Una giornata alla scoperta dei beni culturali dei Frati Cappuccini, negli storici locali di viale 4 Novembre in quel di Portoria, un tempo parte dell'Ospedale Pammattone. Abbiamo visitato il museo e conosciuto i volontari che ci lavorano
A Genova il Museo dei Beni Culturali Cappuccini resta nascosto e poco conosciuto dai più. È raro che -dicono le guide del museo- chi non frequenta il quartiere di Portoria conosca questo piccolo gioiello, edificato tra Viale IV Novembre (in corrispondenza del parco dell’Acquasola) e il Palazzo di Giustizia, sulla sottostante Via Bartolomeo Bosco. In alcuni casi persino chi abita o lavora in zona non conosce il Museo, uno dei tesori di Genova tra i meno noti e più discreti.
E invece la sua storia è affascinante e tutta da scoprire. Noi lo abbiamo fatto, passando una giornata in compagnia del personale del Museo e ripercorrendo la storia della Genova del XV secolo.
«Non riusciamo a pubblicizzare il museo, le persone non ci conoscono –ci spiega la nostra guida, una volontaria che per passione aiuta nella gestione del museo- cerchiamo di essere presenti anche sui social network, ma continuiamo a restare isolati. Io stessa, genovese doc, non conoscevo questo luogo: l’ho scoperto solo da pochi anni». Ma forse questo è allo stesso tempo il brutto e il bello: in mezzo alla frenesia, tra business e shopping, i Cappuccini riescono a restare “isolati”, offrendo un approdo –spirituale e culturale- sicuro.
Oggi, il Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova è una struttura che coniuga elementi di modernità alla memoria storica dei religiosi cappuccini. Il Museo, assieme alla sottostante Chiesa di Santa Caterina, mantiene la memoria storica dei Cappuccini, pur avendo subito nel corso degli anni varie modifiche: oggi, ad esempio, la chiesa gestita dai frati cappuccini ecuadoriani dà sostegno e aiuto ai loro connazionali emigrati a Genova, occupandosi della parte spirituale e offrendo supporto anche materiale. L’impostazione più moderna e questo rinnovamento cui si è assistito nel corso del tempo hanno avuto lo scopo di avvicinare la comunità laica. Si è voluto aiutare le persone a capire meglio quale mondo si celi dietro la vita di un frate, attraverso percorsi guidati tra le sale dell’edificio e soprattutto (dal 2005) con l’allestimento di mostre temporanee, circa due all’anno: una in autunno, fino al periodo natalizio, e l’altra dai primi mesi dell’anno fino all’estate, con pausa nei mesi di luglio-agosto. Due mostre, non di più, per dare l’opportunità a un gran numero di persone di visitarle e per avere tempo di organizzare al meglio la mostra successiva, portando a Genova pezzi pregiati e di valore. Ora, già in progress l’allestimento della mostra di Natale 2013. Incentrati su vari momenti della vita cappuccina, le mostre raccontano l’attività che i frati della comunità genovese hanno svolto nel corso dei secoli, e che svolgono tuttora, all’interno dei conventi loro affidati.
Salendo il grande scalone centrale, percorrendo i corridoi e attraversando le varie sale, non si può fare a meno di essere colpiti ovunque dai quadri di artisti liguri illustri (sì, perché le opere sono perlopiù fatte in Liguria, da artisti nostrani, anche se molti pezzi soprattutto della mostra temporanea provengono anche da fuori). Da Bernardo Strozzi, a Domenico Fiasella, Luca Cambiaso, Orazio De Ferrari, Domenico Piola, Anton Maria Maragliano. Nonostante questo, il museo resta povero, in stile cappuccino: (pochi) elementi di arredo semplici, rigorosamente in legno; qualche statua di pregio, perlopiù proveniente dalle collezioni private di nobili genovesi, o donata da ex conventi.
Alla fine della scalinata, la cappella superiore, dove un tempo era custodito il corpo della santa, oggi usato sia come sala espositiva, sia come auditorium per varie manifestazioni culturali: conferenze, concerti, incontri. Davanti alla cappella, affrescata e affacciata direttamente sulla Chiesa adiacente, l’accesso alla sala museale vera e propria: un open space di 250 metri quadrati, aperto solo nel 2005. In questo momento, in corso la mostra “La vita è dono”, per celebrare i 300 anni dalla canonizzazione di San Felice da Cantalice e i 50 da quella del ligure San Francesco Maria da Camporosso: tema centrale, quello della questua, caro alla comunità cappuccina, che vive di elemosina e di carità (lungo il percorso espositivo, infatti, è possibile osservare le antiche gerle cappuccine in cui i frati raccoglievano le donazioni di elemosina e generi alimentari, ma anche olio e vino, contenuti in gerle apposite).
Circondato dalla Chiesa e dal Convento di Santa Caterina e dalle sale a disposizione della comunità cappuccina dell’Ecuador, il museo, fondato dal frate cappuccino Padre Cassiano nel 1978 che ha voluto infondere in questo luogo il suo ideale di vita povera e riservata, celebra la spiritualità di questi religiosi con una raccolta di manufatti, documenti e testimonianze relative al costume, all’arredamento, allo svolgersi della vita quotidiana dei conventi. Anche oggi, i frati che gestiscono il luogo hanno voluto mantenere lo spirito con cui era stato fondato, modernizzando la struttura e avvicinandola di più alla comunità laica.
Proprio qui dove ora c’è il museo, un tempo sorgeva l’Ospedale Pammatone. Qui i cappuccini della comunità ligure, prima in altre sedi, sono stati chiamati a prestare il loro soccorso agli ammalati già nei primi decenni del 1500. Dell’edificio dell’ospedale (che un tempo era direttamente collegato alla Chiesa di Santa Caterina) solo una parte piuttosto piccola è riuscita a salvarsi ed è stata riconvertita e adibita a museo, ampliandosi nel corso degli anni.
Tutta la struttura ha però una storia ben più antica: costruita circa a metà del 1400, il complesso è oggi dedicato a Santa Caterina Fieschi Adorno: sposa del nobile genovese Giuliano Adorno, Caterina si è sempre dedicata con il marito alla cura dei malati (appestati, malati di tifo e altre malattie frequenti all’epoca) e ha frequentato assiduamente il Pammatone, facendone la sua seconda casa. Trasferitasi nei locali dell’ospedale per meglio assistere gli ammalati, Caterina è morta tra queste mura, anch’essa contagiata. Il suo corpo è stato conservato a lungo nei locali dell’ex ospedale, restando incorrotto. Da qui, la sua santificazione. Poi, il trasferimento del corpo nella chiesa sottostante (intitolata anch’essa alla santa), per permettere a coloro che volevano visitare il corpo di vedere Caterina senza dover accedere ai locali ospedalieri, con il rischio di venire contagiati dai malati. All’epoca in cui la salma era conservata nei locali dell’ex Pammatone (e attuale museo), era stata costruita la grande scalinata che ancora oggi accoglie i visitatori all’ingresso del museo: le scale conducono direttamente nell’ex cripta, oggi adibita anch’essa a museo, in cui è possibile vedere la bara storica della santa e altri oggetti sacri.
Elettra Antognetti
[foto dell’autore]