Nel calderone degli “sport minori”, si muove un mondo sotterraneo, che coinvolge tanti genovesi, sportivi giovani e meno giovani. Quali sono gli sport, dopo il calcio e la pallavolo, maggiormente praticati a Genova e in Liguria? Abbiamo incontrato tre atleti di tre diverse discipline, il Kando, la corsa e il football americano
I liguri lo sport lo seguono, lo praticano, comunque lo amano; ma se andiamo a spulciare i dati oltre il calcio, che fagocita la maggior parte delle risorse e dell’attenzione dei media, troviamo un mondo talmente variegato da essere quasi impossibile da catalogare. La prima difficoltà, infatti, la riscontriamo al Coni, dove non riescono a suggerire un modo per individuare quanti potrebbero essere gli sport praticati in Liguria; però ci consigliano, e ci procurano, l’Annuario Ligure dello Sport 2015. Si tratta di un volume, giunto all’ottava edizione, scritto da Marco Callai e Michele Corti, che è una minuziosa e puntuale immagine di quello che è oggi lo sport in Liguria, sia dal punto di vista delle società, enti o associazioni che da quello dei media e delle istituzioni. Qualche numero giusto per capire di cosa stiamo parlando: 3000 Società sportive, 45 Federazioni, 15 Enti di Promozione e 19 Associazioni Benemerite.
Basta un’occhiata all’Annuario per realizzare che riportare qui un elenco degli sport praticati anche solo in provincia sarebbe cosa lunga e pedante: fra i più praticati, citiamo su tutti il football americano, maschile e femminile, la pallamano ed il cricket, il canottaggio e l’hockey. Poi c’è il softball e i grandi arcipelaghi dell’atletica – che comprende discipline diversissime – e delle arti marziali che è in continua evoluzione.
Sono tantissimi gli atleti che praticano in condizioni non certo ottimali, spesso costretti ad anticipare il costo di attrezzature e materiali, se agonisti, o comunque ad adattarsi all’ormai perenne carenza di fondi che rende ogni società, ogni associazione, in balia di finanziatori e di sponsor talvolta raccogliticci e di dubbia affidabilità. Il problema dei soldi è ovviamente un tema ricorrente nella nostra ricerca: spesso l’esistenza stessa di un’associazione, il suo federarsi o meno è dovuto alla cronica incapacità, o forse impossibilità, di reperire le risorse necessarie.
Daniele ha 26 anni, è laureato in Storia, ed è genovese: una volta a settimana va nella palestra di Colle degli Ometti dove si allena per il Kendo, un’antica disciplina orientale di arti marziali, in cui spirito, tecnica e corpo sono ugualmente importanti, ma dove l’elemento dominante è proprio lo spirito, che guida la tecnica a fare ciò che è necessario per il corpo. «La nostra non vuole essere solo un’attività sportiva, tanto è vero che non viene richiesto l’inserimento negli sport olimpici, perché in realtà c’è il timore che la purezza del gesto possa essere stravolta per ottenere dei risultati agonistici», racconta Daniele.
Ma come mai ad un ragazzo viene voglia di praticare uno sport così introspettivo? «Io sono sempre stato molto affascinato dall’Oriente, dalla lingua, dai costumi e dalla civiltà orientale. Frequentando il Cus Genova, qualche anno fa, il Kendo era nell’offerta insieme ad altri sport: ho voluto subito provare e ne sono rimasto affascinato. Pratico anche altri sport, faccio tennis, nuoto: però cercavo qualcosa che mi facesse crescere, oltre che il fisico, anche lo spirito. E nel kendo direi che l’ho trovato». Il Cus non è l’unica palestra dove si pratica il Kendo a Genova: «la palestra principale è l’Andrea Doria, in zona Carignano; poi a Levante c’è appunto la palestra Colle degli Ometti, ed esistono almeno un paio di altre strutture, una a Sampierdarena ed una a Rapallo». E quanti atleti a Genova si sono avvicinati a questa discplina? «Sono circa 30/40 che frequentano regolarmente l’Andrea Doria, nella mia palestra invece siamo meno di dieci e stessa cosa mi sembra sia nella palestra di Sampierdarena». Cerchiamo di capire a grandi linee in che cosa consiste questa disciplina e se si tratta di un’attività costosa: «No, come sport non è costoso anche se quando devi comprarti l’armatura almeno 500 euro li spendi, ma per iniziare e per parecchi mesi non ti serve niente, la palestra ha quanto ti occorre. Per noi allenarsi è una cosa sia fisica che mentale, infatti arrivi all’incontro con l’avversario quando sei già parecchio avanti nella preparazione: all’inizio il compagno è lì solo per farsi colpire. Come sport non è affatto competitivo, certo non c’è lo spirito di squadra ma è anche vero che quando l’avversario ti colpisce in realtà devi essergli grato, perché ti ha mostrato un tuo lato debole su cui lavorare, qualcosa insomma da migliorare».
