAGA I SUOI DEBITI
Un mese dopo, agosto 2011, si è concluso il piano del FMI con tanto di annunci e soddisfazione da parte di tutti. L’Islanda finirà di pagare il debito con FMI nel 2014, fino all’ultimo centesimo, fra tagli delle spese pubbliche e aumento dei tributi sulla testa della popolazione. E che cosa ne è del debito Icesave dopo il risultato del referendum? Nel marzo 2011, con un nuovo referendum, i cittadini hanno respinto la seconda proposta di restituzione. Olanda e Inghilterra hanno allora concesso un rinvio dei pagamenti, poi, lo scorso settembre, l’annuncio del ministro dell’economia islandese ha rassicurato tutti: “…entro la fine del 2012 il patrimonio della nuova Landesbanki (Icesave era una filiale di Landesbanki n.d.r) sarà sufficiente per coprire i debiti della vecchia gestione privata e risarcire le perdite dei risparmiatori. Per questo motivo cambia radicalmente la nostra interpretazione della disputa relativa ad Icesave – ha detto il ministro in quell’occasione – Non c’è più alcun motivo di contendere”. Anche il debito di Icesave verrà quindi regolarmente pagato ma, stando alle dichiarazioni del politico islandese, non saranno direttamente le tasse dai cittadini a finanziarlo. Se invece il patrimonio della Landesbanki non dovesse bastare le possibilità sono due: o si continuerà a respingere proposte di restituzione all’infinito o si arriverà ad un accordo tra le parti.
In conclusione, l’Islanda non è ancora uscita dal terremoto finanziario che l’ha sconvolta, ma piano piano ha risalito la china e lo ha fatto seguendo scrupolosamente il piano del Fondo Monetario Internazionale. Insomma, nessun rifiuto irriverente… Inoltre, nel 2009, ha ufficialmente presentato richiesta per essere ammessa nell’Unione Europea. Certo, la leggendaria rivoluzione islandese raccontata sul web, quella dell’impertinente e coraggioso rifiuto di sottostare alle regole dell’economia globale, il complotto dei media di tutta Europa che nascondono la verità su quel che è accaduto nell’isola di ghiaccio… beh, sarebbe stata una bella storia da raccontare, sicuramente più avvincente come lettura, ma accontentiamoci: nella realtà rimane l’attesa per la decisione della commissione che dovrà esprimersi sull’entrata in vigore di una costituzione compilata sul web e partecipata dai cittadini, rimane la caparbietà di un popolo che stretto nella morsa del crac finanziario è riuscito a far sentire la propria voce ed il proprio peso politico, regalando all’Europa, qualunque sia l’epilogo della disputa Icesave, una lezione di democrazia.
Gabriele Serpe e Giorgio Avanzino
5 commenti su “La vera storia dell’Islanda: il fallimento, il debito e il mito della rivoluzione”