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Storie al Lavoro, la visita alla mostra: parole e immagini raccontano la crisi

Si esce dalla mostra con una domanda: perché siamo tutti consci della situazione ma immobilizzati? "Storie al lavoro" non è un'esposizione da vedere di fretta o in larga compagnia: richiede silenzio e riflessione, esige che vi concentriate solo su ciò che ha da raccontarvi, senza distrazioni


27 Gennaio 2014Notizie

sala-dogana-ducale-DIC’è molto da leggere, e molto da osservare, su un tema – il lavoro, con tutte le problematiche che oggi vi sono legate – che è ormai presente nella nostra quotidianità come un’estrema e dolorosa urgenza. Gli autori di “Storie”, allievi della scuola di storytelling StudioStorie di Sergio Badino (curatore della mostra), ci danno il loro personale punto di vista sulla situazione: racconti che partono da spunti evidentemente reali, talvolta librandosi in trame futuristiche o iperboliche, talaltra rimanendo saldamente ancorati al terreno con uno sguardo impietoso su ciò che è il nostro paese oggi. A dar loro man forte giunge il prezioso apporto dei disegnatori coinvolti da Badino in questo progetto per arricchirlo fornendo un supporto visivo ad alcune delle sceneggiature, con un risultato di grande effetto grazie all’unione di parole e immagini: «Sceneggiatori e disegnatori si sono conosciuti a cose fatte, direttamente in mostra. Scopo dei miei corsi – racconta Badino – è dare un’impostazione professionale alla scrittura, quindi gli sceneggiatori dovevano scrivere storie comprensibili da un disegnatore. La sceneggiatura doveva essere completamente accessibile. Interpretabile, naturalmente, come ogni sceneggiatura, ma prima di tutto chiara». Non è detto, infatti, che in una situazione tra professionisti le due figure entrino necessariamente in contatto.

Colpisce, in questi racconti, la profonda consapevolezza della realtà, e la capacità degli autori di restituirla pienamente, cosa ancora più notevole se si considera che tra gli allievi del corso – così come tra i disegnatori – ci sono molti giovani sui vent’anni (e un giovanissimo sceneggiatore di sedici, Ezequiel Espinosa): a dimostrazione del fatto che i giovani sanno tutto di crisi, lavoro, futuro negato, e attraverso le immagini e le parole dei loro racconti ne parlano con un’efficacia inaspettata, che distoglie il fruitore da qualsiasi torpore e lo prende a schiaffi, tirandogli fuori rabbia e sentimenti altrimenti anestetizzati dall’abitudine ormai consolidata a questa realtà.

Sergio Badino storie al lavoro fumettiBadino ha creato le coppie sceneggiatori-disegnatori, scegliendo questi ultimi «in certi casi in base all’affinità emotivo-artistica: avendo letto le storie e conoscendo i tratti, ho capito che insieme alcune persone avrebbero creato una miscela interessante, e così in alcuni casi è stato. In altri invece mi sono mosso in base alla curiosità di vedere cosa sarebbe uscito da una certa sceneggiatura interpretata da un dato segno». A quanto pare la logica seguita ha funzionato: i riscontri dei visitatori e i complimenti reciproci tra sceneggiatori e disegnatori lo attestano.

Ma la scelta di un tema così dolorosamente attuale può rischiare di concentrare troppo l’attenzione dello spettatore sui contenuti, impedendogli di apprezzare appieno le qualità puramente estetiche delle opere? No per il curatore:

Nel fumetto la storia è narrata dagli sforzi congiunti di parole e immagini: in questo mezzo di comunicazione, dall’unione di questi due elementi, la storia prende vita. Tutto il resto è esibizionismo, di parole come di immagini: tutto ciò che esula dal fine ultimo, cioè la narrazione, è da considerarsi un di più. Una tavola a fumetti deve prima di tutto raccontare una storia, attraverso testi incisivi e immagini efficaci.

Ed ecco allora che una congerie di figure umane che tutti conosciamo si affastellano nei racconti, cercando di districarsi in un mondo inospitale: migranti, camalli, giovani che fanno tre quattro lavori per sopravvivere, ricercatori con le mani sporche di sangue (degli animali che uccidono per lavoro), esodati, impiegati di call center, laureati all’estero, freelance squattrinati.

A differenza degli sceneggiatori, tutti i disegnatori sono professionisti, ci ricorda Badino. Tra di loro, per fare qualche esempio «Matteo Anselmo ha di recente vinto un concorso nazionale per il miglior omaggio ad Andrea Pazienza, Francesco D’Ippolito è da oltre un decennio un disegnatore Disney, Federico Franzò disegna le Winx; Stefano Tirasso è stato segnalato da un importante sito di critica fumettistica come uno dei cinque giovani disegnatori italiani da tenere d’occhio; Giorgia Marras sta per uscire con un romanzo a fumetti dei cui testi è anche autrice».

Un motivo in più quindi per apprezzare questo grande lavoro collettivo carico di aspetti molto diversi tra loro: «Primo fra tutti mostrare la pari dignità di fumetto e narrativa – dice Badino – come forme di comunicazione, entrambe in grado di far emergere tematiche forti, sociali, sentite. Si avverte spesso un po’ di snobismo tra l’uno e l’altra, quando invece si tratta semplicemente di modi di narrare sì differenti, ma con principi comuni. Ogni mezzo di comunicazione ha da imparare dagli altri, senza distinzione. Altra nota importante è l’aver proposto una mostra in cui racconti e fumetti sono mescolati come carte in tavola, si presentano vicini, gli uni accanto agli altri, nudi e crudi, sinceri: non è una cosa che si vede così spesso. Ultimo aspetto: l’aver offerto una carrellata priva di retorica su un problema più che mai oggi percepito come tangibile. “Storie al lavoro” ci dice, attraverso oltre trenta storie brevi, quale sia la percezione del tema per un gruppo di universitari, giovani studenti, professionisti, che col lavoro hanno a che fare ogni giorno. Una discreta fotografia panoramica».

Si esce dalla mostra con una domanda: perché siamo tutti così consci della situazione ma così immobilizzati? Per Badino «scopo di chi scrive non è trovare soluzioni, ma far sì che l’opinione pubblica si concentri e sensibilizzi su un dato problema. Siamo stati tutt’altro che immobili: “Storie al lavoro” è la nostra risposta». Allo spettatore non resta che cercare, anch’egli, una propria risposta.

 

Claudia Baghino


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