Entro metà ottobre il ritiro della deroga regionale sarà ufficiale e i rifiuti di Genova non potranno più raggiungere la discarica di Scarpino finché non saranno ultimati gli impianti di separazione secco – umido a Campi e alla Volpara. I rifiuti andranno in Piemonte per un costo di oltre 2 milioni al mese a carico dei cittadini. Intanto Amiu ha consegnato il tanto atteso piano industriale
Passano i mesi, cambiano le cause ma la sostanza, purtroppo, è sempre la stessa. La discarica di Scarpino chiuderà, questa volta veramente. E lo farà tra pochissimo, nel giro probabilmente di una quindicina di giorni. Giusto il tempo per la Regione di revocare ufficialmente la “leggina” che prorogava la possibilità del genovesato di portare nella sua discarica il materiale raccolto dai cassonetti della spazzatura indifferenziata (circa 700/800 tonnellate di rumenta ogni giorno). Già perché questa volta non è più colpa della stabilità dei terreni alle spalle di Sestri né degli ultimatum lanciati dalla Provincia la scorsa primavera per la messa in sicurezza dal rischio frane. Questa volta ad andare sotto processo è il cosiddetto pretrattamento dei rifiuti, ovvero ciò che succede alla spazzatura dopo essere stata raccolta e prima del suo smaltimento definitivo.
Lo scorso anno, l’allora ministro dell’Ambiente Orlando, aveva emanato una circolare che introduceva ufficialmente la necessità di separare la parte umida da quella secca della raccolta indifferenziata prima di poter smaltire i residui in discarica. Come altre discariche liguri che fino ad allora rientravano nella normativa prevista dalla precedente circolare Prestigiacomo, Scarpino non aveva e non ha tuttora gli impianti necessari per rispondere alle mutate esigenze. Così Regione Liguria, per ovviare al periodo transitorio in cui le discariche liguri, Scarpino compresa, avrebbero sanato la propria situazione impiantistica, aveva predisposto una deroga per tutti i Comuni che avessero presentato un cronoprogramma per l’adeguamento impiantistico e un piano per l’estensione della raccolta dei rifiuti organici. Una strada seguita dal Comune di Genova e dalla sua partecipata Amiu, che hanno già ampiamente anticipato i contenuti di un piano industriale che prevede proprio la realizzazione di due impianti di separazione secco-umido (uno alla Volpara, l’altro a Campi).
«La circolare Orlando – ricorda il presidente di Amiu, Marco Castagna – è uscita ad agosto 2013 quando Regione Liguria stava redigendo il piano regionale dei rifiuti che ha presentato a dicembre: contavamo che nel piano fosse contenuta la modalità per gestire il regime transitorio ma quando abbiamo visto che non era così, a gennaio abbiamo iniziato ad attivarci per la realizzazione degli impianti di separazione. È chiaro che un privato avrebbe avuto tempi molto più rapidi ma noi dobbiamo sottostare a procedure ad evidenza pubblica».
La circolare Orlando, che di fatto sanciva la chiusura delle discariche liguri, faceva parte di un disegno organico che avrebbe visto parallelamente la nascita di una rete di impianti di termovalorizzazione che in Italia sono scarichi perché ricevono pochi rifiuti. «Peccato – prosegue Castagna – che la rete degli impianti di termovalorizzazione non l’abbiano fatta: come sempre la politica fa i provvedimenti giorno per giorno perdendo di vista l’interesse generale. I risultati sono che dopo mesi che Amiu lavora per mettere una toppa a una mancanza regionale ci ritroviamo in questa situazione grottesca».
