Facciamo chiarezza sulla bozza di disegno di legge che determinerà le future politiche di trasformazione urbana. Era Superba ha chiesto un parere all'architetto e urbanista genovese, Giovanni Spalla. «Partiamo da una questione di fondo: l'impostazione di questo disegno di legge è legittima dal punto di vista della legislazione europea?»
Finora si tratta soltanto di un’ipotesi di riforma urbanistica, che tuttavia fa già discutere, visto che parliamo di una bozza di disegno di legge – redatta dal gruppo “rinnovo urbano” della segreteria tecnica del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, guidato da Maurizio Lupi – riguardante i “Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana“, destinata a ridisegnare le linee guida di governo del territorio, a distanza di 72 anni dall’ultima norma quadro statale, la Legge 1150/1942.
Nei 21 articoli della bozza – suddivisi in Titolo I (Principi fondamentali in materia di governo del territorio, Proprietà immobiliare, Accordi pubblico-privati; art. 1-16) e Titolo II (Politiche urbane, Edilizia sociale, Semplificazioni in materia edilizia; art. 17-21) – vengono affrontate molteplici questioni alle quali in questi anni hanno provato a dare risposta prassi urbanistiche consolidate a livello locale, emanazione di leggi regionali (qui l’approfondimento sulla Legge ligure) spesso tra loro disimogenee, data la perdurante assenza di un’adeguata copertura legislativa nazionale.
Lo schema concettuale alla base del nuovo dispositivo, però, è evidentemente caratterizzato da un’impostazione pianificatoria sbilanciata in termini privatistici, come si evince fin dall’articolo 1, nel quale si afferma “Ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto di iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà conformemente ai contenuti della programmazione territoriale”, che trova conferma nell’art. 8 “Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento […] Le limitazioni apposte alla proprietà che non hanno carattere generale e che non riguardano in generale una categoria di beni economici sono compensate”.
Nel contempo, nel disegno di legge non compare mai la “partecipazione dei cittadini” in merito alle scelte urbanistiche, nè la possibilità di presentare osservazioni ed opposizioni, ad eccezione dell’art. 17 in cui si parla vagamente di “dibattito pubblico” soltanto in occasioni di operazioni di rinnovo urbano “…che comportano abbattimento e ricostruzione di porzioni di città”. Per altro, nello stesso articolo si sottolinea che tali operazioni “…possono essere realizzate anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanistico tra Comune e privati interessati”.
Infine, viene sancito il principio della completa volatilità dei diritti edificatori, quando all’art. 12 si afferma “I diritti edificatori sono trasferibili e utilizzabili, nelle forme consentite dal piano urbanistico, tra aree di proprietà pubblica e privata, e sono liberamente commerciabili […] Ove i diritti edificatori, conferiti sia a titolo di perequazione, compensazione e premialità, siano ridotti o annullati a seguito di varianti del piano urbanistico, non obbligatorie per legge, il Comune deve indennizzare i relativi proprietari sulla base del criterio del valore di mercato”. Secondo alcuni esperti questo è il preludio alla distruzione della visione di città, senza dimenticare che, così facendo, la facoltà di edificare perde la sua natura urbanistica per trasformarsi in mero oggetto di un contratto (vedi l’articolo del professore Mauro Baioni sul sito specializzato Eddyburgh).
La proposta del Governo è stata accolta con favore dall’Inu (Istituto nazionale di urbanistica), che in un comunicato esprime soddisfazione “Per la definizione di temi quali il ricorso alla semplificazione, alla perequazione, alla compensazione e alla fiscalità immobiliare; il rinnovo urbano; la definizione dei diritti edificatori, sebbene noi riteniamo che, detti diritti, nascono e muoiono con il piano e nel piano. Bene anche la formalizzazione di modalità operative già praticate grazie alle riforme regionali e alle buone pratiche locali: la rilocalizzazione degli insediamenti esposti a rischi naturali, la premialità ai fini della riqualificazione urbanistica, l’individuazione dei tempi di approvazione dei piani operativi comunali, la rimodulazione degli oneri di urbanizzazione in funzione dei contesti, la definizione di un contributo straordinario per le trasformazioni urbane. Sottolineiamo, inoltre, l’istituzione della Direttiva Quadro Territoriale e dei programmi statali di intervento speciali, nei quali si può leggere in controluce l’embrione delle politiche nazionali per le città. Consideriamo fondamentale che il testo si occupi finalmente di pianificazione di area vasta (Unione dei Comuni e Città Metropolitane) e spinga verso la pianificazione intercomunale”. Infine l’Inu ricorda che “Alla riforma nazionale del governo del territorio deve accompagnarsi un’organica e coerente riforma degli assetti istituzionali, con relative attribuzioni di competenze e chiare responsabilità politiche e di governo. Ci vuole, insomma, un raccordo pieno fra la riforma urbanistica nazionale proposta e la riforma del Titolo V della Costituzione, ove è abrogato il governo del territorio come materia concorrente, attribuita, invece, come esclusiva allo Stato”.