Da un ragazzo che passa parte del proprio tempo libero con uno sport che è anche introspezione, ad un altro che dell’istinto fa il proprio punto di forza. Matteo Espinoza oggi è un quarantenne che fa il broker a Montecarlo, e del suo sport “di nicchia” ha uno splendido ricordo. «Ero andato allo Sport Show, una manifestazione che organizzavano alla Fiera del Mare negli anni ‘90, avevo 21 anni, ero appassionato di tanti sport fra i quali proprio il Football americano, che in quegli anni veniva trasmesso da Italia1 ed io ero molto incuriosito. C’era lo stand degli “Squali Golfo del Tigullio”, lo vidi, ne rimasi folgorato, e mi buttai a capofitto in questa impresa. Allenamenti a Chiavari, corsa quotidiana, palestra: per diventare un giocatore vero devi allenarti un’infinità di tempo». Ora, per chi volesse provare con questo sport occorre andare a Savona, dove c’è la bella realtà dei Pirates, che giocano a 9 (una specie di serie B, ndr) o a Sarzana, dove i Red Jackets sono Campioni d’Italia in carica. Intanto nel Tigullio hanno rifondato la squadra dei Predatori Golfo del Tigullio, ma a Genova purtroppo non riesce a decollare niente in questo senso. «Io ormai ho attaccato il caschetto al chiodo: questo sport non puoi praticarlo come un passatempo, è troppo impegnativo dal punto di vista fisico, praticamente devi avere lo scatto di un centometrista in un corpo di 100 chili. Ma anche se la nostra fu una stagione d’oro, se guardo all’ambiente da esterno vedo che che l’interesse dei giovani c’è, anzi forse gli appassionati sono anche aumentati. Quello che manca è piuttosto un coordinamento fra le federazioni ed un accordo fra queste ed il Coni, con il quale invece i problemi sono tantissimi».
Ma per un atleta che rinuncia, ce ne sono altri che non smetterebbero mai, anzi: «Basta? Io penso di non aver mai detto basta alla corsa, e non riesco neanche ad immaginarmi un futuro senza poter correre». Così Sonja Martini della Cambiaso Risso Running Team, una vita per la corsa. «Ho 38 anni ed ancora sto migliorando, sto crescendo. Se qualcuno mi considera una sportiva amatoriale ha ragione, in effetti io come lavoro faccio ben altro che correre: cucino, vendo, affetto salumi in una gastronomia, e faccio anche lavori di pulizia, quindi un’attività fisicamente pesante. Ma una persona che si allena come faccio io, con i ritmi che mantengo, con un allenatore vincente (Sergio Lo Presti, ndr) ed essendo la campionessa italiana in carica dei 10.000 su strada, beh, qualcosa più di una dilettante mi posso considerare. Certo, della corsa non sono riuscita a fare una professione, ma la mia è una passione grandissima, intorno alla quale gira il resto della mia vita».
«L’ambiente della corsa – continua Sonja – è molto bello, molto allegro, partiamo tutti insieme per andare alle varie gare, magari stiamo nello stesso albergo, organizziamo cene, ci incontriamo tutti quanti. Essere sereni è fondamentale per avere dei risultati, ed io ne sto avendo, perché quest’anno oltre al titolo ho fatto i 10mila su pista in 35’40” e mi sono anche classificata per i 3mila siepi a Torino, campionato italiano. Il mio futuro? Di corsa, ovviamente. Appena mi renderò conto di avere il recupero rallentato, invece di insistere con i 10mila o con le siepi, che sono la mia ultima passione, mi dedicherò alla maratona. Non c’è niente da fare, io senza la corsa mi spengo, non sono più io».
Queste sono solo tre persone in un mondo che conta migliaia di praticanti, tre atleti con preparazioni, storie, vite completamente diverse. Storie di entusiasmo, di passione, di fatica, mentre alle loro spalle, nelle associazioni, nelle strutture, ci sono esempi di persone che svolgono un lavoro anche più oscuro con impegno e assoluta correttezza, ma anche altre con un’atavica tendenza all’autogoverno, alle rendite di posizione, per quanto piccole possano essere, all’incapacità di condividere conoscenze ed opportunità.
Bruna Taravello