Si avvicina la chiusura di Scarpino, i rifiuti andranno fuori regione. Il sistema di pre-trattamento non è a norma e la discarica deve essere messa in sicurezza. Clamorose deroghe post-alluvione potrebbero dare respiro alla città, ma gli interventi non possono più essere rimandati. Genova non può più aspettare
Difficile fare il punto della situazione su Amiu e sullo stato della discarica di Scarpino in questi giorni. La scorsa settimana i vertici dell’azienda e l’assessore all’Ambiente, Valeria Garotta, hanno presentato finalmente le 172 pagine del nuovo piano industriale intitolato “Amiu 2020, recuperare risorse, creare lavoro, in Liguria” in cui, tra le altre cose, sono contenute le misure per scongiurare la chiusura definitiva della discarica sulle colline sestresi.
Nei prossimi giorni, infatti, dovrebbe decadere ufficialmente la legge deroga regionale che consente di conferire i rifiuti a Scarpino nonostante la non adeguatezza del sistema di pre-trattamento alle norme nazionali ed europee. La rumenta genovese e non solo, come già ampiamente raccontato sulle pagine di Era Superba (vedi link sopra), avrebbe dovuto trovare ospitalità altrove: Torino, con buona probabilità, ma non solo dato che il capoluogo sabaudo è ancora alla ricerca di una soluzione per liberare nuovi spazi da dedicare ai nostri rifiuti urbani.
Nel frattempo, però, è successo, di nuovo, l’imponderabile (?). Il problema, adesso, non è tanto lo smaltimento dei rifiuti quotidiani, quanto la gestione della devastazione di un’intera città immersa nel fango. Ci ha provato il sindaco con un’ordinanza immediata che consente il conferimento a Scarpino della montagna di materiale alluvionato accatastato temporaneamente in piazzale Kennedy, in attesa che aria e, prima o poi, sole lo facciano seccare e diminuire di volume: ma con questa quantità di rifiuti (si parla addirittura del quadruplo rispetto all’alluvione del 2011) lo spazio sfruttabile sulle colline sestresi si riduce in men che non si dica. In Regione, dunque, sono ore frenetiche anche su questo fronte. Quella che già era un’emergenza è diventata una situazione assolutamente non più procrastinabile: bisogna mettere nero su bianco gli accordi con le discariche delle regioni limitrofe, e bisogna farlo subito.
Per non farsi mancare nulla, intanto, è nuovamente scattato l’allarme percolato: le vasche di raccolta sono tracimate non solo a causa della pioggia incessante ma anche e soprattutto per colpa di quei rivi sotterranei che scendono dalla vecchia discarica di Scarpino 1 e vanno ad alimentare le vasche stesse. I liquami così sono finiti riversati nel rio Cassinelle, rendendo necessaria l’entrata in vigore dell’ormai consueta ordinanza che, per questo tipo di emergenza, consente l’immissione di percolato nel rio Secco per evitare che entri in crisi anche il depuratore di Cornigliano.
Dal punto di vista tecnico, il piano industriale è sostanzialmente diviso in tre parti: una riguarda gli interventi necessari per la messa in sicurezza della discarica; la seconda, quella più corposa, è riferita allo sviluppo impiantistico e alle varie opzioni, tutt’altro che definitive per un aggiornamento costante dal punto di vista tecnologico, fin qui studiate da Amiu; la terza, infine, offre uno sguardo sulle diverse opportunità europee per finanziare almeno parzialmente i nuovi impianti.
«È evidente – ha dichiarato il presidente di Amiu, Marco Castagna – che siamo all’interno della tempesta perfetta: sono venuti al pettine tutti i nodi delle non scelte amministrative e legislative degli ultimi decenni. La natura, dopo 20 anni di chiusura dalla discarica di Scarpino 1, ci presenta il conto di lavori fatti 50 anni fa. L’unico modo per uscire dalla tempesta è stabilire in quale direzione andare e avere un equipaggio che remi in maniera coerente. Il piano industriale rappresenta la rotta, ambiziosa, che deve portare alla trasformazione di Amiu da società di servizi a società di tipo industriale, che non si occupi soltanto di raccogliere e smaltire i rifiuti ma anche e soprattutto di recuperare materia e produrre energia».
Per abbracciare questo nuovo corso, l’azienda dovrà mettere in campo una serie di azioni strategiche inserite all’interno del nuovo piano industriale che partono da un aumento deciso della raccolta differenziata, passano da un necessario programma di sviluppo e ricerca di progetti innovativi e arrivano a un imprescindibile rinnovamento impiantistico. Tanto che Amiu stessa ha da qualche mese attivato un vero e proprio “Smart Lab” che si occupa di studiare le evoluzioni tecnologiche collegate a una sempre più efficienti gestione del ciclo dei rifiuti.