Sull’altro fronte, pure il presidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Paolo Buzzetti, dalle pagine del “Sole 24 ore”, sottolinea la bontà dell’iniziativa “Soprattutto per dare copertura legislativa a una serie di innovazioni che si sono diffuse negli anni in leggi regionali e piani regolatori. Noi siamo per fissare regole nazionali uguali per tutti. Se certi strumenti funzionano, come perequazione e compensazione, dobbiamo farli applicare a tutti. Dobbiamo ragionare nel lungo termine, almeno 15 anni. Positiva è anche la parte che punta a spingere il rinnovo con sconti fiscali e premialità urbanistiche. Ma ragioniamo sull’opportunità di stralciarla dalla riforma urbanistica, che ha necessariamente tempi lunghi, per inserirla subito in un decreto legge“.
Era Superba ha chiesto un parere sulla bozza di riforma urbanistica all’architetto e urbanista genovese, Giovanni Spalla, voce critica dell’associazione Legambiente. «Partiamo da una questione di fondo: l’impostazione di questo disegno di legge è legittima dal punto di vista della legislazione europea?». Il professor Spalla si riferisce alla “Valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente naturale”, introdotta nella Comunità europea dalla Direttiva 2001/42/CE – detta Direttiva VAS (Valutazione ambientale strategica) – entrata in vigore il 21 luglio 2001. Nell’ordinamento italiano la Direttiva 2001/42/CE è stata recepita con la parte seconda del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, modificata e integrata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128. I principali elementi di innovazione introdotti con la VAS sono: il criterio ampio di partecipazione, tutela degli interessi legittimi e trasparenza del processo decisionale, che si attua attraverso il coinvolgimento e la consultazione dei soggetti competenti in materia ambientale e del pubblico in qualche modo interessato dall’iter decisionale; l’individuazione e la valutazione delle ragionevoli alternative del piano/programma, valutazione che si avvale della costruzione degli scenari previsionali di intervento riguardanti l’evoluzione dello stato dell’ambiente conseguente l’attuazione delle diverse alternative; il monitoraggio che assicura il controllo sugli impatti ambientali significativi derivanti dall’attuazione dei piani, così da individuare tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e adottare le opportune misure correttive.
«Nella bozza non c’è un minimo riferimento alla Vas – spiega Spalla – Si tratta di una mancanza inspiegabile. Seppure con ritardo, la Vas è stata recepita dalla legislazione nazionale e negli ordinamenti regionali. Pensiamo al caso di Genova. La Regione Liguria, giustamente, finora non ha dato il suo via libera al preliminare di PUC del Comune, proprio perchè non rispetta la Valutazione ambientale strategica a cui è sottoposto il piano regolatore, ad esempio sul punto della partecipazione che, secondo la Vas, è elemento strutturale del processo pianificatorio, e deve essere garantita prima ancora di definire gli obiettivi della pianificazione, durante la definizione, e successivamente. Un concetto innovativo completamente bypassato dal disegno di legge». Inoltre, continua Spalla «Ogni volta che si redige un piano/programma che prevede la trasformazione del territorio, prima di intervenire occorre valutare i possibili effetti sull’ambiente (inteso l’insieme di vari elementi come suolo, sottosuolo, corsi d’acqua, ed altri fattori di rischio) diretta conseguenza degli interventi previsti, cercando di eliminare tali rapporti di causa-effetto, e predisponendo misure di attenuazione degli impatti contemplati. La Regione Liguria ha sostanzialmente bocciato il PUC di Genova proprio perchè lo considera reticente in merito a questi aspetti».
