I ragazzi partecipano agli eventi cittadini e con lo smartphone intervistano esperti, ricercatori e docenti universitari di fama internazionale per parlare di questioni complesse (diritti umani, mediazione culturale, Medio Oriente, diritti dei popoli) in modo semplice e alla portata di tutti
Avete mai sentito parlare di Under the Map? In un momento in cui si parla molto di start-up e iniziative creative, durante una puntata di #EraOnTheRoad siamo andati a conoscere i fondatori di questo progetto “made in Zena”. Una bella giornata, un caffè insieme, una conversazione stimolante in cui ci hanno illustrato, con entusiasmo e competenza, i punti principali della loro iniziativa.
In sostanza, Under the Map è una web tv che nasce a Genova nel febbraio 2013 dall’iniziativa di un gruppo di ragazzi under 30 – quasi tutti dottorandi all’Università di Genova – e si occupa di politica internazionale, cultura e società. Il progetto nasce con l’intento di parlare di questioni complesse (come quelle relative a diritti umani, mediazione culturale, Medio Oriente, diritti dei popoli) in modo semplice e alla portata di tutti. La situazione si complica se pensiamo che, per riuscire in questa ambiziosa missione, i ragazzi sono armati soltanto di uno smartphone: con il telefonino intervistano esperti, ricercatori e docenti universitari di fama internazionale che arrivano a Genova per partecipare a eventi, incontri, conferenze.
Nuovo, veloce, “giovane”, indipendente, social: il progetto è efficace e praticamente a costo zero, per questo ci piace. Abbiamo posto alcune domande ai ragazzi. Ecco cosa ci hanno risposto.
Come è nata l’idea di dar vita a Under the Map?
«Il progetto è stato elaborato in via sperimentale ormai un anno fa, nel febbraio 2013, e si può dire che l’idea è nata all’interno del DISPO, il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova in Largo Zecca: siamo un gruppo di amici dottorandi in Scienze Politiche che ha deciso di unire le proprie forze e mettere a disposizione le diverse competenze per far partire questa sperimentazione».
Come funziona il progetto e come si svolgono le interviste?
«Abbiamo deciso di partire proprio da Genova e di approfittare degli eventi culturali che si svolgono in città per interagire con esperti e studiosi, e far loro domande su alcuni temi di interesse generale. Partecipiamo spesso agli incontri a Palazzo Ducale (prossimamente parteciperemo a “La Storia in Piazza”, ad esempio) e in Università e intervistiamo i nostri interlocutori usando il telefonino. Poi tagliamo il video per renderlo più chiaro ed efficace: non più di 2 minuti per ogni risposta. Sono incontri a cui avremmo partecipato in ogni caso, per interesse personale: abbiamo colto l’occasione per approfondire tematiche di attualità per le persone che non possono partecipare o che magari non abitano in città: siamo partiti da Genova per rivolgerci anche altrove, a un bacino di utenti più ampio. Abbiamo voluto dire che non è vero che nella nostra città non succede niente ma che anzi gli eventi sono tanti: basta informarsi, essere motivati, avere degli interessi. Chi vuole vedere le nostre interviste e ascoltare i contributi, può seguirci su vari social media. Per prima cosa abbiamo aperto un canale YouTube sul quale caricare le interviste, poi una pagina Facebook, e infine è arrivato Twitter: ci teniamo a essere presenti su vari media per raggiungere target diversi».
Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono il progetto?
«Per prima cosa, abbiamo scelto di essere indipendenti. Non riceviamo finanziamenti o sovvenzioni da nessuno, e il progetto è nato per cause contingenti all’interno dell’Università ma non è stato promosso o proposto dall’Ateneo: certo, capita di cercare un confronto con i professori, ma niente di più, non c’è alcuna partnership né niente del genere. Da soli, abbiamo dato vita a una redazione vera e propria: ci riuniamo una volta al mese per decidere il calendario di eventi cui partecipare e le interviste da svolgere. Gli incontri si svolgono di volta in volta in luoghi diversi: evitiamo l’Università e preferiamo altri luoghi come abitazioni private, bar e altri spazi pubblici. Ad esempio, a breve ci piacerebbe riunirci all’interno della nuova sede dell’associazione di quartiere A.Ma. in Via della Maddalena, visto che alcuni di noi ne fanno parte: sarebbe un modo per renderci utili e contribuire tenere alzate le saracinesche in una zona in cui ancora troppe serrande sono abbassate. In redazione, ognuno di noi sa cosa deve fare: i compiti sono ben ripartiti, ciascuno è autonomo e il lavoro procede senza intoppi. Lo “zoccolo duro” è costituito da sei persone, poi ci sono altri collaboratori occasionali: ci siamo allargando e stiamo imparando pian piano a gestire sia il gruppo, sia il progetto in crescita. Non l’abbiamo mai fatto prima e per noi è uno “work in progress”, impariamo strada facendo. Non ci sono gerarchie all’interno del gruppo, ma vige una logica orizzontale. Inoltre, ci teniamo molto a dire che non siamo una testata giornalistica e le nostre interviste non si sovrappongono a quelle che escono sui giornali, ma sono piuttosto approfondimenti specialistici, con domande di dottorandi a studiosi».
Un bilancio a un anno dall’inizio: il riscontro è positivo?
«Siamo soddisfatti, abbiamo un buon seguito e il nostro pubblico è eterogeneo: soprattutto giovani, studenti e addetti ai lavori, ma anche istituzioni culturali in senso lato, persone interessate per “cultura generale” e giornalisti che cominciano a seguirci su Twitter. Il progetto è stato apprezzato e per il futuro vogliamo ancora crescere e cercare nuove collaborazioni».
Elettra Antognetti