Per sistemare definitivamente la partita degli sversamenti di percolato dalle vasche servirebbero alcune decine di milioni di euro. Nel piano industriale di fresca redazione si parla di 20 milioni per attività di ricerca e contenimento dell’emergenza già avviate dall’azienda (che quest’anno ha speso circa 2 milioni di euro in proposito) a cui va aggiunta la quantificazione dell’impianto di trattamento del percolato da realizzare in discarica e chiesto dalla Provincia: i costi stimati parlano di 45 milioni di euro per la costruzione e 11 milioni di euro all’anno per la gestione. Una cifra mostruosa.
«Per noi – commenta Castagna – questo tipo di impianto non rappresenta sicuramente la soluzione ottimale ma abbiamo dovuto ottemperare a una prescrizione della Provincia. Stiamo, comunque, lavorando anche su altre opzioni che hanno vantaggi maggiori sia in termini economici che dal punto di vista tecnico-impiantistico. Resta il fatto che i fondi per la messa in sicurezza di Scarpino 1 non devono essere reperiti, come di consueto, ricaricando la tariffa pagata dai genovesi: quando si parla di cifre di questa portata è necessario che ci sia la disponibilità da parte di tutti gli enti a sedersi intorno a un tavolo e progettare soluzioni sostenibili non solo dal punto di vista ambientale ma anche della loro realizzabilità».
Di impianti abbiamo già lungamente parlato nei nostri precedenti approfondimenti dedicati allo stato dell’azienda e del ciclo dei rifiuti cittadino. Vale la pena, comunque, anche in questa sede ricordare per sommi capi quali sono gli investimenti strutturali di cui Amiu non potrà assolutamente fare a meno. I primi, da cui dipende la possibilità di definitiva riapertura di Scarpino (fatte salve clamorose evoluzioni post alluvionali delle ultime ore), sono i separatori meccanici secco/umido che troveranno spazio nelle aree di Rialzo a Campi, e Volpara in Valbisagno, per un costo complessivo di poco inferiore ai 4 milioni di euro. Secondo quanto previsto dal piano industriale, la prima di queste due nuove strutture dovrà essere pienamente operativa entro luglio 2015, ma nelle scorse settimane si era parlato già di maggio/giugno per limitare al minimo i conferimenti di rifiuti fuori regione. Una volta che entrambi i separatori saranno funzionanti, il materiale che ne uscirà dovrà comunque essere conferito extra Liguria in attesa di ulteriori impianti.
Nel 2018 toccherà, infatti, al biodigestore, che con tutta probabilità troverà spazio in aree ex Ilva, per il trattamento e il recupero della frazione organica: entro la fine dell’anno verrà completata la progettazione preliminare per procedere a quella definitiva nei sei mesi successivi e avviare la gara per la realizzazione già nel corso del 2016. A questo impianto è collegato lo studio di come utilizzare il biogas generato come energia alternativa alla corrente elettrica. Sempre per quanto riguarda il trattamento della frazione organica, Amiu dovrà anche approfondire l’opportunità di realizzare un nuovo impianto di compostaggio a Scarpino.
Di pari passo a ciò non va dimenticata la già ampiamente annunciata estensione della raccolta dell’umido in tutta la città entro la fine del prossimo anno: nel 2013, su poco più di 310 mila tonnellate di rifiuti urbani, circa 113 mila sono state rappresentate da materiale organico ma solo 12500 tonnellate sono state differenziate come tale. Su questo capitolo la partecipata ha investito poco più di mezzo milione di euro nel 2014, ha previsto una spesa di 7 milioni per l’anno prossimo e di 3,5 nel 2016.
Infine, bisogna valutare al meglio con quale tipologia di impianto, alternativa al gassificatore, chiudere il ciclo per quanto riguarda la frazione secca dei rifiuti residui.
Collegata alla questione impiantistica, c’è anche la necessità di presentare entro la fine di quest’anno un piano per la realizzazione di nuove Isole Ecologiche, che preveda almeno un sito per ogni Municipio, la cui costruzione dovrà iniziare entro la fine del 2015.
Tante voci, insomma, che messe insieme sfondano la barriera dei 100 milioni di euro. Altra cifra mostruosa ma indispensabile per raggiungere le soglie fissate dall’Europa, ovvero il 50% di raccolta differenziata entro il 2016 e il 65% nel 2020 (nel 2013 Amiu ha conferito a Scarpino 208 mila tonnellate di rifiuti mentre solo 108 mila sono state avviate al recupero, pari al 34,2%).
