Soltanto 172 Comuni liguri (su 235) sono dotati di piani comunali di emergenza. E pensare che la Regione avrebbe il compito di vigilare sulla presenza effettiva di tali piani e sulla loro validità. A Genova le linee guida per la redazione del nuovo piano sarebbero dovute arrivare sulla scrivania del sindaco tra venerdì e sabato, ma i tragici eventi hanno preso il sopravvento
Al di là della mancata emanazione dello stato di “allerta” da parte della Regione Liguria, e di conseguenza dell’inevitabile ritardo nel lesto avvio del sistema di Protezione civile comunale, delle opere infrastrutturali sul torrente Bisagno non realizzate anche a causa della lentezza della giustizia amministrativa, non va dimenticato, però, il ruolo che le amministrazioni locali dovrebbero giocare nella pianificazione delle strategie di emergenza.
Innanzitutto va puntualizzato che i previsori del centro meteo-idrologico di Arpal (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure, sotto accusa per non aver previsto la drammatica escalation degli eventi che ha portato ai disastri della serata di giovedì 9 ottobre) in questa occasione avevano prodotto un messaggio di “avviso” per temporali forti, evidenziando quindi un livello di criticità, seppure il meno grave, che avrebbe comunque potuto far scattare – a discrezione di ogni singolo Comune – opportune contromisure di protezione, a maggior ragione nella città di Genova, notoriamente soggetta ad episodi alluvionali spesso di notevole gravità, e dove da lungo tempo sono palesi le forti problematiche che affliggono determinate aree a rischio del territorio.
Tuttavia, trincerandosi dietro l’impossibilità di agire in assenza dell’allerta, l’amministrazione comunale sembra voler nascondere le carenze di un piano di emergenza comunale approvato nel 2009, e giudicato inadeguato sia dalla relazione tecnica redatta dai consulenti della Procura del Tribunale genovese in merito al processo per l’alluvione del novembre 2011, sia dall’apposita Commissione consiliare incaricata di fare luce sui medesimi episodi del 2011. Destino vuole che le linee guida del nuovo piano – come aveva anticipato ad Era Superba l’assessore alla Protezione civile Gianni Crivello – dovevano essere illustrate al Sindaco Marco Doria proprio nel fine settimana appena trascorso, per proseguire il proprio iter prima in commissione e poi in Consiglio comunale, ma i tragici eventi hanno avuto il sopravvento.
Infine, non va dimenticato il ruolo della Regione Liguria che dovrebbe vigilare sulla realizzazione dei piani di emergenza comunale e sulla conformità alla normativa di quelli realizzati. Ebbene, in una terra considerata tra le più fragili d’Italia soltanto 172 Comuni liguri (su 235 complessivi) sono dotati di tali piani.
«Il vigente piano di emergenza, approvato del 2009, è troppo generico – afferma Alfonso Bellini, consulente della Procura della Repubblica del Tribunale di Genova – È evidente la mancanza di una serie di azioni pre-determinate, dunque di un’attenta pianificazione eseguita a “bocce ferme”. Inoltre, il piano non contiene indicazioni specifiche sulle aree considerate esondabili. Pur avendo dato prova, più volte, della sua pericolosità, non è previsto alcun piano di emergenza di dettaglio per l’area del Bisagno. Eppure, esiste un preciso impegno in questo senso, fin dal lontano 1998, con la firma di un protocollo di intesa tra Regione, Provincia e Comune di Genova. Impegno finora disatteso. Pianificare strategie di prevenzione e protezione è l’unico modo per convivere con il rischio».
La nostra città ha accumulato un pesante debito sul fronte idrogeologico, quindi dovremo scontare un simile handicap per almeno altri venti o trent’anni, prima che siano effettivamente realizzate le opere infrastrutturali necessarie a mitigare la pericolosità dei corsi d’acqua genovesi».
Il piano di emergenza (o di protezione civile) rappresenta il progetto di tutte le attività coordinate e di tutte le procedure che dovranno essere adottate per fronteggiare un evento calamitoso in modo da garantire l’effettivo ed immediato impiego delle risorse necessarie al superamento dell’emergenza.
Per quanto riguarda le emergenze meteo-idrologiche, le zone di Genova soggette ad eventi potenzialmente dannosi sono contenute nella “Carta di criticità ad uso di Protezione civile” contenuta nel D.G.R. 746 del 09/07/2007, comprendente le varie situazioni di potenziale dissesto idrogeologico derivate dai Piani di bacino. “Carta che ben segnala le aree di esondazione su tutto il territorio comunale”, sottolineano i consulenti del Tribunale nella relazione tecnica relativa al processo per l’alluvione del 2011.
I piani comunali devono definire gli scenari di rischio “Evidenziando e descrivendo le aree caratterizzate da importanti livelli di pericolosità (legata ai fenomeni attesi) e contestualmente dalla presenza di elementi vulnerabili e/o strategici – continua la relazione – Solo in questo modo risulta possibile pianificare le azioni da intraprendere nelle situazioni di emergenza. Azioni che devono essere specifiche per ogni area a rischio, affinchè siano efficaci”. Ad esempio indicando esattamente dove devono essere chiuse le strade potenzialmente allagabili, come verrano chiuse, chi se ne occuperà, ecc. Ma lo “Schema operativo per la gestione delle emergenze meteo-idrologiche”, documento che fa parte del “Piano comunale di emergenza” del Comune di Genova (approvato con delibera consiliare n. 13 del 19-02-09) “Non contiene nessun riferimento di pianificazione degli interventi specifici per le aree del territorio comunale riconosciute come zone potenzialmente a pericolo di esondazione“, sanciscono i periti del Tribunale.