La stessa Regione aveva già messo le mani avanti al momento di licenziare il provvedimento di deroga, temendone l’incostituzionalità. Tanto tuonò che piovve, dicevano gli antichi. Puntualmente, infatti, da Roma sono giunti malumori e voci di una possibile impugnatura da parte del Ministero tanto che Burlando e Paita hanno annunciato il ritiro della legge. Quando questa decadrà ufficialmente (per il momento la proposta è stata approvata solo dalla giunta regionale ma deve passare ancora in Commissione e poi in Consiglio, oltre naturalmente ad attendere i tempi tecnici per la conversione), i rifiuti di Genova non potranno più raggiungere le alture di Sestri finché non saranno ultimati gli impianti di separazione secco – umido.
«È chiaro – commenta Castagna – che oggi scontiamo ritardi accumulati negli anni ma sul tema specifico questa non è certo colpa di Amiu o del Comune. A livello pratico, comunque, dato che tra qualche giorno non ci sarà più la legge deroga regionale che aveva cercato di ovviare alla mancanza del piano regionale dei rifiuti, significa dover portare i rifiuti genovesi e non solo fuori Liguria».
Così torna, come a maggio, la necessità di stringere accordi con altre Regioni per il conferimento fuori Liguria della nostra spazzatura. Dopo il no di Lomabrdia ed Emilia, l’unico a non essersi tirato indietro sembra essere il Piemonte. I rifiuti genovesi e non solo, con buona probabilità, troveranno ospitalità nell’inceneritore del Gerbido, a Torino, gestito da Trm, controllata di Iren. Ecco spuntare nuovamente il nome dell’azienda che già tante polemiche aveva fatto scoppiare prima dell’estate quando era apparsa la notizia di un suo possibile coinvolgimento per la soluzione della disastrosa situazione della spezzina Acam, a patto di poter mettere più di un piede nella più interessante genovese Amiu.
Per il momento si tratta di illazioni. Ciò che resta, però, è che il conferimento oltre confine del nostro indifferenziato, costerà ad Amiu parecchi milioni: le cifre che stanno girando in questi giorni, ma che troveranno conferma solo dopo la formalizzazione degli accordi, parlano di circa 2 milioni di euro al mese più i costi del trasporto, per un totale sicuramente non inferiore a 10 milioni di euro per tutto il periodo di chiusura di Scarpino.
«I costi dovrebbero aggirarsi attorno ai 100 euro a tonnellata – ammette l’assessore all’Ambiente Valeria Garotta (data sempre più in bilico da Radio Tursi, ndr) – ma sbaglieremmo a confrontarli con un costo attuale nullo. Il conferimento dei rifiuti tal quali a Scarpino ha già adesso un suo costo naturale, ovviamente più basso rispetto al trasporto fuori Regione. Ma se avessimo già realizzato gli impianti di separazione secco-umido dovremmo comunque sostenere le spese per mandare l’umido fuori Liguria finché non sarà realizzato il biodigestore. Inoltre, lo stesso biodigestore, una volta attivo, avrà un costo per il trattamento dei rifiuti organici che potrebbe orientarsi attorno agli 80 euro a tonnellata. Sempre a livello di cifre – conclude l’assessore – è interessante notare anche che la tariffa di smaltimento prevista dal business plan del gassificatore (il cui progetto è stato definitivamente stralciato per fare posto al biodigestore, ndr) era superiore ai 150 euro a tonnellata».
Un turbinio di numeri che, ad ogni modo, non deve far perdere di vista la sostanza del discorso: non appena chiuderà Scarpino, Amiu dovrà sostenere costi pari a 2 milioni di euro al mese più trasporto per il conferimento di rifiuti a Torino finché non saranno pronti i due impianti di separazione secco-umido, il cui avvio non è previsto prima di giugno 2015.
«In realtà – precisa il presidente di Amiu – la Regione ha affidato le trattative direttamente a noi: ci hanno semplicemente segnalato il Piemonte indicando soprattutto la discarica Torino. Mi sarei aspettato un elenco ufficiale invece c’è stata solo una comunicazione verbale. Abbiamo appena iniziato le trattative che, in una situazione normale, soltanto per gestire la logistica di un trasporto di tale portata, richiederebbero due mesi di tempo. Ma ci stiamo attrezzando per chiudere in 15 giorni, probabilmente ancora prima che la deroga decada formalmente».