Ma come si trovano tutti questi soldi? Tre le ricette contenute nel piano industriale: attraverso un aumento delle tariffe; grazie all’apporto di soggetti privati; grazie a investimenti pubblici. È del tutto probabile che tutte le voci concorreranno all’obiettivo finale ma, prendendo per buone le parole dell’assessore all’Ambiente Valeria Garotta che ha più volte dichiarato come «gli investimenti non possono essere finanziati dal bilancio comunale né tantomeno dalle tasse dei genovesi», non resta che concentrarci sulle ultime due voci.
L’ingresso di liquidità privata nel capitale di Amiu era già stato previsto lo scorso anno dalla famosa delibera sulle partecipate (qui l’approfondimento) che prevede la cessione di una quota parte non maggioritaria dell’azienda, a patto che la stessa mantenga funzione e controllo pubblici. L’ingresso di un privato, che libererebbe Amiu dal suo status di azienda in house, potrebbe avvenire attraverso un partenariato pubblico-privato nelle forme di un poject financing, dando vita ad esempio a una Newco per la gestione del nuovo polo impiantistico, oppure con il coinvolgimento di una multiutilities così come promosso con forza dal governo nel tentativo di ridurre il numero delle società partecipate dagli enti pubblici.
Se la decisione dell’ingresso di privati in Amiu, che spetta esclusivamente a Giunta e Consiglio comunale, si può prestare ad ampio dibattito politico, nessun dubbio suscita invece l’opportunità caldeggiata dalla stessa azienda di guardare con molta attenzione ai fondi strutturali comunitari per la copertura di buona parte degli investimenti necessari. E proprio alla ricerca di fondi e altre forme di finanziamento comunitarie, come già anticipato sulle nostre pagine, è dedicata una sostanziosa appendice del piano industriale di Amiu. Questo capitolo dipende fortemente dalla prossima programmazione che Regione Liguria dovrà fare circa l’utilizzo delle risorse europee. Lo strumento principale di finanziamento delle politiche di sviluppo economico comunitario è rappresentato dai fondi strutturali e di investimento europei (SIE) da cui scende a cascata una serie pressoché infinita di altri progetti. Il coinvolgimento diretto di Piazza De Ferrari è dovuto al fatto che i finanziamenti vengono erogati secondo un Piano operativo regionale (POR) che fa riferimento al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR): la normativa prevede che l’80% delle risorse di questo fondo debbano essere investite in ricerca e innovazione, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, competitività delle piccole e medie imprese, transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Ma il restante 20% può essere liberamente impiegato sugli altri obiettivi tematici delle politiche di coesione tra cui spicca la tutela dell’ambiente e l’efficienza delle risorse.
Come si diceva, vi è poi tutta una serie di progetti più specifici che potrebbero coinvolgere Amiu, tra cui: Horizon 2020, dedicato al finanziamento per l’innovazione sui temi dell’efficientamento energetico e sulla riduzione del consumo di acqua; Life, strumento finanziario dell’UE per l’ambiente; Urbact III, programma di cooperazione interregionale che punta alla transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio e alla tutela dell’ambiente attraverso l’efficientamento delle risorse; Jessica, a favore dello sviluppo urbano sostenibile; gli strumenti finanziari della Banca Europea degli Investimenti dedicati proprio alla messa a frutto delle politiche di coesione. Insomma, il quadro comunitario è molto variegato e le disponibilità possono essere davvero notevoli: certo, questo tipo di finanziamenti non può essere lasciato al caso ma ha bisogno di una programmazione puntuale, condivisa e costantemente monitorata.
Tra le risorse pubbliche, naturalmente, ci sono anche quelle nazionali e, in particolare, i cosiddetti Fondi per lo sviluppo e la coesione (FSC, ex FAS): si tratta di uno strumento per la realizzazione di interventi in aeree sottoutilizzate elargiti dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e gestiti anch’essi dalle Regioni. Tutto ruota attorno a Piazza De Ferrari e la gestione delle attuali emergenze unita alle imminenti elezioni, purtroppo, disegnano un quadro non esattamente ottimale.
«L’attuazione di questo piano industriale – chiosa il presidente di Amiu, Marco Castagna – potrebbe essere una delle nostre ultime opportunità: non ci sono molte alternative. Si tratta di un progetto credibile che deve essere visto come opportunità di sviluppo per l’intera Regione, intorno al quale si deve ritrovare un po’ di quella visione strategica che negli ultimi tempi mi sembra si sia un po’ persa perché ciascuno pensa solo alla propria autotutela». Appunto.
Simone D’Ambrosio