Con deliberazione n. 689 del 6 giugno scorso la Giunta regionale ligure sottolinea di “non ritenere atto di ottemperanza al parere motivato di VAS sul progetto preliminare del PUC di Genova – DGR 1280/2012 -” il documento “verifiche/ottemperanze” del Comune, DCC n. 6/2014, finalizzato alla realizzazione del progetto definitivo di PUC.
«Le critiche della Regione sono del tutto condivisibili dal punto di vista urbanistico e ambientale – spiega Spalla che recentemente è intervenuto per sostenere la sua contrarietà al progetto di trasformazione del distretto Fiera Piazzale Kennedy – Soprattutto quando imputano al Rapporto Ambientale del Comune di non “descrivere i possibili effetti significativi (compresi quelli secondari), cumulativi, sinergici a breve, medio, lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi […] di demandare a pianificazione di settore o a pianificazione attuativa né la descrizione e quantificazione di tali effetti né la soluzione dei possibili impatti da essi generati”».
Dalla bozza di Ddl emerge, quale esigenza improcrastinabile, rimettere mano – sul piano politico – a tutta la legislazione centrale e locale in materia urbanistica. «L’obiettivo è sicuramente condivisibile – sottolinea Spalla – anche perché finora le Regioni spesso hanno legiferato in maniera difforme una dall’altra, e sovente non hanno lavorato a sufficienza, ad esempio per quanto riguarda la mancata realizzazione dei piani territoriali regionali. Dunque, se lo Stato intende riacquistare delle funzioni programmatorie e di pianificazione, è un fatto positivo, che tuttavia deve trovare migliore spiegazione nelle pieghe della legge».
L’art. 5 del Ddl, infatti, afferma “Per l’attuazione delle politiche in materia di “governo del territorio” lo Stato adotta una Direttiva Quadro Territoriale (DQT) […] La DQT definisce gli obiettivi strategici di programmazione dell’azione statale e detta indirizzi di coordinamento al fine di garantire il carattere unitario e indivisibile del territorio”.
L’impostazione della nuova normativa, prettamente a beneficio della proprietà immobiliare, lascia perplesso l’urbanista Spalla. «In effetti sembra una legge funzionale ai privati. Il tema della proprietà va posto a livello nazionale. La bozza di Ddl tocca uno dei vulnus più gravi dell’urbanistica italiana, che non ha mai chiarito il rapporto tra uso pubblico del suolo e diritto della proprietà privata. Se noi facciamo coincidere questi due elementi, significa che tutto il territorio diventa edificabile. Vuol dire, allora, che i piani regolatori stabiliscono un indice di edificabilità su tutto. La perequazione vuol dire questo. Nella pratica reale, però, tale istituto (che trova attuazione tramite l’attribuzione a tutte le aree soggette a trasformazione urbanistica di diritti edificatori senza distinzione tra destinazioni d’uso pubbliche e private, ndr) si è rivelato un fallimento».
Infine, Spalla mette in evidenza due ulteriori strumenti, citati nell’art. 12 del Ddl, e considerati dall’urbanista estremamente pericolosi, ovvero la trasferibilità e la commercializzazione dei diritti edificatori. «Siamo dinanzi alla completa volatilità dei diritti edificatori. Così il territorio diventa un campo di battaglia dei poteri forti, come purtroppo già avviene, ma la situazione non può che peggiorare. Questo è un modo mafioso di vedere il territorio. Così non esiste più una visione di città, si cancella il rispetto per la storia della città e della sua morfologia, tutto in funzione della speculazione. Io sono un urbanista e, dunque, posso ipotizzare le ricadute di simili scelte nell’operare concreto, insomma nel realizzare i vari piani/programmi urbanistici, quindi le leggi regionali, i piani territoriali regionali, i piani regolatori, ecc. Di conseguenza, il mio giudizio generale sul Ddl è negativo ».
Matteo Quadrone