Insomma, sono completamente assenti i piani di dettaglio, come spiega il geologo Alfonso Bellini «Il documento non contiene indicazioni specifiche sulle aree considerate esondabili. Dopo l’alluvione di Sestri Ponente del 2010 l’amministrazione si è improvvisamente accorta della fragilità idraulica di tale area, quindi nel 2011 ha redatto un piano di dettaglio che prevede determinate azioni. Dopo l’alluvione del 2011 hanno fatto lo stesso con un’ordinanza specifica sulla zona di via Ferregiano».
A integrazione del “Piano di emergenza di dettaglio per la zona di Sestri Ponente”, il 4 agosto 2011 la Giunta comunale ha adottato una delibera riguardante la procedura operativa. Quest’ultima prevede che, in seguito ad un messaggio di attenzione o avviso di temporali “vengano attivate procedure di pronta reperibilità di personale e mezzi per la rimozione di ristagni di acqua superficiale, segnalazioni di aree allagate, interdizioni e/o deviazioni di traffico”. Delibera che identifica con precisione sia la zona oggetto di intervento, sia il numero e la tipologia di persone e mezzi di pronta reperibilità messi a disposizione dai diversi enti coinvolti (Protezione civile, Amiu, Aster, Polizia municipale, Municipio, ecc.).
Il 2 marzo 2012 il Sindaco Doria ha emesso l’ordinanza n. 33/2012 riguardante “Misure di sicurezza a tutela della pubblica incomunità della popolazione per la zona di via Fereggiano e vie limitrofe, interessate dall’evento alluvionale del 4 novembre 2011, da attivare in caso di emergenza idrogeologica”, che prevede, nel caso di avviso di temporali o della dichiarazione di stato di allerta 1 e 2, la messa in atto di una serie di prescizioni cautelative. “Tale documento, seppur sotto forma giuridica diversa, rappresenta di fatto un’integrazione al piano comunale di emergenza, così come lo è stata quella fatta per Sestri Ponente dopo l’alluvione del 2010“, scrivono i consulenti del Tribunale. Integrazioni che certificano la scarsa affidabilità dello stesso piano comunale.
«Il Bisagno, quando si trova di fronte a coperture insufficienti, esce costantemente in sponda destra o sinistra – spiega Bellini – Questa situazione di rischio è stata pesantemente evidenziata fin dall’alluvione del 1970. La pianificazione di dettaglio, però, è stata fatta solo per Sestri e la zona di via Fereggiano, sempre in seguito a tragici eventi alluvionali. I piani di dettaglio prendono come riferimento il livello di allerta massima (allerta 2), ma prevedono una serie di specifici adempimenti in qualsiasi caso di emergenza».
Già nel Piano di bacino del Bisagno (fascicolo 2, volume 2), si riporta che “Spetta al Comune elaborare un piano operativo di protezione civile per il bacino da attivarsi con urgenza”. Attività considerata talmente strategica da essere inserita nel protocollo di intesa Regione, Provincia e Comune di Genova, firmato il 5 ottobre 1998.
“Il piano di Genova risulta alquanto generico o totalmente mancante sulla parte più importante: gli scenari di rischio che riportano le informazioni sulla tipologia del rischio specifico e sulla vulnerabilità a persone, cose, servizi, edifici strategici, viabilità; e poi manca la carta del modello di intervento (presente nel piano per Sestri Ponente), che specifica l’ubicazione di centri operativi, aree di emergenza, l’indicazione di vie di fuga, presidi di forze dell’ordine e volontari, ecc. Queste mancanze rendono molto difficile affrontare con efficacia l’emergenza”, conclude la relazione tecnica del Tribunale.
Carenze individuate non solo dal Tribunale, ma anche dalla Commissione consiliare (istituita con delibera di Consiglio n. 81 del 22/11/2011) incaricata di fare luce sugli eventi del 2011. «I Venti consiglieri comunali hanno concluso anch’essi che il piano era inadeguato», chiosa Bellini.
Affinché i piani siano realmente efficaci “Risulta strategico che vi sia un organo di controllo superiore di validazione che ne possa giudicare i contenuti in termini di qualità e conformità alla normativa vigente – scrivono i consulenti del Tribunale – Va rilevato che tale organo di controllo in Liguria non esiste. Pertanto ogni Comune si dota del proprio piano autoapprovandolo”.
Organismo di controllo che, secondo logica, dovrebbe essere rappresentato dalla Regione stessa. La normativa vigente in questo contesto, infatti, è opera dell’amministrazione regionale, la quale ha stabilito regole e modalità di esecuzione dei piani con la D.G.R. 746 del 09-07-2007, senza poi preoccuparsi della valutazione di tali documenti. Eppure, già l’articolo 3 della L.R. n. 9/2000 riporta che alla Regione “spetta di raccordare a livello regionale le risultanze dei piani locali (comunali e provinciali)”.
Questa mancanza di controllo “Ha portato come ulteriore grave conseguenza che in Liguria esistano ancora molti Comuni che non hanno un piano di protezione civile – sottolineano i periti del Tribunale – Va osservato che la Legge regionale di riferimento per la protezione civile è del 2000 e che la delibera di Giunta regionale che ha pubblicato le linee guida per l’esecuzione dei piani di emergenza, con le annesse Carte di criticità, è del 2001, con aggiornamento nel 2007″.
Tutto ciò porta squilibri che si ripercuotono sulla stesura dei piani, per i quali “I singoli comuni (almeno quelli che fanno il piano), in mancanza di controlli qualitativi, si possono dotare di piani incompleti, contenenti procedure generali che lasciano ampio margine alla soggettività dei comportamenti personali, salvo poi modificare e migliorare le cose quando vengono colpiti da eventi calamitosi“, concludono i consulenti. In tal senso il caso del piano comunale di Genova è esemplare.
Matteo Quadrone