Intervista a Pietro Marcello, regista del film La bocca del Lupo, ambientato nel centro di Genova che racconta la storia d'amore tra Enzo e Mary
“Prima di girare il film non conoscevo la vostra città unica memoria erano i racconti di mio padre, un marittimo meridionale. Lui si imbarcava e Genova era la sua città ideale, mi raccontava del fermento nei vicoli, delle tripperie, e del suo cielo, dei suoi colori, una città del nord che guarda a sud, diceva”.
“Io ho conosciuto un’altra città rispetto ai racconti di mio padre. Silenziosa e unica nella sua diversità, ho vissuto nella zona dell’angiporto, dove la memoria è impressa nelle pietre di Sottoripa… A differenza di Napoli, a Genova è difficile riconoscere un tessuto sociale, questo mi ha fatto sentire disorientato al mio arrivo…”
Il regista venne contattato più di un anno fa dall’Associazione San Marcellino perchè venisse nella nostra città a realizzare un film che riuscisse a fotografare una parte di città… quella dei vicoli, del ghetto e della comunità transessuale, dei tanti senza tetto assistiti dai volontari di San Marcellino. L’Associazione genovese, fondata nel dopoguerra per aiutare chi era rimasto senza casa dopo i bombardamenti, voleva raccontare attraverso un film, non tanto la propria attività, quanto il mondo a cui essa si rivolge.
Nasce così La Bocca del Lupo, dal titolo del romanzo di Remigio Zena del 1892 ambientato nel centro storico, nell’antico sestiere di Prè.
Il film ha attirato migliaia e migliaia di persone al cinema; una storia d’amore, la vera storia di Enzo e Mary, lei in strada, lui in carcere. Si sono aspettati e voluti sin dal tempo del loro incontro in galera, quando ancora si mandavano messaggi registrati su cassette nascoste.
Mary, romana, raggiunge Genova negli anni sessanta per poter finalmente esprimere la propria sessualità, perchè nei nostri vicoli erano nate in quegli anni le prime comunità trans d’Italia. Enzo, figlio di un contrabbandiere, ha passato metà della sua vita dietro le sbarre a causa di diversi scontri a fuoco con la polizia.
Un film documentario di un’ora, fra scene girate oggi e filmini per lo più amatoriali ripescati negli archivi e capaci di raccontare una Genova lontana, ricca di fascino per chi non l’ha vissuta, ricolma di rimembranze per chi in quegli anni era un ragazzo.
Malinconico e “pasoliniano”, questo film racconta la storia dei vinti, in cui la vera vittima è lo spettatore, che improvvisamente si scopre miope e superficiale mentre sale in macchina per rientrare al proprio nido.
E poi Lei, la città di confine, la scorbutica signora che invecchia… “unica nella sua diversità”.
Gabriele Serpe