Chi si farà carico di questi esborsi? Il rischio è che tutto ricada sui cittadini sotto forma di rincari sulla Tari 2015. Giusto per fare i conti della serva, se si ipotizzasse un ammontare di 10 milioni di euro, i genovesi si troverebbero a dover pagare attorno ai 16 euro in più a cranio nella bolletta del prossimo anno (si tratta comunque di un calcolo assolutamente approssimativo che non tiene conto, ad esempio, delle utenze commerciali).
«Tuttavia – assicura l’assessore Garotta – l’intero ammontare di queste operazioni non potrà essere totalmente coperto dalle bollette dei genovesi così come il finanziamento dei nuovi impianti da realizzare inseriti nel piano industriale. Lo abbiamo già detto alla Regione e glielo scriveremo anche». Di diverso avviso il presidente Amiu, Marco Castagna: «I costi per andare fuori ricadranno inevitabilmente sulla Tari. Quelli che invece potrebbero essere affrontanti in maniera diversa, ad esempio attraverso finanziamenti europei, sono gli investimenti strutturali e impiantistici».
Già perché quelli del conferimento dei rifiuti fuori Regione non sono gli unici sostanziosi esborsi che i cittadini rischiano di vedersi accollati. La partecipata di Tursi ha, infatti, consegnato ieri ufficialmente al Comune il piano industriale (compreso l’allegato, già anticipato sulle pagine di Era Superba, intitolato “finanziamenti e uso strumenti finanziari europei per l’uso specifico delle risorse dell’economia circolare nel contesto dello sviluppo urbano sostenibile” che riguarda uno studio su come coprire i costi del rinnovo impiantistico attraverso fondi comunitari) annunciato in piena estate e in cui sono elencati interventi e costi per mettere in piena sicurezza ed efficienza la discarica di Scarpino e il ciclo dei rifiuti genovese. All’interno di questo documento, che verrà reso pubblico la prossima settimana, è contenuto, ad esempio, il progetto per il biodigestore ma anche i costi da sostenere per la realizzazione dei due impianti di separazione secco – umido. Secondo il cronoprogramma, questi dovrebbero essere effettivamente disponibili tra la fine di maggio e l’inizio di giugno: la gara è gestita dalla stazione unica appaltante del Comune di Genova ed è arrivata al momento dell’apertura delle buste. Come illustrato anche dal presidente di Regione Liguria, Claudio Burlando, si tratta di impianti dalla realizzazione piuttosto semplice. «Il separatore – ci spiega Marco Castagna – è sostanzialmente un tavolo che vibra, con cilindri che girano e buchi che consentano la separazione della parte più pesante, quella umida che scende sul fondo, da quella secca, che rimane in superficie. Le due tipologie di rifiuto vengono poi convogliate su appositi nastri trasportatori».
«Ma vista la situazione di estrema emergenza – si chiede il capogruppo di Lista Doria, Enrico Pignone – non sarebbe possibile pensare a qualche procedura più snella per accorciare i tempi di realizzazione degli impianti secco-umido? Anche perché, se è vero che per la costruzione bastano 5-6 mesi dall’apertura delle buste è altrettanto vero che non si possono escludere a priori ricorsi dalle società perdenti, arrivando così all’ormai consueto impantanamento burocratico nei corridoi dei tribunali».
La risposta arriva direttamente da Castagna: «C’è una gara in corso, non possono chiuderla per motivi di urgenza perché mi esporrei comunque a ricorsi. Non ci sono soluzioni alternative perché anche una procedura di emergenza che potrebbe consentire l’arrivo di un ulteriore separatore in tempi più rapidi avrebbe bisogno dell’individuazione e dell’autorizzazione di un’area coperta ad hoc».
Simone D’Ambrosio
Perche’ a carico dei cittadini ? Grazie