"Il giardino che appare tra i tetti e le case, tutto fiorito di rose rosse e fresco per le acque delle piccole fontane...dove le nobili famiglie della città, con gli abiti della cerimonia, girano intorno con le carrozze di gala..." Charles Dickens
Bimbi in bicicletta sulla ghiaia che scricchiola, una banda musicale che suona poco lontano, dondolii di altalene, grida di bimbi, un pallone che sfreccia nell’aria, alberi secolari e tanta pace, interrotta solo dal passaggio di qualche vecchia automobile che arranca rumorosa: questo è un Parco dell’Acquasola che rimane, solo, nel ricordo infantile di qualche mamma, già negli anta, e nella memorie di nonne ultraottantenni.
Il presente, fatto di incuria e transenne, è il risultato di una storia ventennale di cattiva politica. Un “incompiuto”: né area verde, come era, né posteggio a tre piani, come avrebbe dovuto essere e, fortunatamente, non è stato.
Una storia già ampiamente trattata anche da Era Superba e che si arricchisce di un nuovo capitolo con l’avviso di garanzia notificato a una funzionaria della sovraintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria, a cui potrebbero essere aggiunti, dopo essere stati sentiti dal pm Francesco Albini Cadorna, altri tecnici tra quelli comunali o della società “Sistema Parcheggi”. Nel mirino delle indagini sono, infatti, coloro che avevano espresso pareri favorevoli sulla fattibilità dell’opera, chiaramente in contrasto con quanto prescritto dalla Carta di Firenze del 1981 che, all’art.14, vieta espressamente la costruzione di parcheggi in aree di interesse pubblico. Per la precisione, alla funzionaria, una delle ultime firmatarie del nulla osta per l’inizio dei lavori, si contesta la violazione dell’articolo 170 del Codice dei Beni Culturali che proibisce la costruzione di opere con uno scopo “incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità”.
LA STORIA DEL PARCO DELL’ACQUASOLA
L’Acquasola è stato il primo giardino pubblico di Genova ma anche uno dei primi in Italia, i cui natali si perdono nel tempo. Già tra il 1320 e il 1347 , vi era, qui, una spianata contenuta in una cinta muraria, demolita nel ‘500 per far posto alle nuove mura dell’architetto Olgiati: un paesaggio di chiese e conventi in cui non mancava pure un “bosco sacro” o perlomeno considerato tale fino al 1468, che si estendeva da qui fino a Soziglia, dedito più ad incontri segreti di innamorati che a pratiche religiose.
Un varco interrompeva la continuità della fortificazione: la Porta di San Germano dell’Acquasola, toponimo quest’ultimo di incerta origine: qualcuno sostiene derivi da ” Lacca”, dea a cui era dedicato il bosco, sorella di Camulio o Camuggio, il “Sole”; per altri verrebbe da “Acca”, in sanscrito “madre”, e da “Solis” una delle Diadri; altri ancora lo fanno discendere da “Arca Sol” (residenza degli Arcadi) o dagli Acquizzoli, canali che raccoglievano le acque del Rio Multedo che scendevano da circonvallazione a monte.
Nel XVI secolo, questa area, citata col nome dei “muggi”, per i detriti accumulati nella realizzazione di via Garibaldi, via Balbi, e via Giulia (l’attuale via XX Settembre), divenne una discarica, cui solo faceva eccezione il Fossato che era adibito ad una specie di “stadio” per il gioco delle bocce ma, soprattutto, della palla genovese, il pallamaglio, svago considerato “bestiale e pericoloso” per le frequenti pallonate con cui venivano colpiti i passanti.
L’uso di questo spazio fu sospeso, nel 1657, per essere usato come fossa comune degli appestati e, per lungo tempo, rimase un luogo incolto ed inospitale. Nel 1818 con la demolizione del Convento medievale di S. Domenico (area del Carlo Felice), anche il Fossato fu colmato e, due anni più tardi, su progetto di Carlo Barabino, iniziarono i lavori per renderlo spazio pubblico.
La spianata fu cinta da un possente muraglione che inglobò l’antica Porta dell’Olivella, vecchie pietre che nascondevano, nottetempo, gli incontri clandestini degli affiliati alla carboneria di cui, tra i più noti, si annoverano Giuseppe Mazzini, i fratelli Ruffini, Cesare Bixio (fratello del più celebre Nino), Giorgio e Raimondo Doria, quest’ultimo indicato come delatore ed informatore della polizia. Il luogo delle riunioni viene identificato nel punto in cui il muraglione aggettava sulla Contrada degli Orfani, l’attuale via Galata. L’infame traditore pare che abbia compiuto un’unica opera meritoria: come compenso per la sua voltagabbana avrebbe richiesto che si dotasse il parco di illuminazione pubblica.
Come fosse l’Acquasola lo ricorda lo scrittore inglese Charles Dickens: “il giardino che appare tra i tetti e le case, tutto fiorito di rose rosse e fresco per le acque delle piccole fontane…..dove le nobili famiglie della città, con gli abiti della cerimonia, se non con perfetta saggezza, girano intorno con le carrozze di gala…”.
Un’epoca in cui questo parco era tanto famoso che, a Mosca, decisero di copiarne il nome per una loro elegante passeggiata, così ameno da essere stato visitato da Gustavo di Svezia e dall’Imperatore d’Austria (1784), dagli Arciduchi di Milano(1786) e dal Principe Condè, nel 1789. Ricordi che raccontano le lamentele, tra cui quelle di Martin Piaggio, per la velocità eccessiva delle carrozze, le sentite contestazioni del Banchero che giudicava, giustamente, indecente la distinzione sociale per cui l’aristocrazia “misurava cento volte un lato (quello sinistro), anziché di fare l’intero giro” per non mescolarsi con il popolo che passeggiava su quello destro e, non ultimo, il richiamo indignato di Mark Twain che giudicava indecoroso fumare durante le passeggiate e sbeffeggiava i raccoglitori di mozziconi la cui attesa, per una “cicca” ancora fumante, era paragonata a quella di “quel becchino di San Francisco che soleva visitare i letti dei malati e, orologio alla mano, calcolare il tempo in cui quelli sarebbero diventati cadaveri”.
Tra i flashback, anche, i primi scontri tra conservatori e progressisti del 1797, il banchetto offerto ai reduci di Crimea nel 1855, i festeggiamenti riservati agli Zuavi, venuti a combattere in Italia (1859) e distintisi, in quell’anno, nella battaglia di Pastrengo, nonché quelli per i Chioggiotti, dopo la liberazione del Veneto.
Adriana Morando
Foto di Daniele Orlandi